著者
児嶋 由枝
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
vol.65, pp.167-188, 2015 (Released:2017-03-27)
参考文献数
145

Nel Museo dei Ventisei Martiri della città di Nagasaki si conserva un kakejiku (pittura su rotolo di carta) denominato Madonna della Neve, tramandato dai cristiani clandestini della zona di Sotome, in provincia di Nagasaki. Questo dipinto è stato attribuito a uno o più discepoli di Giovanni Cola, pittore e gesuita originario del Regno di Napoli e fondatore di una sorta di accademia di Belle Arti in Giappone. I discepoli di Cola, per rispondere all’incremento della richiesta di immagini sacre da parte dei cristiani giapponesi, riproducevano immagini di incisioni o di pitture portate dai missionari dall’Europa. Nelle epistole e nelle relazioni eseguite dai Gesuiti in Giappone si legge che i discepoli di Cola erano così bravi che anche gli occidentali facevano fatica a distinguere gli originali portati dall’Europa dalle copie eseguite in Giappone. Il nome autentico del gesuita-pittore, tuttavia, non risultava registrato con chiarezza, essendo indicato talvolta nei documenti e registri della Compagnia sotto varie forme, quali ad es. Niccolò, Nicolao, Nicolaus e Cola. Dalle ricerche eseguite sui documenti consultabili presso l’Archivio diocesano di Nola, sua città natale, risulta però che il nome esatto deve essere Cola. Sembra inoltre molto probabile che questi, prima del suo ingresso nella Società di Gesù, abbia lavorato a Napoli come apprendista presso la bottega di Giovanni Bernardo Lama, sempre di Nola. Sul titolo Madonna della Neve pesano poi diversi dubbi e a tale proposito sono state avanzate varie proposte, che sembrano concludere che il titolo originario sarebbe stato Immacolata Concezione oppure Madonna con Cristo dormiente. Tuttavia, alla luce delle analisi iconografiche, storiche e religiose, è ragionevole affermare che il titolo autentico sia stato effettivamente Madonna della Neve. Nel periodo della Riforma cattolica o Controriforma, infatti, la Chiesa tendeva ad esaltare le immagini taumaturgiche ereditate del periodo medioevale, quale ad es. l’icona denominata Salus populi romani di Santa Maria Maggiore a Roma e la Madonna della “Antigua” della Cattedrale di Siviglia. A questo si aggiunge il fatto che in Giappone permangono anche tracce, risalenti allo stesso periodo, che sembrano indicare la venerazione della Madonna della Neve. Per esempio, a Sotome, dove si trovava la Madonna della Neve attualmente conservata a Nagasaki, si tramandava tra i cristiani clandestini una storia miracolosa, giapponesizzata, che riguardava la Madonna della Neve. All’arrivo dei gesuiti nell’isola di Iki nel 1578, inoltre, la prima messa venne celebrata proprio il 5 agosto, ricorrenza della Madonna della Neve. Interessante è inoltre il confronto che mette in luce aspetti affini fra la Madonna di Nagasaki e una tavola raffigurante la Madonna col Bambino dell’altare maggiore della Chiesa Madre di Francofonte in provincia di Siracusa. La similitudine riguarda non l’aspetto stilistico ma quello compositivo e permette di evidenziare come anche le parti danneggiate del dipinto siano quasi uguali. La tavola di Francofonte, eseguita nel Quattrocento, venne venerata come Madonna della Neve solo dagli anni Settanta del XVI secolo a causa di un miracolo legato alla neve. È significativo il particolare della storia secondo il quale già allora la tavola aveva subito gli stessi danni visibili oggi. La copia di questa tavola doveva quindi imitare anche queste parti: nel periodo della Riforma, infatti, anche i danni presenti sulle immagini miracolose del Medioevo erano considerati importanti.(View PDF for the rest of the abstract.)

