著者
松井 健太
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
vol.71, pp.1-28, 2021 (Released:2021-11-16)
参考文献数
81

Aldo Rossi (1931-1997), uno dei principali architetti e teorici dell’architettura postmoderna, negli anni Cinquanta acquisì, attraverso il contatto con la cultura degli intellettuali del Partito Comunista Italiano, riferimenti, concetti e temi che ne determinarono il successivo orientamento teorico. Qui viene presentato il legame organico tra quei motivi extradisciplinari e lo sviluppo della teoria architettonica di Rossi, mettendo a fuoco lo strano, e pressoché sconosciuto, incontro tra Rossi e l’architettura sovietica come modello di collegamento tra cultura comunista e cultura architettonica e cercando di offrire una prospettiva coerente dello sviluppo teorico di Rossi in quegli anni.La cultura architettonica, nell’Italia del dopoguerra, manteneva un canale di comunicazione attivo con il Partito Comunista Italiano e Rossi, allora studente della scuola di architettura di Milano, partecipava negli stessi anni alle conferenze del partito e contribuiva alla rivista ufficiale. La Commissione Culturale, organo ufficiale del Partito, che interveniva in modo deciso in ambito pittorico e letterario, non era altrettanto manifestamente presente in ambito architettonico, lasciando uno spazio che Rossi cercò di colmare infondendovi la propria teoria.Il trasferimento in campo architettonico del dibattito culturale interno al Partito indusse Rossi a concentrarsi sui temi di tradizione e realismo: nel dopoguerra, il movimento moderno aveva guardato con interesse al tema della tradizione come possibile fattore di rafforzarmento e accelerazione, ma nella visione di Rossi esso rappresentò un elemento di radicale trasformazione: la tradizione, in questo senso, fu interpretata nell’ambito della discussione sul passaggio “dal neorealismo al realismo” avanzata dai critici del Partito dell’epoca.Per la teoria di Rossi su tradizione e realismo, foriero di un orizzonte specifico per l’architettura fu l’incontro con l’architettura stalinista durante il viaggio a Mosca. Le architetture urbane del Realismo socialista e gli ornamenti classici che il movimento moderno in architettura aveva cercato di cancellare offrivano a Rossi uno spunto per la riflessione teorica, secondo cui rivoluzione ed elementi architettonici tradizionali potevano coesistere. L’esperienza indusse Rossi a progettare un articolo che esaltava l’architettura stalinista come alternativa al movimento moderno per la rivista comunista Società, che non fu però mai pubblicato. L’architettura stalinista, d’altra parte, fornì alla riflessione di Rossi non solo termini di riferimento concreti ma anche problematiche complesse, come la critica del “superfluo” nell’architettura accademica sovietica, sviluppata da Nikita Khrushchev alla fine del 1954. Il leader della nuova U.R.S.S. si appellava all’industrializzazione, uno dei principi del movimento moderno in architettura, il che fu percepito in Italia come un ritorno al movimento dell’architettura russa, in contrasto con l’elogio tessuto da Rossi verso l’architettura stalinista, nel tentativo di interpretare la critica al superfluo di Khrushchev in chiave diversa dal ritorno all’architettura moderna o dalla critica dell’architettura stalinista.Le speculazioni di Rossi su tradizione e realismo culminarono infine, grazie al consiglio dei redattori di Società, in un articolo sull’architettura neoclassica milanese del XVIII e XIX secolo, che approfondiva l’ambito teorico dei temi presentati dal Partito Comunista Italiano e i problemi posti dall’architettura sovietica: l’architettura neoclassica milanese è definita come sintesi di due razionalismi, risposta al problema sollevato dall’architettura sovietica sull’adeguata interpretazione della valutazione della monumentalità e della critica del superfluo in modo coerente e senza contraddizioni. La discussione di Rossi sulla tradizione(View PDF for the rest of the abstract.)
