著者
深草 真由子
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.56, pp.144-166, 2006-10-21

Nella prima meta del Cinquecento, la valutazione del Decameron venne radicalmente cambiata dalla disputa della "Questione della Lingua". Il Decameron, la cui lingua e stile Pietro Bembo loda nelle Prose della volgar lingua, venne da lui proposto come il miglior modello di prosa volgare. Questo mio studio intende esaminare quale testo del Decameron il Bembo utilizzo nello studiare la lingua volgare e nello scrivere la sua opera. Le citazioni dal Decameron nelle Prose sono fissate nel Codice Vaticano Latino 3210, l'autografo del Bembo scritto fra il 1521 e il 1523, e rimangono sostanzialmente identiche da questo codice alia prima edizione del 1525 e alle successive. Per questo il Bembo sembra avere stabilito il suo "Decameron" prima della redazione del Vaticano Latino 3210, cioe entro i primi anni del 1520. Ma su quale manoscritto o su quale edizione lo fece? Ecco le chiavi del problema: Nelle Prose I X, il Bembo si riferisce a "un libro...buono e antico" nel quale si trova sempre TRASCUTATO invece di TRASCURATO; come si legge nella sua lettera del marzo 1533, egli corresse "uno di quelli stampati in Vinegia" con "un testo antichissimo e perfetto". Vittore Branca avanza l'ipotesi che, durante il suo soggiorno a Urbino dal 1506 al 1512, il Bembo avesse utilizzato il Codice Hamilton 90, l'autografo del Boccaccio che allora era posseduto da Giuliano de' Medici, duca di Nemours. In questo codice, si trovano alcune note attribuite alia mano del Bembo, e si usa sempre la parola TRASCUTATO. Appare quindi sicuro che il Bembo ebbe l'occasione di servirsi del Codice Hamilton 90 e probabilmente lo chiamo "libro...buono e antico". Inoltre il Branca desume che anche il "testo antichissimo e perfetto" sia lo Hamilton 90, e sia stato collazionato con una stampa veneziana se il Bembo aveva avuto bisogno di registrarlo prima di restituirlo a Giuliano. Carlo Vecce, investigando il Codice Chigiano L. VIII. 302, suggerisce la possibilita del tutto verosimile che "uno di quelli stampati in Vinegia" sia il Decameron curato da Niccolo Delfino, stampato a Venezia da Gregorio de Gregori nel maggio 1516. Questa edizione fu innovativa nei confronti di tutta la tradizione a stampa precedente, e fu apprezzata soprattutto in ambito veneto. E il Decameron a cura di Delfino che il Bembo corresse con "un testo antichissimo e perfetto". Ma possono essere compatibili l'ipotesi del Branca e la scoperta del Vecce? E cioe possibile che il Bembo correggesse l'edizione del Delfino con lo Hamilton 90 e che entrambi fossero per lui contemporaneamente disponibili? Se e cosi, il Bembo avrebbe potuto consultare lo Hamilton 90 anche dopo il maggio 1516, cioe dopo la morte del proprietario Giuliano; purtroppo mancano pero notizie che consentano di affermarlo con certezza. Ma questo problema e risolto quando si osserva la quantita delle varianti e la somiglianza tra lo Hamilton 90 e le citazioni delle Prose, nonche una delle note del Bembo sullo Hamilton 90, nella quale si verifica la collazione con la stampa veneziana. E ormai evidente la collazione fatta dal Bembo utilizzando questi due libri. Il Bembo dovette fare la collazione perche, a mio avviso, e una sorta di operazione di revisione per creare una sua edizione con il manoscritto "buono e antico" e "antichissimo e perfetto" e la stampa veneziana. Puo darsi che il Bembo, che aveva gia curato le Rime del Petrarca e la Commedia di Dante, avesse l'intenzione di pubblicare in seguito il suo "Decameron".