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著者
池田 廉
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.4, 1955-12-30
著者
大崎 さやの
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.57, pp.217-238, 2007-10-20

Il Filosofo inglese, commedia composta e recitata per la prima volta nel 1754, godette fin dall'inizio di un enorme successo. E se il poeta e nobile Giorgio Baffo la critico in un poemetto in dialetto veneziano -che intensifico lo scontro tra goldonisti e chiaristi- furono invece molti quelli che scrissero in sua difesa. Dal punto di vista critico, Giuseppe Ortolani, studioso del Goldoni, non ne ebbe una grande considerazione, sostenendo che l'autore "s'era allontanato dal mondo reale che gli sorrideva intorno, per avventurarsi, come nella Sposa Persiana, fra i personaggi fittizi d'un mondo straniero, conosciuto soltanto sui libri". Parole che, pero, non spiegano il motivo per cui essa fu capace di suscitare cosi tante discussioni tra i contemporanei del Goldoni. Esiste allora una ragione, contenuta in qualche parte del testo, capace di sollecitare tanto gli animi a quel tempo? Partendo da questa domanda, ho analizzato le varie critiche fatte a questa commedia, cercando proprio di individuare una possibile causa a questo dibattito e, nello stesso tempo, di cogliere il suo significato all'interno del genere comico. Il Filosofo inglese, commedia in cinque atti ambientata a Londra, ha tre personaggi principali : il filosofo Jacobbe, la vedova Madama di Brinde e l'aristocratico Wambert. Wambert, che vuole sposare la vedova, e che in questo viene contrastato da Jacobbe. A causa di questa opposizione Wambert comincia a sospettare che Jacobbe sia segretamente innamorato di Madama di Brinde, e del resto non sa che lei stessa nutre un profondo sentimento per Jacobbe. Ma viene respinta; lei non accettera il matrimonio con Wambert, per cui nessuno coronera il proprio amore. E cosi termina la commedia, che non ha un lieto fine. Baffo, nella sua critica, giustifica il suo dispiacere affermando che non riusciva a trovare alcunche di vero nei personaggi, in particolare in Jacobbe, che non si innamora di nessuno. Per cui veniva meno il senso della commedia che, a suo dire, doveva sempre descrivere la verita. Goldoni, rispondendo alle critiche del Baffo, sostiene invece come essi abbiano questa verita, che esiste una passione in loro anche se non e evidente. Del resto, proprio su questa verita Goldoni aveva fondato la sua riforma del teatro. Nella prefazione delle sue Commedie, pubblicate dal Bettinelli nel 1750, egli, citando Les Reflexion sur la Poetique de ce temps et sur les ouvrages des poetes anciens et modernes di Rene Rapin, poeta e teorico francese, chiarisce che imitare la natura e una regola da rispettare sempre nell'opera teatrale. Don Matteo Fiecco, nella sua difesa a Goldoni, sostiene proprio questo, e cioe che il Filosofo inglese, anche se e una commedia povera di avvenimenti, "s'accosta meglio al vero, ed e piu naturale". E Ferdinando Toderini, paragonando Jacobbe con gli stoici, ne loda la capacita di stare dentro la societa, pur essendo diverso dalla gente. Questa figura del filosofo, che ha "una filosofia civile, discreta e sociabile" costituisce un vertice nell'opera di Goldoni. Inoltre, Toderini mette in rilievo come Goldoni sia riuscito a far esprimere ai suoi personaggi i loro sentimenti non tanto attraverso le parole quanto piuttosto con i gesti. E questo modo di descrivere e far "parlare" le persone, tramite gli atti, era piu realistico ed efficace che se avesse deciso di usare le sole parole. Gasparo Gozzi, fratello di Carlo e noto giornalista della "Gazzetta Veneta", ha scritto anch'egli delle opere teatrali. E contro il poemetto del Baffo, interviene lamentandosi che, purtroppo, gli spettatori si erano cosi abituati a vedere commedie in cui l'amore era portato all'eccesso, da non riuscire piu ad apprezzare quelle in cui esso si presentava in altri modi. Ora, dall'analisi di questi poemetti, emerge fin troppo chiaramente come la questione principale sia da ricondurre proprio a questa verita e alla capacita dell'autore di saperla interpretare ed esprimere. Come e noto, nella sua produzione artistica Goldoni venne influenzato dalle opere francesi, e un elemento fondamentale del teatro classico francese e la vraisemblance, cosi come ha cercato di realizzarla nel Filosofo inglese. Allo stesso modo, possiamo riconoscere in essa un altro elemento della teoria francese : la bienseance, visibile nell'equilibrio manifestato dai personaggi. Gli amori non eccessivi fra personaggi ragionevoli, con una storia senza lieto fine, sembrano cosi piu vicini alla realta e alla verita. Il Filosofo inglese rimase pero un'eccezione, anche nell'opera del Goldoni, e forse proprio nella sua eccezionalita sta la ragione del suo carattere provocatorio sulla societa del suo tempo.