著者
丸山 桂介
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.51, pp.150-251, 2002-03-30
著者
戸口 幸策
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.10, pp.3-25, 1962-01-30

Facendo seguito alla mia relazione pubblicata nel IX volume diquesta rivista, trattero, nel sesto capitolo, del modo di interpretare le musiche italiane del Trecento. Poichei codici non ci rivelano chiaramente come fosse l'esecuzione di allora, gli studiosi hanno presentato opinioni ben diversi tra di loro, soprattutto intorno alla vocalita o alla strumentalita di ciascuna di due voci dei primi madrigali e, in modo particolare dei lunghi e complicati melismi che essi contengono. Dopo aver studiato le varie opinioni al riguardo, arriveremo a sottolineare un carattere fondamentale della musica italiana del Trecento : monodia accompagnata. Sara quindi opportuno interpretare queste musiche, nel modo piu fedele possibile a cio che si puo ricavare dai codici, mettendo sempre in considerazione questo carattere fondamentale. E'da ricordare, pero, che l'esatta determinazione dell'interpretazion da parte dei compositori e stato un frutto dell'epoca barocca ; e percio va certamente ammessa una certa elasticita nell'eseguire le musiche in questione ; il che e anche testimoniato dai codici stessi. Il settimo capitolo sara dedicato agli studi dei principali codici che ci hanno tramandato le musiche del Trecento. Alla fine del capitolo si studiera la notazione musicale di questi codici soprattutto dal punto di vista storico, mettendo in evidenza la formazione della notazione italiana trecentesca indipendente da quella francese della stessa epoca e in seguito l'influsso che la prima ha subito in modo decisivo dalla seconda nella seconda meta del secolo. Nell'ultimo capitolo saranno trattati degli importanti teorici dell'epoca, e soprattutto Marchetto da Padova e Prosdocimo de Beldemandis, e i loro scritti principali. Vedremo nelle differenze degli accostamenti di questi due teorici come la formazione di una musica di carattere nazionale ha fatto si che il mondo scientifico rappresentato dai trivium e quadrivium si disgregasse aurante il lasso di un secolo.
著者
戸口 幸策
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.9, pp.38-61, 1961-01-30

1.Suddivisione dell'epoca 2.Forme principali della poesia e della musica 3.Sfondo sociale 4.Caratteristiche generali 5.Origini e provenienza 6.Interpretazione 7.Notazione e manoscritti importanti 8.Teorici Seguendo I'ordine previsto dai sottotitoli, cerchero di parlare dei diversi aspetti dell'Ars Nova in Italia. Questa mia modesta relazione non e frutto delle mie tenaci ricerche scientifiche, bensi una specie di arrangiamento dei frutti degli studiosi. Percio il lettore trovera molti punti che si possono ricavare in qualsiasi libro del genere. Ma, ho cercato di mettere in ordine a mio modo gli studi degli altri, dando maggior importanza agli argomenti che penso non siano ben conosciuti nel nostro Paese. Come si vede, la distribuzione e del numero delle pagine rispetto ai vari argomenti non rispecchia obbligatoriamente il loro valore assoluto. Per esempio ho dedicato paaecchio spazio agli studi etimologici sul "madrigale". In questo numero la relazione arriva sino al quinto capi to lo ; il resto sara pubblicato in seguito. Nel primo capitolo ho accennato che e ancora presto per stabilire il periodo dell' Ars Nova in Italia e la sua suddivisione. Nel secondo caitolo sono trattate, una dopo l'altra, le forme principali dell'epoca : madrigale, ballata e caccia, dal punto di vista poetico e musicale. Ho dedicato un capitolo agli studi sulla societa del Trecento, soffermandomi particolarmente su quella di Firenze, sia perche questa citta fu un focolare della musica trecentesca. sia perche rappresenta inmodo tipico le caratteristiche dei comuni italiani dell'epoca. La musica ha una sua storia autonoma che non puo essere separatadalla storia della societa. Ritengo, tuttavia, che per meglio conoscere la musica di un'epoca e per cercare di determinare la sua posizione e il suo significato storico, sia molto importante, anzi indispensabile, una comprensione generale della societa in cui tale musico nasce e viene accettata. Molti lettori del mio articolo hanno certamente una profonda conoscenza della societa italiana dell'epoca in questione. Ma ho ritenuto che sia utile richiamarla appositamente e cercare di far risaltare una certa relazione fra lo stile musicale e l'atmosfera della societa. Anche la musica non e che una delle attivita umane, condizionate, non solo passivamente, dalle diverse correnti che determinano i caratteri fondamentali di una societa umana. Nel quarto capitolo sono descritte le caratteristiche comuni a tutti i generi musicali dell'epoca dal punto di vista tecnico ed estetico. Ma nello stesso tempo ci siamo domandati se siamo in grado di determinare come era la musica nel Trecento. Prima di tutto mi pare che gli studi filologici, punto di partenza per gli studi di una musica antica, non siano ancora esauriti. Inoltre bisogna chiederci se le fonti a noi note rispecchiano fedelmente la situazione musicale dell'epoca. La descrizione sulla musica, trovata in varie fonti trecentesche, ci induce a credere che la musica da noi attualmente conosciuta rappresenti solo una parte estremamente matura e a carattere professionista. Percio e ancora presto per definire come era la musica nel Trecento e ci sono ancora molte cose da studiare soprattutto in quanto alle origini e la provenienza della musica trecentesca. Riguardo a questoultimo soggetto, nel quinto capitolo e stata studiata principalmente una continuita nella musica eseguifa sul territorio italiano : una relazione fra i generi del Duecento e quelli del Trecento, fra lo stile duecentesco e qullo trecentesco. Ritengo che tramite studi del genereriusciremo a determinare anche l'influenza straniera sulla musica del Trecento. Adogni modo mi pare che l'influenza della musica gotica francese non sia stata un elemento determinante. Dedicheremo parecchie pagine agli studi dei manoscritti e in seguito alle osservazioni dei teorici di allora. Benche questi siano sempre la base solida degli studi di qualsiasi musica antica, come la conoscenza delle lingue antiche per i filologi, erano trascurati sopratutto nel nostro Paese e noi non commetteremo mai un'esagerazione, insistendo sull'imporrtanza degli studi di questo genere. Spero modestamente che la mia relazione powwa essere un contributo, anche se minimo, alla musicologia, quindi alla musica del nostro Paese.