著者
深草 真由子
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.61, pp.71-91, 2011-10-15

Girolamo Ruscelli, poligrafo viterbese, senza dubbio risentendo dell'influenza del Bembo, si occupo della redazione del capolavoro del Boccaccio. La sua edizione del Decameron fu pubblicata nel 1552 a Venezia presso la tipografia di Vincenzo Valgrisio, corredata della dedicatoria Ai lettori, di note marginali, delle Annotationi aggiunte alla fine di ogni giornata (in cui si spiegavano le norme linguistiche e grammaticali) e del Vocabolario generale. Essa fu poi ristampata net 1554 e net 1557. Nel corso della polemica con Lodovico Dolce, che pubblico il suo Decameron presso Giolito net 1552 e tento di screditare l'edizione di Ruscelli che era ancora in corso di stampa, Ruscelli scrisse nel 1553 Tre discorsi, in cui metteva in discussione il criterio adottato dall'avversario, e preparo De'commentarii della lingua italiana, che sarebbero stati pubblicati postumi nel 1581. V. Branca, pur ritenendo che il Ruscelli fosse <<il piu colto>> dei poligrafi dell'epoca e <<il piu profondo negli studi grammaticali>>, giudica negativamente la sua edizione del Decameron, insieme a quella curata da Dolce, definendolo una <<sconciatura>> del testo. Viceversa, P. Trovato, in seguito alla collazione di alcune novelle con altre edizioni, nota frequenti interventi d'ordine ortografico e interpuntivo da parte di Ruscelli, ma, dato che le modifiche arbitrarie al testo sono poche, ritiene opportuno l'esame di un campione piu ampio. L'analisi sul testo dell'edizione del Ruscelli che si intende condurre in questo lavoro ha lo scopo di fare luce sul metodo filologico e sulle norme linguistiche da questi adottati, al fine di comprendere come valutarne il ruolo nella storia del Decameron in quanto modello della prosa volgare. Per quanto riguarda la correzione del testo, Ruscelli stesso dichiaro' di non aver visto l'autografo di Boccaccio e di avere seguito <<le stampe communi>>, di avere cioe adottato la lectio di molte stampe. Questa affermazione e degna di considerazione perche, nella prima meta del Cinquecento, i curatori del Decameron sostenevano che il testo della loro edizione fosse fedele all'originale, benche in realta spesso "contaminassero" il testo. Secondo P. Trovato e B. Richardson, il Decameron di Ruscelli riproponeva in particolare il testo delle giolitine anteriori al 1552 e anche della giuntina pubblicata nel 1527 a Firenze, testo che e alla base delle edizioni posteriori al 1527, incluse le sopraddette giolitine. Per mettere in chiaro il procedimento del lavoro redazionale compiuto da Ruscelli, esaminiamo qui i suoi riferimenti alle fonti che utilizzo. Ruscelli consulto almeno quattro manoscritti e due stampe antiche, probabilmente incunaboli difficili da identificare; consulto poi una stampa curata da Niccolo Delfino, ma non si puo dire che Ruscelli lo abbia seguito in modo consistente; le giolitine e, come risulta dalla nostra indagine, la giuntina del 1527. Possiamo senz'altro confermare che il Decameron del Ruscelli, se basato sul testo de <<le stampe communi>>, discendeva di conseguenza dalla giuntina. Ma la nostra collazione dell'edizione di Ruscelli con queue precedenti ci mostra come il nostro curatore non assumesse in realta sempre la lezione de <<le stampe communi>>, rifiutando a volte sia quella della giuntina sia quella delle giolitine, ma modificasse il testo seguendo le proprie norme linguistiche. Nel presente lavoro esaminiamo alcuni casi in cui Ruscelli non accetta la lectio comune, ma fa coincidere il testo con la propria prescrizione linguistica: il verbo aiutare; il passato remoto del verbo mettere; la terza persona plurale del congiuntivo presente del verbo essere; la preposizione articolata alle; Dio e Iddio. Per quanto riguarda la preposizione a con l'articolo determinativo maschile plurale, osserviamo che c'e un'oscillazione cronologica nella prescrizione grammaticale del Ruscelli, oscillazione che influenza la sua scelta della lezione nel testo: alli, considerata forma corretta nelle Annotationi, appare nella prima edizione, ma un anno dopo, nei Tre discorsi Ruscelli accuso Dolce per l'uso di li dopo le preposizioni tra cui include anche a. Respingendo quindi l'uso di questa forma, probabilmente per evitare un attacco da parte di Dolce, nella seconda e terza edizione, adotto' a' o a i, le forme proposte come corrette nei Tre discorsi e nei Commentarii. L'omologazione delle norme linguistiche nel testo, pero, non era un fenomeno raro in quell'epoca, perche in teoria lo stile boccacciano, essendo il modello migliore della prosa volgare, doveva coincidere con le norme linguistiche e grammaticali che, a loro volta, erano gia state elaborate basandosi sul suo stile. Ma il Ruscelli non mostro sempre il Boccaccio come prosatore perfetto e irreprensibile. Esaminiamo alcuni casi in cui il nostro curatore oso indicare apertamente gli errori del Boccaccio e consiglio ai lettori di non imitarlo: la ripresa della congiunzione subordinativa che; gliele indeclinabile; per+articolo determinativo maschile: per lo o per il. L'atteggiamento del Ruscelli di fronte al Boccaccio e alle norme linguistiche cui i letterati facevano riferimento dopo le Prose, puo dirsi assai critico; egli, infatti, liberandosi dall'obbedienza cieca alle lezioni bembiane, rivolse lo sguardo verso l'imperfezione del modello e sostenne la necessita di guardare con spirito critico alla lingua del Boccaccio. Queste considerazioni ci inducono a concludere che l'edizione del Ruscelli vada riconosciuta come uno dei processi piu importanti nella storia della tradizione testuale del Decameron.