著者
Giunta Claudio
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.60, pp.1-33, 2010-10-20
著者
西本 晃二
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.35, pp.187-203, 1986-03-15
著者
町田 健
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.32, pp.97-116, 1983-03-10

Nel suo sistema temporale, l'italiano moderno ci offre una particolarita, cioe l'uso del "condizionale passato"(AVREBBE FATTO)per esprimere il futuro nel passato. Questo fenomeno non si osserva nelle altre lingue romanze, e l'italiano stesso poteva impiegare fino al secolo scorso "il condizionale presente"(FAREBBE)per questa funzione, per la quale l'italiano antico usava esclusivamente il FAREBBE. Ma perche l'AVREBBE FATTO si e sostituito al FAREBBE solo in italiano? Noi cerchiamo qui di spiegare questa sostituzione dal punto di vista stutturalistico del sistema verbale italiano. Il sistema temporale dell'indicativo era piuttosto stabile nell'italiano antico. Cio vuol dire che una trasformazione e improbabie che sia sorta dall'interno di questo sistema. Dovremmo dunque supporre che ci sia stato un elemento esteriore che abbia provoacato la sostituzione del FAREBBE all'AVREBBE FATTO. Prima di procedere alla spiegazione, e necessario distinguere, nel sistema temporale dell'italiano antico, il FAREBBE temporale dal FAREBBE modale. Il primo, che rappresenta il futuro nel passato, appartiene al modo indicativo ed il secondo al modo condizionale. Il FAREBBE, quindi, dossedeva le due funzioni distinte. In genre, ci sono due spiegazioni riguardo alla causa di tale sostituzione. L'una e quella che da importanza alla tendenza generale italiana ad usare una forma verbale composta inevece di forma semplice, a cui ci pare mancare una Chiara evidenza. L'altra e quella che mette in rilievo l'influsso del FAREBBE condizionale sul FAREBBE indicativo. Questa spiegazione e migliore dell'altra, visto che e molto probabile che le due funzioni di una medesima forma influiscano l'una sull'altra. Ma tenendo conto del fatto che nelle altre lingue romanze sono uguali le situazioni, dobbiamo concludere che la stessa spiegazione e insufficente e che, per renderla accettabile, e necessario chiarificare la particolarita del condizionale italiano. Confronto al condizionale francese, quello italiano e un modo cherappresenta un grado superiore di realta, avendo piu di un luogo semantico comune col modo indicativo. Sarebbe per questa prossimita semantica che il FAREBBE condizionale avrebbe esercitato il suo influsso sul FAREBBE indicativo. Il FAREBBE, cosi diventato una forma coll'unico tratto temporale "PRESENTE/FUTURO", sarebbe stato scacciato dal sistema temporale dell'indicativo, mentre l'AVREBBE FATTO sarebbe stato inserito nella posizione che era stata fin'allora occupata dal FAREBBE.