著者
楠村 雅子
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.25, pp.122-132, 1977-03-20
著者
石原 宏
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
vol.40, pp.118-144, 1990

<p>Come e noto, il pellicano che nutre i suoi piccoli con lo stesso sangue puntando il becco sul petto, e simbolo del Cristo crocifisso in atto di redimere l'umanita. L'iconografia del "Pellicano sulla Croce" si riferisce a questo pellicano simbolico rapprsentato in cima alla croce del Cristo crocifisso delle crocifissioni, dei crocifissi e nelle illustrazioni del "Lignum Vitae" di San Bonaventura. Nonostante che nei crosifissi croce dipinta) e nelle crocifissioni del trecento italiano questo simbolo fosse stato raffigurato spesso, non se ne ritrova riscontro prima di quest'epoca, come sostiene anche E. Sandberg-Vavala. In altri paesi oltramontani, il pellicano sulla croce lo troviamo gia alla fine del duecento. Il pellicano allegorico di Gesu Cristo ha una lunga storia nell'occidente cristiano. In "Physiologus", scritto probabilmente nella seconda meta del II sec. ad Alessandria, si parla per la prima volta della somiglianza fra il pellicano e il Cristo. II "Physiologus" godeva di vasta popolarita e fu utilizzato per molto tempo da vari "Bestiari" medioevali. In quasi tutti i "Bestiari" questo uccello simboleggiava il Cristo che si e sacrificato sulla croce. Dunque nell'arte figurativa, il nostro pellicano e stato rappresentato come simbolo del Cristo da solo oppure accompagnato ad altre figure simboliche della Passione e della Risurrezione. Questi pellicani avevano il nido sull'albero della vita, cioe sul "Lignum Vitae". Questo opuscolo ascetico di San Bonaventura, fu scritto forse a Parigi fra il 1257 e la sua morte (1274). Il "Lignum Vitae" di Darmsttadt (ca. 1290), e la "Crocifissione" della biblioteca Morgan a New York (ca. 1275) seguno il testo di San Bonaventura, in ambedue sulla cima della croce compare il pellicano. Tant'e vero che anche in Italia il piu antico pellicano sulla croce e stato dipinto nella raffigurazione del "Lignuma Vitae" nel 1301 (biblioteca Augusta a Perugia), anche se il pellicano non viene nominato nel testo in cui si parla della "colomba che fa il nido". Perche la colomba fu sostituita con il pelicano? Questo passaggio e spiegabile in quanto esisteva gia una lunga traduzione, come vediamo nel "Physiologus" e nel "Bestiario", nella quale si paragonava il pellicano al Cristo. Il pellicano nel "Lignum Vitae" sarebbe apparso prima in Francia perche il testo fu scritto in Francia e da li si sarebbe poi diffuso in Europa. Secondo me il pellicano sarebbe passato in Italia attrverso l'arte gotica oltremontana. Infatti nel transetto nord della Basilica di San Francesco in Assisi, lavorava una maestranza oltremontana ed e probabile che tra le varie novita del linguaggio figurativo abbia introdotto anche questa. R. Longhi aveva gia intuito l'importanza della cultura gotica di Luigi IX di Francia ad Assisi, istituendo un rapporto tra gli affreschi oltremontani del suddetto transetto e minature come il "Salterio di Isabella" nel Fitzwilliam Museum di Cambridge. San Bonaventura, francescano e Generale di quell' ordine, scrisse "Leggenda Major", una vita di San Francesco, in cui sottolinea la somiglianza di San Francesco con il Cristo. San Francesco, tramite le stigmate, simbolo della passione del Cristo, si avvicina al simbologismo del pellicano che rappresenta esso stesso il Cristo immolato per l'umanita. Inoltre Bonaventura definisce San Francesco "il povero nel deserto". In un salmo di Davide troviamo questa profezia che poi verra riferita al Cristo : "Similis factus sum pellicano in solitudinis". Ecco perche nell'albero della croce di Pacino di Bonaguida e di Taddeo Gaddi troviamo rappresentati insieme il pellicano e San Francesco. Il primo in alto il secondo ai piedi. Nell'arte italiana, il pellicano sulla croce</p><p>(View PDF for the rest of the abstract.)</p>
著者
天野 恵
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.32, pp.64-78, 1983-03-10

L'enorme successo del "Cortegiano"in Europa, si deve in parte all'esigenza, comune al'500, di ordinare secondo un codice preciso le norme che regolano il comportamento nell'alta societa. Sembra che l'essere stato confuso Per un trattato di buone maniere sia stata la ragione principale che lo ha reso celebre. Tuttora esiste la tendenza a considerare il "Cortegiano"come il primo esempio dei "Trattati di comportamento"che segnarono la decadenza dei principi rinascimentali nel piu vuoto e sterile formalismo. In realta, pero, il Castiglione delinea una figura di cortigiano in cui enuclea il fulcro ideale dell'epoca:la necessita, cioe, di uniformare la vita umana ai concetti filosofici che la ispirano. Tale ricerca di perfezione:identificazione reale-ideale, investe tutte le attivita umane