著者
星野 倫
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
vol.69, pp.49-72, 2019 (Released:2021-01-23)
参考文献数
54

Benché la pubblicazione dei saggi di Bruno Nardi Dal «Convivio» alla «Commedia» abbia a lungo relegato il Convivio al ruolo di opera minore e intermedia utile all’interpretazione del Poema, oggi gli studiosi tornano a guardare quest’opera con rinnovata attenzione e ad interrogarsi sul progetto che l’ha portata alla luce. In questa direzione si muove anche la presente indagine, volta ad individuare fonti e modelli dell’opera, da Brunetto Latini a Cicerone.Dante, nel noto capitolo (Conv. II, xii) in cui espone la propria formazione culturale fiorentina dopo la morte di Beatrice, indica due testi: il De consolatione Philosophiae di Boezio e il De amicitia di Cicerone: mentre sul primo, racconto autobiografico in forma di prosimetro, non vi sono dubbi, risulta più difficile inquadrare il peso del dialogo ciceroniano nell’elaborazione del Convivio. Per quest’opera, infatti, è stato piuttosto indicato come modello il Tresor di ser Brunetto, che di Cicerone fu volgarizzatore e commentatore a Firenze.Brunetto, nella Commedia, affida a Dante il proprio lavoro con le parole «Sieti raccomandato il mio Tesoro» (Inf. XV, 119): segno dell’esplicito riconoscimento dell’opera enciclopedica del maestro come uno dei testi di riferimento da parte dell’allievo. Per quanto siano almeno sette i casi in cui il Convivio mostra riferimenti alla Rettorica, traduzione parziale del De inventione ciceroniano con ampio commento, e ben venticinque al Tresor, ciò non consente di definire il Tresor quale modello del Convivio. La leggerezza e la gioia che traspaiono dalla narrazione del Tresor (l’autore paragona le virtù cardinali con gioielli in Tres. II, i, 3), non si riflettono nella gravità e scientificità ricercata dal testo di Dante, e la lingua del Tresor, il francese, è lontana da quella dell’allievo.Simone Marchesi (2001) ha individuato nel primo trattato del Convivio (Conv. I, xii, 10) la citazione di un passo del Tresor (Tres. II, xci, 2, che è in realtà una libera traduzione del ciceroniano De Officiis II, xi, 40) senza evidenziarne l’eco brunettiano, citato tuttavia esplicitamente dal poeta nel quarto trattato. La ricezione dantesca di Cicerone appare aver acquisito progressivamente peso anche nel processo di composizione del Convivio, il che induce a considerare l’opportunità di indagare l’opera ciceroniana come fonte e modello dell’opera.Nel Convivio Cicerone è esplicitamente citato ventuno volte. Dante dichiara di aver letto a Firenze il De amicitia, citandolo nel primo trattato quasi letteralmente; il De senectute, che affiancava il De amicitia nella didattica medievale, è citato una volta nel secondo trattato e sette nel quarto; del De Officiis invece, come già osservato, non si rilevano tracce nei primi tre trattati, ma nel quarto ne compaiono sette citazioni.Il testo che si intende sottoporre all’attenzione qui è il De finibus bonorum et malorum, opera citata da Dante prima di tutti gli altri testi ciceroniani. Al De finibus, opera filosofica corposa e distante da opuscoli didattici quali il De amicitia o il De senectute, il poeta si ispira in Conv. I, xi, 14, allo scopo di giustificare la scelta linguistica del volgare, richiamandosi al passo ciceroniano (Fin. I, [ii], 4) che difende la legittimità dell’uso del latino per la disquisizione filosofica. Esaminando la diffusione dei manoscritti ciceroniani nell’Italia medievale, L. D. Reynolds (1992) ha messo in luce come il De finibus fosse giunto a Padova a fine Duecento e da lì avesse preso a circolare nel Nord della penisola. L’esiliato Alighieri viene in contatto con quest’opera, ne legge l’inizio del primo volume e lo cita nel primo trattato del Convivio, illustrando estesamente (dal cap. v al xiii) la scelta del volgare per il commento delle sue canzoni filosofiche. Potrebbe dunque essere proprio il(View PDF for the rest of the abstract.)
