著者
霜田 洋祐
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.61, pp.45-69, 2011-10-15

Il rapporto tra realta storica e invenzione e uno dei problemi fondamentali e costanti della riflessione teorica di Alessandro Manzoni (1785-1873). Gli elementi paratestuali che accompagnano le due tragedie testimoniano la resistenza dello scrittore a eliminare la distinzione tra i fatti storici e il frutto dell'invenzione letteraria: due esempi rappresentativi sono la lista dei personaggi nel Conte di Carmagnola (1820) nella quale l'autore divide i personaggi in storici e in ideali, e il Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia, un'opera storiografica pubblicata in appendice dell'Adelchi (1822). Inoltre nella premessa del Conte di Carmagnola Manzoni chiarisce il motivo dell'inserimento delle notizie storiche ad apertura della tragedia: Premetto alla tragedia alcune notizie storiche sul personaggio e sui fatti che sono l'argomento di essa, pensando che chiunque si risolve a leggere un componimento misto d'invenzione e di verita storica, ami di potere, senza lunghe ricerche, discernere cio che vi e conservato di avvenimenti reali. L'intento dell'autore e dunque quello di mantenere la distinzione tra fatti reali e inventati. Questo atteggiamento induce a supporre che anche il Manzoni romanziere voglia indicare questa separazione attraverso qualche artificio, e in questo senso un ruolo importante puo essere attribuito alla figura dell'Anonimo, figura che potrebbe infatti essere considerata come segno della presenza di elementi di finzione. Com'e noto, nei Promessi sposi la presenza di un anonimo autore secentesco e del suo manoscritto rappresenta l'espediente per dare attendibilita ai fatti inventati, nella fattispecie la storia "immaginaria" del matrimonio impedito ai due giovani. Sebbene sia possibile supporre che alcuni tra i fatti registrati nel manoscritto siano storici e reali, risulta difficile valutarne la portata, in quanto la parte "storiografica" viene presentata dal narratore ottocentesco o direttamente o con riferimento ad altre fonti documentarie. Nel romanzo, gli avvenimenti raccontati dal narratore "rifacendo la dicitura" del manoscritto anonimo sono pertanto tutti inventati, mentre fuori dalla finzione romanzesca, il fittizio riferimento all'Anonimo potrebbe essere considerato il marchio dell'invenzione. Possiamo ritenere che questa funzione di etichetta sia valida non solo per la storia principale degli sposi promessi e per le narrazioni storiografiche della carestia, della guerra e della peste (e fin troppo ovvio che queste ultime sono verita storica e mentre la prima e puro frutto dell'invenzione), ma anche per le narrazioni piu complesse, come quelle biografiche dei personaggi storici. Occorre tuttavia specificare che la funzione distintiva e diventata valida dopo la revisione radicale delle "bozze": nel Fermo e Lucia, infatti, da una parte l'Anonimo invade il territorio riservato al narratore raccontando alcuni avvenimenti storici e inserendovi i propri commenti, dall'altra alcuni episodi d'invenzione vengono narrati senza alcun riferimento al manoscritto anonimo. Questo lavoro verra in gran parte dedicato al confronto tra gli episodi che riguardano i personaggi storici (Federigo Borromeo, il conte del Sagrato/l'Innominato e la monaca di Monza) nel Fermo e Lucia e quelli nei Promessi sposi. Il confronto tra le due redazioni mostra che nei Promessi sposi la fonte degli eventi e degli avvenimenti inventati e sempre il manoscritto anonimo; d'altro canto l'Anonimo e escluso dalla narrazione dei fatti storici e reali. Il lettore puo distinguere <<cio che vi e conservato di avvenimenti reali>> senza alcuna informazione extratestuale, controllando soltanto se l'Anonimo (che pero in realta non esiste) venga chiamato o meno in causa. In questo modo, escludendo altre eventuali tecniche narrative meno evidenti, la sola presenza dell'Anonimo servirebbe a costruire un <<sottile ma non insussistente cristallo>> (Petrocchi 1971: 132), una parete divisoria trasparente collocata tra i fatti reali e quelli inventati. Un'ultima riflessione sulla tesi manzoniana esposta nel discorso Del romanzo storico e, in genere, de' componimenti misti di storia e d'invenzione (1850) puo rendere piu chiara la singolarita del compito assegnato all'espediente (classico e percio apparentemente convenzionale) del "manoscritto ritrovato". Secondo Manzoni, all'interno di un romanzo storico si riscontrano due esigenze opposte: l'unita del racconto e la distinzione tra i fatti storici e quelli inventati. Se nei Promessi sposi il manoscritto anonimo puo fungere da segno distintivo, e tuttavia opportuno ricordare che nella finzione romanzesca l'Anonimo non e un romanziere, bensi uno storico e il suo manoscritto viene trattato come una delle fonti che lo scrittore moderno utilizza per la narrazione, contribuendo cosi a mantenere l'unita del racconto. Sebbene sia probabile che retrospettivamente Manzoni non l'abbia considerata una soluzione soddisfacente, l'espediente di utilizzare un manoscritto anonimo deve essere connesso alle esigenze di unita del racconto e di distinzione dei fatti esposti nella narrazione che l'Autore ha espresso nel discorso Del romanzo storico.