fino a calarsi nel contingente, non Per svuotarsi in sterili precetti, ma per conferire anche al quotidiano la bellezza, cioe, la "grazia", che e un influsso della bonta divina. Essa si consegue solo attraverso la "sprezzatura"che e l'arte che nasconde l'arte. E la sprezzatura, dunque, la "regula universalissima" che sta alla base di ogni attivita del cortigiano: ogni suo gesto deve esservi ispirato. Tale virtu si realizza quanto piu si fugge daua "affettaziione", cioe, quanto piu ogni attivita si caratterizza per "naturalezza, simplicita e modestia". Per rendere piu evidente la verb natura del libro del Castiglione, e utile rilevarne la distanza dal "Galateo", tipico esempio di trattato di comportamento che segna il declino degli ideali del Rinascimento.
著者
白幡 俊輔
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.59, pp.71-96, 2009-10-17

L'oggetto di questo lavoro e l'influenza esercitata da Francesco di Giorgio Martini (1439-1501) sulla fortificazione alla moderna dal punto di vista della sua teoria della fortificazione e l'urbanistica. Si intende inoltre esplicitare la logica che presiede ad entrambe nei suoi Trattati di Architettura. I due principi su cui egli baso i progetti per fortificazioni e mura di citta sono la forma antropomorfa e la difesa contro le armi da fuoco. Egli aveva tradotto il De architectura vitruviano studiandone attentamente la teoria ed apprendendo da questo l'antropomorfismo, senza peraltro mai accettarlo dogmaticamente, ma applicandolo sempre al disegno pratico. Cosi, il torrione e la cittadella, paragonati alla "testa", vengono costruiti nel punto piu debole della fortezza e della citta, corrispondente nel suo insieme al "corpo umano". Per organizzare efficacemente la difesa di questo punto, Francesco progetto di concentrarvi gli edifici difensivi, le armi e le guardie, determinando il luogo in cui si trova la "testa" della fortificazione e la direzione di difesa tenendo conto delle condizioni del terreno e della situazione politica della citta stessa. Per es., rocche che si trovano sulla cima di monti come San Leo e Monte Sant'Angelo di Gargano devono essere fortificate in direzione del percorso che sale al monte, mentre rocche costiere come Gallipoli rivolgono il torrione contro l'invasione da terra. In una citta in cui si annida il dubbio del tradimento come Fossombrone, la cittadella rivolge il maschio verso la citta e guarda in direzione dei cittadini. Anche la disposizione relativa tra la cittadella e la citta stessa segue l'organizzazione del corpo umano nella disposizione tra il torrione e la fortezza. L'analogia della fortificazione con il corpo umano non rappresenta una semplice somiglianza formale, ma stabilisce una disposizione tattica atta alla difesa della fortezza e la citta. Nonostante l'affermazione di Vitruvio sulla estrema forza delle mura di forma tonda, Francesco respinse le fortezze e le mura tonde nei suoi Trattati. La cinta di San Costanzo da lui costruita segue, come le altre fortezze, la forma del corpo, ma mostra come Francesco abbia accolto l'antropomorfismo di Vitruvio rifiutandone la maniera di fortificare. Egli riteneva difficile difendere le mura tonde attraverso il "fiancheggiamento" (un metodo di difesa delle mura attraverso spari dalle feritoie situate ai fianchi di torri contigue) e per questo evito la forma rotonda per le mura della fortezza e per la citta. Anche Vitruvio aveva descritto l'idea del fiancheggiamento nel De architectura, suggerendo di costruire torri contigue piu vicine che ne permettessero una solida difesa per le frecce, ma Francesco preferi intervallare le torri in modo che non subissero danni da parte delle armi da fuoco. Presupponendo l'impiego di queste ultime, egli riconsidero l'idea del fiancheggiamento vitruviana, mostrando di attribuire maggiore importanza alla razionalita nell'ingegneria militare. Questa e la ragione dell'adozione dell'antropomorfismo nella pianta della fortezza: ritenendo che la fortezza, o piccola citta, dovesse essere piu forte che grande, Francesco non progetto di difendere tutta la cinta muraria, ma solo il punto essenziale, dal momento che per la difesa puo essere sufficiente anche una fortificazione piu piccola. Questo tipo di considerazioni lo indusse ad accogliere l'antropomorfismo, senza il quale non avrebbe potuto progettare la difesa di una fortezza o una citta attraverso una fortificazione di piccole dimensioni, ma a rifiutare le mura tonde, perche la razionalita militare non poteva ignorare l'efficacia del fiancheggiamento e della difesa del punto essenziale. Possiamo percio concludere che l'influenza di Francesco di Giorgio sulla fortificazione alla moderna non si limita al disegno di ogni parte della fortificazione, ma si esprime soprattutto nella priorita da lui assegnata alla razionalita militare.