著者
深草 真由子
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.61, pp.71-91, 2011-10-15

Girolamo Ruscelli, poligrafo viterbese, senza dubbio risentendo dell'influenza del Bembo, si occupo della redazione del capolavoro del Boccaccio. La sua edizione del Decameron fu pubblicata nel 1552 a Venezia presso la tipografia di Vincenzo Valgrisio, corredata della dedicatoria Ai lettori, di note marginali, delle Annotationi aggiunte alla fine di ogni giornata (in cui si spiegavano le norme linguistiche e grammaticali) e del Vocabolario generale. Essa fu poi ristampata net 1554 e net 1557. Nel corso della polemica con Lodovico Dolce, che pubblico il suo Decameron presso Giolito net 1552 e tento di screditare l'edizione di Ruscelli che era ancora in corso di stampa, Ruscelli scrisse nel 1553 Tre discorsi, in cui metteva in discussione il criterio adottato dall'avversario, e preparo De'commentarii della lingua italiana, che sarebbero stati pubblicati postumi nel 1581. V. Branca, pur ritenendo che il Ruscelli fosse <<il piu colto>> dei poligrafi dell'epoca e <<il piu profondo negli studi grammaticali>>, giudica negativamente la sua edizione del Decameron, insieme a quella curata da Dolce, definendolo una <<sconciatura>> del testo. Viceversa, P. Trovato, in seguito alla collazione di alcune novelle con altre edizioni, nota frequenti interventi d'ordine ortografico e interpuntivo da parte di Ruscelli, ma, dato che le modifiche arbitrarie al testo sono poche, ritiene opportuno l'esame di un campione piu ampio. L'analisi sul testo dell'edizione del Ruscelli che si intende condurre in questo lavoro ha lo scopo di fare luce sul metodo filologico e sulle norme linguistiche da questi adottati, al fine di comprendere come valutarne il ruolo nella storia del Decameron in quanto modello della prosa volgare. Per quanto riguarda la correzione del testo, Ruscelli stesso dichiaro' di non aver visto l'autografo di Boccaccio e di avere seguito <<le stampe communi>>, di avere cioe adottato la lectio di molte stampe. Questa affermazione e degna di considerazione perche, nella prima meta del Cinquecento, i curatori del Decameron sostenevano che il testo della loro edizione fosse fedele all'originale, benche in realta spesso "contaminassero" il testo. Secondo P. Trovato e B. Richardson, il Decameron di Ruscelli riproponeva in particolare il testo delle giolitine anteriori al 1552 e anche della giuntina pubblicata nel 1527 a Firenze, testo che e alla base delle edizioni posteriori al 1527, incluse le sopraddette giolitine. Per mettere in chiaro il procedimento del lavoro redazionale compiuto da Ruscelli, esaminiamo qui i suoi riferimenti alle fonti che utilizzo. Ruscelli consulto almeno quattro manoscritti e due stampe antiche, probabilmente incunaboli difficili da identificare; consulto poi una stampa curata da Niccolo Delfino, ma non si puo dire che Ruscelli lo abbia seguito in modo consistente; le giolitine e, come risulta dalla nostra indagine, la giuntina del 1527. Possiamo senz'altro confermare che il Decameron del Ruscelli, se basato sul testo de <<le stampe communi>>, discendeva di conseguenza dalla giuntina. Ma la nostra collazione dell'edizione di Ruscelli con queue precedenti ci mostra come il nostro curatore non assumesse in realta sempre la lezione de <<le stampe communi>>, rifiutando a volte sia quella della giuntina sia quella delle giolitine, ma modificasse il testo seguendo le proprie norme linguistiche. Nel presente lavoro esaminiamo alcuni casi in cui Ruscelli non accetta la lectio comune, ma fa coincidere il testo con la propria prescrizione linguistica: il verbo aiutare; il passato remoto del verbo mettere; la terza persona plurale del congiuntivo presente del verbo essere; la preposizione articolata alle; Dio e Iddio. Per quanto riguarda la preposizione a con l'articolo determinativo maschile plurale, osserviamo che c'e un'oscillazione cronologica nella prescrizione grammaticale del Ruscelli, oscillazione che influenza la sua scelta della lezione nel testo: alli, considerata forma corretta nelle Annotationi, appare nella prima edizione, ma un anno dopo, nei Tre discorsi Ruscelli accuso Dolce per l'uso di li dopo le preposizioni tra cui include anche a. Respingendo quindi l'uso di questa forma, probabilmente per evitare un attacco da parte di Dolce, nella seconda e terza edizione, adotto' a' o a i, le forme proposte come corrette nei Tre discorsi e nei Commentarii. L'omologazione delle norme linguistiche nel testo, pero, non era un fenomeno raro in quell'epoca, perche in teoria lo stile boccacciano, essendo il modello migliore della prosa volgare, doveva coincidere con le norme linguistiche e grammaticali che, a loro volta, erano gia state elaborate basandosi sul suo stile. Ma il Ruscelli non mostro sempre il Boccaccio come prosatore perfetto e irreprensibile. Esaminiamo alcuni casi in cui il nostro curatore oso indicare apertamente gli errori del Boccaccio e consiglio ai lettori di non imitarlo: la ripresa della congiunzione subordinativa che; gliele indeclinabile; per+articolo determinativo maschile: per lo o per il. L'atteggiamento del Ruscelli di fronte al Boccaccio e alle norme linguistiche cui i letterati facevano riferimento dopo le Prose, puo dirsi assai critico; egli, infatti, liberandosi dall'obbedienza cieca alle lezioni bembiane, rivolse lo sguardo verso l'imperfezione del modello e sostenne la necessita di guardare con spirito critico alla lingua del Boccaccio. Queste considerazioni ci inducono a concludere che l'edizione del Ruscelli vada riconosciuta come uno dei processi piu importanti nella storia della tradizione testuale del Decameron.