著者
霜田 洋祐
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.62, pp.1-25, 2012-10-16

I frequenti interventi in prima persona del narratore-autore sono uno degli elementi tipici dei romanzi europei del primo Ottocento. La figura del narratore dei Promessi sposi, per molti aspetti, appartiene a questa tradizione. L'uso manzoniano delle prime persone e, pero, a ben vedere, molto particolare, in quanto lo scrittore milanese le utilizza in modo sistematico. Nell'introduzione dei Promessi sposi, interrompendo <<il proemio>> dell' autore anonimo con un discorso diretto, il Manzoni narratore si presenta con la prima persona singolare. Dopo aver manifestato l'intenzione di <<prender la serie de' fatti>> dal manoscritto e <<rifarne la dicitura>>, pero, comincia improvvisamente a usare la prima persona plurale (plurale "autoriale"). Poiche queste due prime persone, <<io>> e <<noi>>, vengono usate alternatamente nel romanzo, gia alcuni critici hanno giustamente tentato di classificare le loro funzioni mettendo in evidenza la pluralita del ruolo della voce narrante. Tutti i modelli di classificazione elaborati sono basati, in diversa misura, sull'idea di un <<noi>> autorevole che parla con sicurezza e pronuncia la verita. Questa sfumatura di autorevolezza e propria del plurale autoriale, ovvero la prima persona plurale usata al posto della prima persona singolare. Il narratore dei Promessi sposi, tuttavia, fa un largo uso anche della prima persona plurale allo scopo di coinvolgere il lettore. Si tratta del plurale inclusivo (<<io>> + <<voi>>) che potrebbe essere definito un <<noi>> "affettivo". Tra i casi evidenti di questo <<noi>> affettivo si puo classificare l'aggettivo possessivo <<nostro>>, che viene usato riferendosi ai personaggi <<il nostro Abbondio>>, <<il nostro giovine>>, ecc.) e fa in modo che il lettore condivida l'affetto del narratore-autore verso di loro. Insieme alla prima persona dell'aggettivo possessivo, con cui il narratore gioca sulla complicita con i lettori, anche le altre forme (verbale e pronominale) della prima persona plurale vengono usate per includere l'ascoltatore o meglio il lettore. Accanto ai verbi che si riferiscono all'atto del parlante / scrivente (<<abbiamo scritto>>, <<citeremo>>, <<ometteremo>>, <<spendiamo quattro parole>> ecc.), si trovano quelli che sembrano voler coinvolgere il lettore. Tipici sono i verbi che raffigurano chi "vede" i personaggi e la loro storia e seguendoli "si muove" dentro il testo (<<come abbiam veduto>>; <<per andar dietro a Renzo, che avevam perduto di vista>> (XI, 49); <<andiamo a vederlo [=Cardinale Borromeo] in azione>> (XXII, 47); <<Trasportiamoci al castello>> (XX, 42), ecc.). Anche se rimane difficile individuare tra i due poli una linea di confine netta, si deve comunque dire che la differenza tra il <<noi>> autoriale propriamente detto e il <<noi>> affettivo e notevole, e siccome all'interno delle enunciazioni contenenti la prima persona plurale, ritenute per lo piu omogenee, emerge questa varieta significativa, sara opportuno riconsiderare la loro tipologia. Ciascuno dei due tipi di <<noi>>, che compaiono entrambi di frequente nel romanzo manzoniano, ha una propria funzione. I dati raccolti da chi scrive mettono in rilievo la frequenza disuguale delle enunciazioni con il <<noi>> autoriale (esse appaiono in totale piu di 200 volte). Se ne trovano numerose nei capitoli cosiddetti "storici", capitoli in cui vengono narrati i fatti realmente accaduti. Si puo quindi ritenere che l'uso del <<noi>> autoriale sia fortemente motivato dall'atto di riportare le vicende storiche, e che la presenza di questo <<noi>>, creando un effetto di veridizione, contribuisca in un certo senso alla distinzione tra la narrazione storica e quella inventata. D'altro canto il <<noi>> affettivo (presente nel romanzo circa 140 volte), con una distribuzione nei capitoli relativamente equilibrata, viene usato spesso nei cambi di scena. Utilizzandone la funzione fatica o comunicativa, il narratore invita i lettori (solo quelli che hanno percorso con lui l'itinerario del viaggio testuale e non altri) a partecipare al lavoro di svolgere la trama. Dunque, diversamente dai romanzieri della generazione successiva, tendenti a celare i segni dell'<<io>> narrante, il narratore-autore dei Promessi sposi utilizza le vane forme della prima persona valorizzandone attentamente le diverse funzioni cosi da renderle parte della strategia narrativa con cui affronta alcuni dei problemi principali del romanzo moderno: la verosimiglianza del racconto, la veridicita della narrazione e il rapporto con il lettore.