著者
小野 真紀子
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.60, pp.155-176, 2010-10-20

Allo scopo di approfondire l'evoluzione delle "buone creanze" nell'eta moderna, questo studio prende in esame le buone maniere a tavola nei banchetti delle corti italiane del XVI secolo, nei quali si riteneva che fossero piu raffinate, attraverso l'analisi del modo di servire a tavola. In quest'epoca stavano iniziando a svilupparsi, soprattutto nella societa di corte, le "buone creanze" moderne e stava crescendo l'importanza dei regolamenti in ogni aspetto della vita sociale. Nello stesso tempo venivano inoltre pubblicati numerosi trattati sulle "buone creanze", come per esempio il Galateo di Giovanni della Casa, ma non e da escludersi che le buone maniere a tavola qui regolamentate non fossero appropriate a tutte le situazioni in cui si consumava del cibo. La pubblicazione di manuali di scalcheria e invece degna di nota, perche si ritiene che il servizio a tavola fosse eseguito in base alle regole delle buona educazione dei commensali a tavola. Tutti i manuali esaminati in questo studio sono stati pubblicati nella seconda meta' del XVI secolo (La singolare dottorina di D. Romoli, Dello Scalco di G. B. Rossetti, Dialogo del maestro di casa di C. Evitascandalo e Il Trinciante di V. Cervio). Il servizio a tavola nel banchetto a quel tempo era ben ordinato ed era eseguito sotto la direzione dello scalco, ovvero di un direttore dei mestieri attenenti alla tavola a corte che organizza tutto cio che riguarda il banchetto nell'ambito del suo incarico di responsabile e ideatore del festino. Gli scalchi adottavano diversi espedienti nel servizio, affinche i commensali potessero mangiare e seguire il banchetto piacevolmente. Eliminavano infatti tutto cio che poteva risultare sgradito ai commensali e che andava evitato secondo le regole della buona creanza dei convitati: la vista dello sporco, il contatto con la saliva altrui e la pulizia per gli altri. Inoltre, il servizio a tavola era effettuato rispettando la gerarchia dei commensali, interpretando la loro buona creanza, preoccupandosi cosi di eseguire una parte dei comportamenti culturali dei convitati al posto loro. Si ritiene dunque che nella fase iniziale della formazione della "buone creanze" moderne, un sistema che avrebbe potuto agire su tutti, come il servizio del maestro di tavola, abbia influenzato la sensibilita e il comportamento. Pertanto, non si deve trascurare che tale servizio, nel banchetto del XVI secolo, nel quale si tende a evidenziare l'ostentazione del potere del signore e l'aspetto cerimonioso, poteva contribuire anche alla buona creanza dei commensali a tavola. Si ritiene che il presente studio abbia potuto mettere in luce il rapporto tra le buone maniere mostrate dai commensali a tavola e il servizio svolto dallo scalco, aggiungendo cosi un nuovo punto di vista agli studi precedenti, per esempio quello di N. Elias, che analizzavano in prevalenza le regole dei manuali, che permette di comprendere in modo piu approfondito le buone maniere a tavola dell'eta moderna.