著者
星野 倫
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
vol.67, pp.1-23, 2017 (Released:2018-11-28)
参考文献数
50

Il ragionamento filosofico aperto da Dante nel primo libro della Monarchia con il concetto dell’intellectus possibilis, realizzabile solo nella moltitudine del genere umano («Et quia potentia ista per unum hominem seu per aliquam particularium comunitatum superius distinctarum tota simul in actum reduci non potest, necesse est multitudinem esse in humano genere, per quam quidem tota potentia hec actuetur»: I, iii, 8) viene condotto sulla scorta delle tesi di Averroè, come l’Autore stesso dichiara («Et huic sententie concordat Averrois in comento super hiis que De anima»: 9).In questo contesto, lo scopo del presente studio è rispondere ad alcune questioni relative alla ricezione della filosofia averroistica da parte dell’Alighieri: in particolare si intende chiarire quale testo fosse presente a Dante, se egli accettasse o meno la concezione del cordovese sull’unità dell’intelletto umano, se tale atteggiamento si differenzi nelle occorrenze del sintagma rilevabili nel Convivio e nel Purgatorio e, in conclusione, se e in che modo esista la possibilità di ordinare cronologicamente i riferimenti danteschi all’intelletto possibile.A questo scopo, in primo luogo è opportuno osservare come, in realtà, nel commento di Averroè al De anima aristotelico non si legga un’elaborazione del tema perfettamente sovrapponibile a quella dantesca. Il passo più vicino all’enunciazione della Monarchia pare invece trovarsi, come già sostenuto da Jean-Baptiste Brenet (2006), in un testo di Giovanni di Jandun, Super libros Aristotelis De Anima quaestiones (III, q. 10, col. 283), in cui il maestro parigino, che pure accoglieva la teoria dell’unicità numerica dell’intelletto, rimarcava al tempo stesso il contributo di tutti gli individui alla realizzazione dell’unico intelletto possibile. Concezione, questa, che veniva impartita nell’insegnamento di Giovanni nella facoltà delle Arti dell’università di Parigi a partire dal 1310, e in seguito (nella seconda metà del decennio successivo) trasferita nelle sue opere filosofiche, e che potrebbe essere pervenuta a Dante attraverso il ricordo o gli appunti degli allievi parigini del magister o la lettura delle Quaestiones, pubblicate fra il 1317 e il 1319.È dunque possibile sostenere che Dante accettava la teoria dell’unità dell’intelletto umano? Riteniamo di poter rispondere affermativamente a questo quesito, almeno nell’accezione illustrata da Giovanni di Jandun, che si distanzia tuttavia da quella originaria di Averroè. Il maestro sosteneva infatti che l’intelletto fosse unico, ma che tutti gli individui partecipassero alla sua realizzazione, proprio come si afferma nella Monarchia. Dante accoglieva l’idea dell’unità dell’intelletto umano poiché essa rafforzava per analogia la sua dottrina politica e giustificava su base filosofica la figura di un unico imperatore garante della pace e dell’ordine.L’esame di alcuni passi che trattano la genesi dell’anima in Dante potrebbe contribuire ad avvalorare questa ipotesi. Nel Convivio (IV, xxi, 4-7) e nel Purgatorio (XXV, 37-75), infatti, Dante accenna all’intelletto possibile, dato all’anima umana direttamente da Dio e assolutamente individuale: concetto palesemente non-averroistico. In Paradiso VII, 130-144, però, riprendendo il tema della genesi dell’anima, l’Autore sostituisce la definizione intelletto possibile – precedentemente riferito all’intelletto individuale – con il più piano vita. Questo potrebbe far trasparire la scelta dantesca di assegnare al sintagma un più preciso significato: quello, presente nella Monarchia, dell’unico intelletto della specie umana.Gli elementi fin qui menzionati inducono ad elaborare un’ipotesi che renda conto della successione cronologica della stesura dei quattro brani danteschi menzionati (Conv. IV, xxi; Pg. XXV; Pd. VII; Mon. I, iii). Si ritiene(View PDF for the rest of the abstract.)
著者
藤原 卓 福本 敏 星野 倫範
出版者
長崎大学
雑誌
基盤研究(B)
巻号頁・発行日
2003

DNAワクチンとは,抗原遺伝子を組み込んだ発現ベクターにより生体内で直接抗原タンパクを発現させ,免疫応答を惹起するもので,我々はグルコシルトランスフェラーゼ(GTF)を標的とするDNAワクチンを構築する試みを行ってきたが,免疫反応を惹起する必要なタンパクレベルでの発現にいたらなかった.構造解析を行ってシグナル直下の約350AAの大きさの多型性領域に高い抗原性を決定し、そこを標的とする新たなDNAワクチン(pSecTag2-gtfB、pSecTag2-gtfC、pSecTag2-gtfD)を構築し,そこからさらにアデノウイスルのプロモーターをもつpAFC3をベースとしたDNAワクチンプラスミド(pAFC3-gtfB, pAFC3-gtfC, pAFC3-gtfD)を作成した.1.DNAワクチンの標的部位の抗原性の解析今回作成したpSecTag2-gtfB、pSecTag2-gtfC、pSecTag2-gtfDには大腸菌における発現プロモーターとしてLacプロモーターを持つので、大腸菌を用いてリコンビナントタンパクを発現させて、そのリコンビナントタンパクの抗原性を解析した.E.coli BL21-AI(Invitrogen)に形質転換し,0.2%のアラビノースを添加して発現を誘導した菌体を、抗GTF抗体をもちいてウエスタンブロットにて解析すると、すべてのDNAワクチンプラスミドで抗体との反応が認められたが、pSecTag2-gtfCが最も強く、pSecTag2-gtfBでは誘導されたタンパクの分解傾向が認められた.2.DNAワクチンプラスミドによる抗原タンパクの発現マウス由来293細胞に3種のDNAワクチンプラスミドを感染後、RNAを抽出し、それぞれのgtfに特異的なプライマーを用いてサザンプロットを行った.その結果、pSecTag2-gtfB、pSecTag2-gtfCに抗原タンパクの発現が認められたが、そのバンドはpSecTag2-gtfCが最も明確であった.これらの結果より、GTFに対するDNAワクチンプラスミドとしてGTFCを標的とすることが、最も効果が高い可能性が示唆された.今後は,pAFC3シリーズを用いて,in vitroおよびラット実験齲蝕系を用いたin vivoにおける抗う蝕作用を解析してゆく予定である.
