- 著者
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角田 かるあ
- 出版者
- イタリア学会
- 雑誌
- イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
- 巻号頁・発行日
- vol.71, pp.133-159, 2021
<p>Movimento artistico d'avanguardia diffusosi in tutto il mondo attraverso il manifesto Fondazione e Manifesto del Futurismo pubblicato nel 1909, voltava le spalle al passato e rifiutava la tradizione, glorificando la bellezza delle macchine, della velocità e del dinamismo che ben si adattavano allo spirito del nuovo secolo. La sua sfera d'azione venne ampliata ad ogni espressione artistica purché ne condividesse lo spirito, caratterizzandone la natura interdisciplinare, ma in questo quadro il fotodinamismo rappresentò un'eccezione a cui non venne concesso alcuno spazio.</p><p>Inventato nel 1911 dai fratelli Bragaglia, Anton Giulio (1890-1960) e Arturo (1893-1962), per i pittori del primo futurismo esso non meritava alcuna collocazione all'interno del movimento: pittori come Umberto Boccioni, che miravano a riprodurre sulla tela "il dinamismo del mondo come sensazione dinamica", percepivano nella fotografia un congelamento della sensazione del movimento sulla pellicola e ciò ne escludeva il riconoscimento come forma d'arte.</p><p>Un esame della letteratura manifesta la problematicità della macchina fotografica per i pittori futuristi: la fotografia non poteva infatti che immortalare la realtà in maniera veritiera, imprimendola in un eterno istante a cui ogni forma di dinamismo era negata e ciò ne limitava la portata ai soli scopi pratici. In questo lavoro si avanza l'ipotesi che questa non sia stata l'unica causa dell'esclusione, individuando i motivi della messa al bando anche nei pregiudizi negativi di cui la fotografia era gravata e nel loro persistere nel contesto culturale italiano. Tali pregiudizi derivavano dai suoi due principali contesti di impiego: il primo, "commerciale", documentava rovine storiche e monumenti di interesse culturale, il secondo, la fotografia artistica, era caratterizzato dalla ricerca dell'evasione dalla realtà, o escapismo, nella riproduzione di scene idilliche dallo stile classico.</p><p>In primo luogo si esegue un'analisi dei quattro generi esaminati ad oggi dalla letteratura accademica per determinare le caratteristiche preponderanti della fotografia italiana dell'epoca: "fotografia di viaggio", "fotografia architettonica", "fotografia artistica", "fotografi amatoriali". Si procede poi ad esaminarne gli aspetti più evidenti, quello legato alla fruizione dei beni culturali e l'escapismo, approfondendo il pensiero dei pittori futuristi e confrontando i principi dei manifesti futuristi con l'essenza della fotografia storica ed escapista. Questo esame comparativo delle fonti suggerisce in primo luogo che la fotografia del patrimonio culturale, legata all'ambito commerciale, limitandosi a ritrarre soggetti di un passato remoto che i futuristi non apprezzavano, non poteva che essere denigrata; e, in secondo luogo, che la prospettiva futurista non poteva approvare che la fotografia non solo si limitasse all'ambito documentale, ma fosse anche oggetto di commercializzazione in Italia e all'estero. Un ulteriore fattore a sostegno di questa interpretazione è rappresentato dell'opposizione dei futuristi alla diffusione di un'immagine dell'Italia superata, "una terra dei morti" che la fotografia commerciale all'estero promuoveva: la popolarità e convenzionalità di cui godeva portò i futuristi a rinnegare la fotografia nella sua interezza. In sintesi, dunque, è possibile ipotizzare che alla radice del rifiuto siano i caratteri della fotografia storica. Dall'altra parte, l'analisi della fotografia artistica o escapista mostra una glorificazione del "quadro antico", un'emulazione di esso che si avvale frequentemente di "motivi e soggetti già sfruttati": questo le impediva perciò di ritrarre la "vita contemporanea" e la rendeva agli occhi dei pittori futuristi oggetto di critica.</p><p>Queste caratteristiche, che, nell'Italia degli inizi del XX secolo, inducevano le masse</p><p>(View PDF for the rest of the abstract.)</p>