著者
宮坂 真紀
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.61, pp.23-44, 2011-10-15

Nella maggior parte delle commedie goldoniane, i personaggi fanno use dell'italiano e del dialetto veneziano. Mentre all'inizio della sua "riforma" teatrale, molti personaggi sulla scena parlavano il dialetto veneziano subendo l'influenza delle Maschere della commedia dell'arte, al momento della pubblicazione, Goldoni scelse di trascrivere in italiano molte espressioni dialettali con l'intento di diffondere le sue opere anche tra i lettori che non comprendevano il veneziano. Questa trascrizione in qualche caso ha portato anche a una certa artificiosita: nella Vedova scaltra (1748) o La bottega del caffe (1750), per esempio, i cittadini veneziani parlano in italiano in un "campo" di Venezia. Questa artificiosita fu pero trascurata dall'autore che non teneva in particolare considerazione la diversita qualitativa tra il veneziano e l'italiano. Per Goldoni, l'italiano poteva essere un linguaggio parlato in Toscana come lo era il veneziano a Venezia ma, rispetto a questo, era piu diffuso tra gli italiani della sua epoca. D'altra parte, Goldoni continuo a scrivere ogni anno commedie veneziane e a metterle in scena per il pubblico veneziano nelle ultime sere di carnevale. Esse si svolgono nel corso del carnevale di Venezia e presentano i personaggi principali che parlano un veneziano piu vicino all'uso quotidiano della gente locale e per questa ragione l'autore non traspose il dialetto in italiano. Il campiello (1756) e una delle commedie veneziane piu conosciute. La protagonista, Gasparina, che ha il vizio ridicolo di pronunziare "z" ([ts]) al posto di "s" ([s]), parla il dialetto veneziano ma qualche volta inserisce nelle sue battute delle frasi in italiano. Poiche nelle commedie di Goldoni, normalmente, ogni personaggio parla solo una lingua, un personaggio che ne usa due, come Gasparina, e un caso eccezionale. Mentre nelle commedie in versi Goldoni aveva di solito adottato i versi martelliani, per Il campiello si servi di versi settenari ed endecasillabi, allo stesso modo dei drammi giocosi per la musica; Il campiello mostra cosi un ritmo musicale piu vicino ai drammi musicali che ad altre sue commedie. Goldoni fu anche uno dei librettisti piu fecondi del Settecento e il bilinguismo di Gasparina potrebbe essere stato influenzato anche dai drammi musicali che utilizzano spesso l'effetto faceto di giochi di parole causati dalla risonanza multilingue. Nel caso di Gasparina, inoltre, la particolarita della pronuncia la rende ridicola, dandone un'immagine "caricata", di ragazza che si vanta di sapere parlare in "tozcano". La sua goffa pronuncia potrebbe essere stata, come ha indicato Pastore Stocchi (Astrazione e opera buffa nel Campiello, in <<L'Arte dell'interpretare. Studi critici offerti a Giovanni Getto>>, Torino, L'Arciere, 1984, 365-381), la pronuncia naturale dell'attrice toscana Caterina Bresciani, interprete di Gasparina. Questo potrebbe indicare che il bilinguisimo del personaggio fosse un'invenzione che Goldoni aveva tratto dalla sua esperienza nel campo dei drammi musicali e di cui si era servito come mezzo espressivo per trarre dal carattere individuale dell'attrice un effetto comico. D'altra parte, il bilinguismo di Gasparina ha un significato anche nell'aspetto linguistico delle commedie goldoniane. Fino al Campiello, come si e detto, non esisteva una differenza qualitativa tra l'italiano e il dialetto nel mondo comico goldoniano, anche se in alcune commedie, attraverso le due lingue, si intende mostrare una differenza di estrazione sociale: per esempio, nella Putta onorata (1749), la differenza fra italiano e veneziano rappresenta il contrasto tra borghesi e barnaboti; mentre nell'Avvocato veneziano (1749/1750), il veneziano e il simbolo dei nuovi ceti intellettuali. Questa differenza sociale, pero, e fondata sull'ideologia di Goldoni e non deriva dalla differenza qualitativa delle lingue formatasi nella tradizione letteraria in Italia. Nelle commedie di Goldoni, inoltre, gli interlocutori, pur servendosi di lingue diverse, non sembrano incontrare problemi nella comprensione reciproca. Gasparina e l'unico personaggio goldoniano che usa due lingue cosciente della loro diversita qualitativa (ad esclusione di Lelio, personaggio della Putta onorata, che imita goffamente il linguaggio dei gondolieri veneziani). E una ragazza nata a Venezia ma, influenzata dallo zio, nobile decaduto di Napoli, parla spesso in italiano, anche se con errori di grammatica. Parlando l'italiano con un giovane nobile straniero, Gasparina si sente superiore al vicinato che, non capendo l'italiano, si burla di questo straniero incapace di intendere il dialetto. Qui sorge per la prima volta il problema dell'impossibilita della comunicazione tra parlanti delle due lingue nel mondo comico goldoniano e, di conseguenza, i personaggi mostrano di avere coscienza della diversita delle lingue. Il problema dell'incomprensione che emerge sulla scena potrebbe aver influenzato le idee linguistiche di Goldoni stesso, che, come si e detto, non aveva attribuito particolare importanza alla diversita linguistica prima del Campiello. Negli anni piu maturi della carriera (intorno al 1758-1762) Goldoni scrisse i suoi capolavori in un veneziano realistico e pieno di vivacita espressiva e proprio Il campiello potrebbe aver fornito a Goldoni lo spunto per una ricerca dell'espressione originate in dialetto veneziano, inducendolo a realizzarla nelle sue commedie. In questo senso riteniamo che il bilinguismo di Gasparina possa essere considerato una momento di svolta nell'itinerario linguistico delle commedie goldoniane.