著者
星野 倫
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
vol.66, pp.53-76, 2016 (Released:2017-12-09)
参考文献数
69

Scopo di questa indagine è l’esame di una delle rare testimonianze esterne utili alla datazione della Monarchia dantesca, vale a dire l’inciso «sicut in Paradiso Comedie iam dixi» (Mon. I, xii, 6), e valutarne la portata. La scelta di accoglierlo in senso letterale comporta necessariamente che la Monarchia sarebbe l’ultima opera scritta da Dante dopo il compimento della Commedia, ma questo non impedisce che il dibattito tra gli studiosi sia tuttora aperto, e da più di cento anni.L’ultima edizione critica dell’opera (Shaw 2009) prende in considerazione venti manoscritti più l’editio princeps. Tra questi ventuno testimoni, solo all’editio princeps manca la frase in questione, degli altri, sedici la riportano interamente, due mostrano solo piccole variazioni che non alterano la sostanza del brano, mentre gli ultimi due presentano l’omissione di alcune parole.In questo luogo, dunque, la princeps presenta una lectio singularis. Non è da escludere che l’omissione sia in qualche modo riconducibile all’errata paternità della Monarchia riferita dal curatore della cinquecentina, Oporino. Questi, infatti, nell’introduzione attribuisce il trattato non all’autore della Commedia ma a un omonimo filosofo, un Dante Alighieri contemporaneo e amico di Poliziano. La frase, dunque, sarebbe stata cassata dall’editore in buonafede (e si tratterebbe, pertanto, di una emendatio di ciò che ai suoi occhi era un errore) o meno (e si potrebbe parlare, in questo caso, di falsificazione). Il testo della princeps, piuttosto curato, fu più volte ristampato.Solo nel 1965, però, con l’edizione nazionale curata da Pier Giorgio Ricci, è stata definitivamente fissata a testo la lezione «sicut in paradiso Comedie iam dixi», confermata più tardi nell’edizione Shaw 2009. In essa si evidenzia che la mancanza di quell’inciso nelle edizioni otto-novecentesche del volgarizzamento di Marsilio Ficino del trattato politico è frutto del taglio dei curatori, giacché in tutti i testimoni della traduzione la frase in questione – in volgare – è presente).Recentemente Diego Quaglioni, curatore dell’edizione mondadoriana dell’opera, ha proposto una nuova lettura di questo passo sulla base di un nuovo manoscritto londinese (British Library, Add. 6891), con la congettura «sicut inmissum a Domino inmediate iam dixi» (il ms. presenta «sicut inminuadiso inmediate iam dixi»). L’ipotesi, tuttavia, è alquanto forzata, e sminuisce il resto della tradizione manoscritta.Un possibile indizio esterno utile alla datazione è stato portato alla luce qualche anno fa da Giorgio Padoan: il riferimento, nell’epistola a Cangrande della Scala, alle «alia utilia reipublice» (Ep. XIII, 88). Qui Dante si scusa con lo Scaligero di non poter proseguire il suo commento al Paradiso e di non portare a termine “altre attività di interesse pubblico”: generica definizione che Padoan riferisce al completamento della Monarchia. L’ipotesi potrebbe parere arbitraria, ma un’indagine sull’uso dell’aggettivo «publicus» in Dante potrebbe forse contribuire a chiarire la questione: esso, infatti, ricorre venticinque volte nelle opere dantesche, e in dodici di queste a formare l’espressione «rei publice». Dieci occorrenze sono concentrate in Monarchia II, v, in corrispondenza di una citazione ciceroniana; in precedenza (Monarchia I, i, 2-3) Dante dichiara la speranza di scrivere un libro utile all’interesse pubblico, mentre l’ultima si trova nel passo sopra citato dell’epistola a Cangrande. Pare dunque ragionevole ipotizzare che «alia utilia reipublice» possa alludere proprio alla Monarchia, il che sposterebbe significativamente in avanti la datazione dell’opera, vale a dire dopo la redazione della suddetta epistola.Oltre quanto esposto fin qui, infine, si ritiene opportuno tenere in considerazione anche due testi di Giovanni(View PDF for the rest of the abstract.)