著者
小林 明子
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.58, pp.41-61, 2008-10-19

La Morte di Adone (Firenze, Galleria degli Uffizi) di Sebastiano del Piombo (1485-1547), una tela insolitamente grande per l'epoca, e una delle poche opere pittoriche di argomento mitologico attribuite al pittore veneziano. Sebbene manchino documenti che permettano di determinare il committente del quadro, gli studi piu recenti concordano sul nome di Agostino Chigi (1466-1520), uno dei principali mecenati del pittore. Le ricerche precedenti, tuttavia, non avevano dibattuto a fondo la partecipazione di Chigi alla commissione di quest'opera. In questo articolo, a sostegno di questa ipotesi, si cerca di chiarire come, riesaminando il significato del soggetto del dipinto in relazione con il banchiere senese, il quadro risulta riflettere abilmente le intenzioni del suo committente. La storia di Venere e Adone ricorre in numerosi testi classici, fra cui le Metamorfosi ovidiane. Gombrich (1972) e altri indicano come fonte letteraria principale del quadro l'Hypnerotomachia Poliphili, pubblicata nel 1499 a Venezia. Considerando il significato del soggetto della morte di Adone e della sua lamentazione, che a prima vista sembra presentare caratteristiche negative, e a nostro avviso opportuno ricordare l'antico rituale dedicato ad Adone come divinita della vegetazione. Attraverso questa considerazione riteniamo quindi che si mostri con evidenza come tale soggetto possa essere interpretato nel senso di "rinascita". Nella presente rappresentazione della Morte di Adone, il gruppo a destra, composto da un uomo di profilo e tre donne, potrebbe voler accentuate intenzionalmente il concetto di "rinascita". La figura maschile potrebbe essere interpretata come negazione della facolta di rinascere di Adone, mentre le figure femminili come l'opposto di questo concetto. L'idea di "rinascita" insita in tale soggetto ci sembra in realta strettamente legata alle intenzioni di Chigi mecenate. Analizzando le opere poetiche dei letterati presenti nella sua cerchia, colpisce la concordanza di elogi nei confronti del protettore, meritevole di aver recuperato la gloria della Roma antica mediante la ricostruzione dell'attuale Villa Farnesina, nel segno della cultura classica. Considerando l'epopea di Chigi, l'immagine della Venere seduta sotto it fico al centro della scena assume percio un ruolo preciso: quello di sottolineare che la villa chigiana, testimonianza delle attivita culturali di Chigi, puo rappresentare il punto di partenza del Rinascimento a Roma. Quanto all'immagine di Venezia sullo sfondo, la si puo ritenere rapportabile al soggiorno a Venezia effettuato da Chigi immediatamente prima di chiedere a Sebastiano la realizzazione della Morte di Adone. Egli soggiorno nella citta dal febbraio all'agosto del 1511 e ottenne dal governo della Repubblica un contratto per finanziare militarmente la guerra della Lega di Cambrai. Questo successo costituisce una delle piu importanti imprese della sua carriera, attraverso la quale Chigi pote non soltanto ostentare la sua abilita politico-economica, ma anche assicurarsi una stabile fonte di guadagno. La veduta di Piazza San Marco in questo quadro potrebbe percio assumere il significato di simbolo del contributo economico e del successo commerciale di Chigi a Venezia. In conclusione, nella Morte di Adone, mentre la scena mitologica in primo piano potrebbe alludere all'impresa compiuta da Chigi come mecenate, la veduta di Venezia sullo sfondo potrebbe invece riferirsi ai suoi straordinari meriti di banchiere. Tenendo presente the in quel periodo egli desiderava ardentemente acquisire uno status sociale piu alto, a mio avviso si potrebbe rintracciare il motivo per cui commissiono il quadro nel desiderio di dimostrare che la sua attivita finanziaria non mirava al semplice accumulo di ingenti ricchezze, ma intendeva riportare a Roma il fulcro delle attivita culturali, in modo da consentire ai Chigi di diventare una famiglia promotrice delle arti al pari delle celebri casate nobili o delle corti.
