著者
土肥 秀行 Hideyuki DOI
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 = Studi Italici (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.61, pp.195-216, 2011-10-15

Questo articolo prende in analisi una tesi ormai comunemente recepita da lettori e studiosi di Giuseppe Ungaretti: quella dell'influenza giapponese sulla forma breve della prima produzione del poeta. Gia nel 1962 Luciano Rebay, uno dei piu celebri critici ungarettiani, ipotizza una possibile "origine giapponese" di Ungaretti, mentre Atsuko Suga sostiene nel 1981 che i componimenti introdotti da Harukichi Shimoi e Gherardo Marone sulla rivista <<La Diana>>, e letti da Ungaretti, si classificano in stile waka, anziche haiku (chiamato allora haikai in Italia) e si mostrano inoltre come rifacimenti creativi in prosa, ovvero delle "versioni" ben distanti dalla nostra concezione di traduzione. La studiosa insomma non riconosce l'impronta haikaistica nella poesia ungarettiana del primo Novecento. Risalendo agli inizi della questione, cosi come viene dibattuta nel 1933 tra Ungaretti e Enzo Palmieri (critico dell'ex-circolo de <<La Diana>>), Shimoi e Marone iniziano a collaborare per la traduzione delle poesie giapponesi verso la fine del 1915; Marone e il soldato Ungaretti si conoscono per corrispondenza nell'aprile 1916; su <<La Diana>> del mese successivo Marone pubblica per la prima volta le traduzioni dei versi giapponesi della poetessa Akiko Yosano, e di seguito una poesia ungarettiana, Fase, composta in forma alquanto essenziale. In un'apparente coincidenza-in realta meditata con ogni probabilita dalla redazione-questi due poeti, tanto distanti fra loro, vengono riportati consecutivamente sulle stesse pagine. Dunque la produzione poetica di Ungaretti (ripresa un anno dopo l'esperienza lacerbiana) e il lavoro di traduzione di Shimoi-Marone procedono quasi contemporaneamente. Da parte nostra abbiamo alcune riserve nel riconoscere in Ungaretti un'effettiva disposizione a prendere in esame i poeti giapponesi tradotti per la rivista. Nondimeno i letterati de <<La Diana>> sostengono, sin dalle loro prime recensioni a Il porto sepolto (la prima raccolta uscita nel dicembre 1916), un'affinita stilistica tra Ungaretti e i poeti giapponesi, tanto da creare l'etichetta, ancora oggi ampiamente accreditata, "Ungaretti haikaistico": tale definizione e all'origine della polemica del 1933 attorno al poeta ormai pienamente affermato, e nello stesso tempo indignato per il vecchio epiteto attribuitogli. La motivazione per cui Ungaretti tende a comporre in forma breve deriva, in parte, dalla lettura dei poeti giapponesi, ma dall'altra parte e necessario identificare anche un altro importante fattore di influenza nella corrente allora definita "frammentismo", un filone diffuso specialmente tra gli avanguardisti napoletani degli anni Dieci. Nel periodo successivo, il critico Aldo Capasso, il quale conosceva sia il circolo dianiano che Ungaretti, attacca la definizione crociana di "non poesia" a proposito dell'opera di Giovanni Pascoli, valorizzandola invece all'insegna del frammentismo, ossia dello stile haikaistico. Uno dei saggi pascoliani di Capasso, Sulle Myricae del 1935, spinge il giovane poeta Pasolini a concepire una tesi di laurea a sostegno del "particolare" in Pascoli. Nel clima bolognese della fenomenologia anceschiana, in cui intellettualmente si collocava lo stesso Pasolini, il frammentismo prevale come tendenza principale dell'ultima generazione. Tornando indietro di qualche tempo, Luciano Anceschi, allora critico debuttante, si distingue per un articolo su Yosano, le cui opere sono inserite nell'antologia Lirici giapponesi (1927), edizione accresciuta delle Poesie giapponesi (1916) curate da Shimoi e Marone e lette all'epoca con passione da Ungaretti. Ad un esame stilistico-variantistico delle due celeberrime poesie ungarettiane, Mattina, che suona <<M'illumino/d'immenso>>, e Notte di maggio (1915-1936) in cui Carlo Ossola percepisce il ritmo haikaistico rovesciato (7-5-7 sillabe), bisogna ammettere, quasi parallelamente alla tesi di Suga, che in Ungaretti il metro e la brevita della poesia giapponese siano sottilmente presenti, benche in maniera non determinante. Stando invece alle dichiarazioni di Ungaretti nel dopoguerra, il frammentismo viene da lui ricordato positivamente in un saggio leopardiano (1952-1963) con riferimento ad una poesia "interrotta" ma "compiuta" e l'ultimo Ungaretti (1963) racconta la propria prima stagione poetica alludendo ad un'analogia con un concetto chiave della forma breve giapponese: <<cogliere un attimo>>. Il poeta, infine, durante la sua visita in Giappone del gennaio 1960, dichiara di essere stato vicino alla poesia giapponese a livello metrico e tematico. Anche per via di questi commenti dell'autore stesso, la lettura del primo Ungaretti sotto l'angolatura della poetica frammentistica e nipponica continua a trovare numerosi sostenitori.