著者
西本 晃二
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.30, pp.8-58, 1981-03-31

La formula : "Benedetto sia 'l giorno e 'l mese e l'anno…", che inizia e si riprende in ogni strofa del sonetto LXI delle Rime di Francesco Petrarca, non e altro che un topos assai usato fra i poeti italiani dal tre al cinquecento. E una formula enfatica(congiuntivo ottativo, forma passiva)che benedice / maledice un momento particolare nella vita del poeta, definendolo minutamente, cioe ripetutamente con precisione cronologica. Essa ha la sua origine in alcune espressioni bibliche, specie nella maledizione proferita da Giobbe(III, 1-3) al giorno ed alla notte in cui fu concepito nel ventre materno. E vero che Giobbe maledice il punto della sua nascita, usando la forma attiva (congiuntivo) del verbo "perire" : "pereat dies in qua natus sum et nox in qua…" (dalla Vulgata di San Girolamo, riconosciuta ufficiale e diffusissima attraverso tutto il medioevo), ma e facile vedere che il passo si riferisce ad un momento determinato nel passato. Per quanto riguarda la forma passiva : "benedetto / maledetto sia", troviamo un esempio anche nel libro di Giobbe(I, 20) : "sit nomen Domini benedictum. " Accanto a quest'ultimo, pero, troviamo nel nuovo testamento un altro esempio analogo, pure con sfumatura differente. Ed e il saluto dell'angelo Gabriele alla Vergine : "Ave Maria, gratia plena, …benedicta tu in mulieribus." (Luca : I, 28) E un passo popolarissimo durante tutto il medioevo in cui si edificarono innumerevoli chiese in onore della madre di Dio. A "benedicta tu in mulieribus" manca il verbo o, se ce ne fosse uno, dovrebbe essere "fosti" invece di "sia". Val a dire che questa e un espressione puramente esclamativa meno forte dell'altra. Ne troviamo riscontro anche nella letteratura classica. e. g. : "O fortunati, quorum iam moenia surgunt!" (〓neidos : I, v. 437) con la sola sostituzione di "fortunato" a "benedetto". "Benedetto" venne infatti assunto in tal formula quando acquisto il valore prevalentemente cristiano di "essere laudato". "Laudato-laudare" ci conducono naturalmente alla lauda francescana che sorse ai primi del duecento. Come si sa, e una forma di poesia popolaresca, e quindi enfatica, cantata in coro, in cui s'adopera spesso la ripetizione. La lauda, per altro, fa cenno frequente alla scena di annunziazione, nella quale lo stesso saluto dell'angelo viene tradotto : "enfra femene tu si' benedetta!" (Jacopone da Todi) Inoltre diverse virtu e attributi della Vergine vi sono enumerati per la sua glorificazione. Delle enumerazioni, ne troviamo gli esempi anche nella poesia lirica provenzale : "Ben aja 'l temps e 'l jorn e l'an e 'l mes / Cel dous cors gais, …" (Peire Vidal) Qui il poeta augura alla sua donna che lei abbia sempre buon tempo. Non si tratta di un punto nel passato, ma la precisazione cronologica ci interessa molto, perch'e proprio somigliante alla formula petrarcheca. Tale precisazione e congeniale anche allo spirito enfatico della lauda popolare, e quindi tutte e due le formule, quella ottativa e quella esclamativa, vennero agevolmente adoperate non per la gloria religiosa ma per la glorificazione d'un evento profano, e non dal popolo ma da poeti di raffinatissimo gusto che prendono coscientemente un tono popolareggiante ed enfatico, quali il Petrarca, il Poliziano, Lorenzo il Magnifico, e tanti altri. Le due formule godettero infatti di una popolarita considerevole durante il cinque e seicento, e cio non solo in Italia ma anche negli altri paesi d'Europa. Poi esse vanno esaurendosi, conservando tuttavia una certa vitalita ancor oggi.

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