著者
ベルテッリ ジュリオ・アントニオ
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.61, pp.217-236, 2011-10-15

L'anno 1868 segno l'inizio di una nuova era per il Giappone: dopo il crollo dello shogunato dei Tokugawa, l'oligarchia che conquisto il potere in nome dell'Imperatore, promosse, con l'aiuto delle potenze occidentali, una serie di riforme politico-istituzionali e sociali che cambiarono radicalmente il Paese. Tali riforme cancellarono in pochi anni ogni traccia del decrepito e corrotto sistema feudale, dando inizio a un rapido processo di modernizzazione e occidentalizzazione, il quale, nel giro di alcuni decenni, trasformo il Giappone in una grande potenza imperialista. Ebbe cosi inizio il periodo Meiji. Ma il 1868 fu anche l'anno in cui si verifico il cosiddetto Incidente di Kobe (in giapponese: Kobe jiken): il 4 febbraio (che corrisponde all'11 gennaio del calendario lunare), successivamente all'apertura del porto di Hyogo, il comandante del corpo di guardia del Principe di Bizen, il quale quel giorno stava attraversando la citta di Kobe, ordino di aprire il fuoco contro alcuni stranieri, colpevoli di aver tagliato la strada alla processione nelle vicinanze del Santuario di Sannomiya (Sannomiya Jinja). Gli stranieri colpiti non furono uccisi, ma soltanto feriti; nonostante cio la rilevanza storica dell'Incidente di Kobe e notevole poiche in tale occasione i rappresentanti del nuovo governo Meiji si trovarono per la prima volta a svolgere negoziati diplomatici con i Ministri delle potenze occidentali. I rappresentanti esteri chiesero ed ottennero in breve tempo la condanna a morte (mediante harakiri, o seppuku, ossia il taglio del venire) di Taki Zenzaburo, l'ufficiale che ordino ai soldati di aprire il fuoco contro gli stranieri. E il Governo Meiji, in occasione dell'esecuzione di Taki, fece in modo che sette rappresentanti di altrettante potenze estere potessero assistere per la prima volta a quella lugubre cerimonia. Uno di loro era un giovane italiano, Pietro Savio (1838-1904), il quale, nonostante non fosse un diplomatico, lavorava in quegli anni come factotum presso il Consolato e la Legazione Italiana (e negli anni successivi si dedichera, come molti suoi compatrioti, al commercio del seme-bachi). Questo volenteroso giovane, che, affascinato dalla cultura nipponica, aveva addirittura deciso di intraprendere to studio della lingua giapponese, subito dopo aver assistito all'esecuzione di Taki, scrisse un breve resoconto manoscritto indirizzato all'allora Ministro Plenipotenziario Italiano in Giappone Conte Vittorio Sallier De La Tour (1827-1904), ed alcuni anni dopo, all'interno di un suo libro pubblicato nel 1875 e intitolato Il Giappone nella sua vita pubblica e privata, torno a soffermarsi su quella vicenda che lo segno cosi profondamente. In questo articolo verranno innanzitutto analizzate le lettere manoscritte (inedite) che il Ministro Italiano in Giappone Conte De La Tour invio a piu riprese al Ministero degli Affari Esteri a Firenze in merito ai fatti di Kobe, la relazione manoscritta (anch'essa inedita) di Pietro Savio sull'esecuzione di Taki e la parte de Il Giappone di Savio riguardante l' harakiri. Sulla base delle suddette fonti primarie verranno messi in luce i seguenti punti: 1) La posizione particolare del Ministro De La Tour riguardo alla decisione presa insieme agli altri rappresentanti diplomatici di chiedere la pena capitale per Taki: egli non si trovava pienamente d'accordo con i suoi colleghi poiche considerava tale punizione troppo severa. Tuttavia, De La Tour, il quale era giunto in Giappone da pochi mesi e non poteva ancora contare sull'appoggio di navi da guerra italiane, non fu in grado di far valere la sua posizione. Si pensa che, dopo l'Incidente di Kobe, De La Tour sia riuscito a convincere il governo italiano a far stazionare una nave da guerra nei mari dell'Estremo Oriente (la prima, ovvero la Principessa Clotilde giungera in Giappone nel dicembre dello stesso anno), allo scopo di tutelare gli interessi dell'Italia e aumentare il prestigio del Regno in quelle terre lontane. 2) Il modo in cui Savio descrive, nei suoi resoconti, come Taki Zenzaburo affronto la morte: a differenza delle piu famose testimonianze, prima fra tutte quella in lingua inglese di Algernon Bertram Mitford (1837-1916) (anch'egli era uno degli stranieri presenti la notte dell'esecuzione), Savio esalta, seppur con uno stile semplice e pacato, il coraggio di Taki, ammirando la purezza d'animo che accompagno il guerriero negli ultimi istanti di vita senza soffermarsi troppo a sottolineare il fatto che egli fosse un semplice criminale da punire. 3) L'importanza storica dell'opera di Pietro Savio: e necessario sottolineare che egli, con la sua pubblicazione del 1875 (Il Giappone al giorno d'oggi nella sua vita pubblica e privata), fu il primo testimone diretto ad illustrare ai lettori italiani il singolare rituale dell'harakiri, soffermandosi allo stesso tempo su numerosi altri aspetti della cultura nipponica.