著者
深草 真由子
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.58, pp.151-172, 2008-10-19

Il Decameron, lodato per la lingua e lo stile nelle Prose della volgar lingua, venne proposto da Pietro Bembo (1470-1547) come il migliore modello di prosa volgare. Secondo la tesi bembiana, la lingua letteraria fiorentina del Trecento doveva essere imitata dagli scrittori contemporanei, e tra i prosatori e i poeti trecenteschi furono lodati particolarmente il Boccaccio e il Petrarca. Ritengo pero che occorra considerate la possibilita che il Boccaccio non rappresentasse un modello altrettanto sicuro quanto il Petrarca; il Decameron fu definito punctum dolens del principio dell'imitazione. Non a caso infatti il Bembo non produsse un'edizione del Decameron come aveva invece eseguito le aldine di Dante e Petrarca, e nelle Prose non espose senza riserve un giudizio positivo sul Decameron. Prendendo spunto dalla proposta di Carlo Vecce in Bembo, Boccaccio, e due varianti al testo delle Prose, successivamente confermata da Claudio Vela, ho gia avuto modo di scrivere nel mio saggio Due testi del Decameron e Pietro Bembo (<<Studi Italici>> LVI, 2006), che i testi utilizzati da Bembo nello studio della lingua volgare e nella stesura della sua opera furono l'autografo del Boccaccio, l'Hamilton 90, e la stampa veneziana del 1516 curata da Niccolo Delfino. Cio che mi propongo in questo saggio e di provare a mostrare, attraverso l'analisi delle varianti tra le citazioni delle Prose e le lectiones dei due testi del Decameron, il metodo con cui Bembo applico le lectiones di ciascun testo alla sua norma linguistica e grammaticale, e il suo giudizio sul Boccaccio. Attraverso il confronto delle varianti e possibile stabilire chiaramente che le citazioni dal Decameron presenti nelle Prose sono basate piu sull'Hamilton 90 che sull'edizione veneziana. Gli esempi trascutato e gliele mostrano che tra i due testi intercorre una differenza diacronica nell'uso linguistico, dal momento che queste parole - non presenti nella stampa veneziana - sono caratteristiche del Trecento: cosi mentre il manoscritto mostra ovviamente un linguaggio trecentesco, la cinquecentina presenta forti elementi di contaminazione linguistica. Tuttavia a Bembo l'Hamilton 90 non sembrava sempre corretto: quando presentava espressioni non corrispondenti alla propria regola, il Bembo non esitava a sostituirle con quelle che gli convenivano. A Bembo interessava esporre la sua norma linguistica e grammaticale, piuttosto che ricostruire fedelmente la lezione originale dei testi. Dall'espressione che aveva usato in riferimento all'Hamilton 90, <<un libro... molto buono e antico>> (foglio 18 dell'autografo bembiano), Bembo cancella l'avverbio <<molto>>, il che ci fa supporre una scarsa valutazione nutrita dal Bembo nei confronti del codice hamiltoniano. Nel testo originale, che sembra rispecchiare una maggiore fiducia del Bembo verso di esso, si trovano alcuni esempi che contraddicono la norma bembiana. In questo lavoro ci occuperemo della negazione mai e dell'infinito sostantivato che Bembo dovette trovare nell'Hamilton 90 ma che non ritenne consigliabili ai contemporanei. Nella conclusione si offrono alcune considerazioni relative all'opinione che Bembo dovette nutrire riguardo allo stile del Boccaccio. Nel capitolo XIX del libro II delle Prose, Bembo fa riferimento a una "mancanza di giudizio" del Boccaccio che si rivelerebbe non solo nelle opere minori, ma anche nel Decameron. A nostro avviso, occorre pensare cosa significhi <<giudizio nello scrivere>> di cui Boccaccio gli pareva carente, e che cosa intenda con questo. L'affermazione del Bembo secondo la quale il Boccaccio sarebbe il migliore modello della prosa volgare nel corso della disputa sulla questions della lingua non deve essere, a nostro avviso, intesa letteralmente: "lo stile ideate del Boccaccio" non sembra infatti esistere ne nel manoscritto, ne nella stampa, ma sembra piuttosto essere una creazione di Bembo. Come si e detto, Bembo non intendeva redigerne un'edizione critica, quanto piuttosto indicarne lo stile. Questo non sminuisce tuttavia l'innegabile contributo offerto dal Bembo nell'attribuire al Decameron una posizione di primaria importanza nella storia della letteratura italiana.