著者
霜田 洋祐
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.59, pp.137-161, 2009-10-17

Nella sua prima raccolta, Dialogo dei massimi sistemi, Tommaso Landolfi tratta frequentemente-spesso allusivamente-le poetiche a lui contemporanee. Da questo punto di vista, riteniamo importante condurre un'analisi sul racconto da cui prende il titolo la raccolta, in cui si discute "un problema estetico", ossia il valore estetico delle poesie scritte in una lingua inventata. In questo articolo si cerca innanzitutto di seguire attentamente lo svolgimento del racconto nel suo processo dinamico e, analizzando la struttura del dialogo, far emergere la ragione della scelta del titolo stesso: vi verranno infatti messi in luce i legami con il Dialogo dei massimi sistemi di Galilei. Il dialogo si svolge fra tre personaggi: l'io narrante, che si puo considerare portavoce delle opinioni di Landolfi, un poeta chiamato Y, autore di alcune poesie, e un "grande critico" la cui teoria estetica e assimilabile a quella dell'epoca, l'ermetismo, poetica tendente a dichiarare l'assolutezza della poesia. Nella discussione, l'io narrante si oppone al "grande critico" con un ragionamento rigoroso basato su un concetto linguistico simile a quello sausurriano: un'opera d'arte, corrispondente alla parole saussuriana, e realizzabile e giudicabile soltanto attraverso un complesso di norme, la langue. Il poeta Y, d'altra parte, mette in difficolta la tesi del critico spingendola alle estreme conseguenze e costringendolo ad ammettere che perfino le sue poesie rientrano nella definizione di opera d'arte. Il fatto che le opinioni dei due amici si contrappongano a quelle del "grande critico" ci induce a pensare che il personaggio del poeta Y rappresenti l'alter ego dell' "io"-Landolfi. A questo punto possiamo individuare la corrispondenza tra il dialogo landolfiano e quello galileiano: anche in quest'ultimo infatti compaiono tre personaggi, dei quali i due rappresentanti della posizione dello scienziato, Salviati e Sagredo, difendono il sistema copernicano contro il terzo, Simplicio, sostenitore del sistema aristotelico-tolemaico. In questo lavoro si presenta l'ipotesi che il titolo del racconto landolfiano abbia un doppio senso. In primo luogo lo riteniamo un titolo ironico dal momento che l'argomento del dialogo e minuscolo rispetto alla grandiosita del titolo. In questo senso l'interpretazione puo essere avvalorata anche dalla citazione che il "grande critico" trae dai Promessi Sposi per definire la disputa in corso, "una guerra d'ingegni cosi graziosa", frase che, all'interno del romanzo, si riferisce ironicamente al dibattito insignificante sulla cavalleria. In secondo luogo, il titolo intenderebbe alludere a una concezione "copernicana", ossia relativistica, dell'arte, secondo la quale un'opera d'arte non puo essere assolutamente autonoma, ma dev'essere sempre relativa a un complesso di norme. La teoria letteraria del "grande critico" e le poesie dell'amico Y sono ascrivibili alle correnti poetiche in voga intorno al 1930-1940. Attribuendo un ruolo importante a concetti salienti come l'indipendenza assoluta dell'opera d'arte e la predilezione per le parole suggestive e oscure, la teoria del "grande critico" puo essere assimilata all'ermetismo-versione italiana della poesie pure-, fiorita soprattutto a Firenze, dove Landolfi si formo come scrittore. Per provare questa ipotesi, prendiamo in considerazione da una parte Letteratura come vita di Carlo Bo, il cosiddetto manifesto dell'ermetismo, estraendone il concerto principale, e dall'altra una poesia di Quasimodo, come esempio di poesia ermetica. Identificando il "grande critico" con un esponente dell'ermetismo, pensiamo alla possibilita di sovrapporre alla sua figura quella di Croce, al quale si riferiscono gli ultimi passi del dialogo in cui e citata l'apertura del primo capitolo di Breviario di estetica. Benche non sia possibile considerare il critico come ermetico e nello stesso tempo come crociano, non si puo negare che il crocianesimo rappresenti una delle componenti fondamentali dell'ambiente in cui nasce il dibattito del racconto. Per concludere, Landolfi assume come tema del racconto una problematica reale e concreta, non meramente fantastica come puo apparire a prima vista. La composizione del Dialogo dei massimi sistemi deve essere considerata all'interno dell'ambiente e del dibattito letterario fiorentino degli anni Trenta: solo storicizzando il racconto la lettura risulta concorde con la poetica "copernicana" dell'io narrante e quindi con l'intenzione dell'autore, secondo la quale l'espressione individuale e possibile solo perche alla sua base esiste una lingua, considerata come complesso di convenzioni. Parallelamente, la creazione letteraria ha come retroterra la tradizione letteraria stessa e si fonda sul concetto di intertestualita, lo stesso Dialogo e cosi progettato in modo tale che se ne puo dimostrare il vero valore solo quando se ne consideri la dialogicita con le altre opere letterarie.