著者
田中 英道 田中 俊子
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
vol.33, pp.148-170, 1984

L'autore fini di stendere l'opera verso il 1330. Egli era alle dipendenze dei Bardi e rapresentava i loro interessi nell' isola di Cipro e di altri luoghi. Il libro fu da lui scritto con l' intendimento che fosse usato dai mercanti al servizio dei Barbi. Esso e una guida per esercitare la mercatura in Europa ed in Asia. Nella prima parte l' autore da utili indicazioni per poter commerciare con la Cina e l' Asia Centrale, allora possibile grazie alla Pax Mongolica. Nel suo libro egli dimostra quanto desse valore al Commercio della seta. Ed e proprio della stoffa di seta cinese che si puo riconoscere nelle opere di Simone Martini. Nel libro il Pegolotti tratta nei particolari dal valore delle varie monete e dei pesi e misure usati in molti paesi d' Asia ed Europa. Abbiamo provveduto alla traduzione della parte del libro che tratta del commercio con la Cina, cioe abbiamo tradotto i primi otto capitoli allo scopo di sottolineare come il commercio tra Italia e Cina fosse assai sviluppato. In Italia esistono pochi studi recenti su tale tema. Esiste, come e noto, la traduzione inglese di H. Yule e Cordier e lo studio di A.Evans del 1936. Con questa nostra traduzione, vogliamo incoraggiare studi ad alto livello sui rapporti commerciali tra l'Italia e l' Asia nella questa epoca.
著者
中川 さつき
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.45, pp.77-99, 1995-10-20

In questo articolo prendo in esamealcuni capolavori di Metastasio scritti fra il 1732 e il 1734, cioe Adriano in Siria, l'Olimpiade, Demofoonte, e La clemenza di Tito ; tutte le opere sono composte per festeggiare il giorno della nascita dell'imperatore o dell'imperatrice degli Asburgo. In queste opere, la norma alla quale i personaggi devono attenersi e definita dal poeta virtu. Virtu significa compiere il proprio dovere sociale, cioe per il sovrano governare il proprio paese nobilmente, e per il suddito ubbidire al sovrano fedelmente. Il protagonista metastasiano ha difficolta nell'essere un grande sovrano o un vassallo fedele, perche se compie il suo dovere, deve abbandonare la sua amante, deve scegliere cioe fra l'amore o virtu. Questo dilemma lo tormenta nel corso dell'opera ma alla fine prevale la virtu. Il protagonista sceglie sempre la virtu con spirito di sacrificio, ma in realta non sempre finisce con l'abbandonare la sua amante.Se il protagonista e un imperatore come Adriano o Tito, compie il suo dovere di conarca rinunciando all'amante. Al contrario, se il protagonista e un vassallo, pur essendo pronto a abbandonare la sua amante, non giunge a compiere questo sacrificio grazie all'intervento provvidenziale del sovrano. Nell'ultimo atto infatti il re rivela il segreto della sua nascita risolvendo cosi la situazione. Qui ci sono due considerazioni importanti da fare : la prima e che il vassallo non e mai sacrificato per il suo sovrano ; la seconda e che il potere decisionale spetta sicuramente al sovrano benche egli non sia il protagonista. Cosi il potere del re si manifesta proprio nell'ultimo atto. I libretti metastasiani ritraggono i sovrani magnanimi che governano sacrificando i propri desideri personali e vassalli fedeli che si sforzano di servire il proprio re anche rinunciando all'amore. Metastasio ha scritto le sue opere utilizzando materiale classico, ma ha creato di fatto un'immagine ideale dell'Ancien Regime per il teatro imperiale degli Asburgo.