著者
菊池 正和
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.58, pp.85-107, 2008-10-19

Nelle opere teatrali pirandelliane si insiste con maniacale determinazione sul triangolo amoroso, sul nodo dei rapporti sempre tesi fra uomo e donna. In questa prospettiva i personaggi cercano di stabilire la propria identita e quella degli altri. Tuttavia, fra le prime e le ultime opere si puo individuare uno sviluppo graduale che muove il soggetto empirico dalle figure maschili a quelle femminili. Nei primi testi, i personaggi maschili (che potremmo quasi considerare alter ego dell'autore) affrontano invano problemi esistenziali, svelando un'esistenza contraddittoria e inevitabilmente relativistica e finendo sempre per rimanere impigliati nel gioco delle parti o per rinunciare all'identita vera che pretendono di stabilire, senza riuscire a trovare un modo di essere autonomo e positivo. Nelle ultime opere, viceversa, le figure femminili sembrano affermare di averlo ottenuto. Nel presence lavoro si cerchera di ripercorrere la riflessione ontologica pirandelliana alla luce del ruolo ambiguo e contraddittorio dell'universo femminile. Le figure femminili delle prime opere sono contrassegnate, nel clima siciliano, da un marchio di intrinseca fragilita e passivita fisiologica, totalmente dipendenti da un uomo, il che le riconduce al doppio registro della madre santa, incompatibile con l'amante, oggetto sessuale. Pirandello inoltre attribuisce sempre un ruolo sacro alla maternita, come fondamento in cui il ruolo sociale, esteriore, coincide con il sentimento intimo, attraverso cui la donna, in quanto madre, avrebbe potuto realizzare una vita autonoma e positiva. Solo piu tardi, con l'attrice Marta Abba, nell'immaginario pirandelliano si impone una nuova figura femminile: non piu la madre santa, non piu l'amante, ma una donna carica di fascino erotico, che apprezza la vita carnale senza sensi di colpa, che ha ripugnanza a dipendere dagli uomini e li accusa di trattarla arbitrariamente. Negli ultimi anni, Pirandello ritorna nei propri miti all'immagine della madre. Assisistiamo anzi, nel contrasto fra matriarcato e patriarcato, a una sorta di trasfigurazione dal piano individuale a quello cosmico: da madre la figura femminile diventa archetipo della Grande Madre. Qui lo scrittore affida la possibilita della rinascita umana, il rinnovamento esistenziale, esclusivamente al corpo materno. Alla figura femminile attribuisce una potenza androgina, non condizionata nel rapporto madre-figlio dall'intervento maschile, quasi un'esistenza partenogenetica. L'attrice partecipa di tale partenogenesi "partorendo" un'opera d'arte attraverso la rappresentazione, creandola sul palcoscenico. Pirandello ha cercato di sublimare il suo impulso amoroso verso Marta e la propria esistenza stessa attraverso l'arte, la vita creativa. Sia l'autore che i suoi personaggi hanno cercato di stabilire la loro identita nella societa, sul palcoscenico. Il primo approccio, quello dei personaggi maschili, non e riuscito a trovare la coerenza sociale oltre the intima. In questa ricerca esistenziale, un ruolo cruciale e stato esercitato dalle figure femminili. Dopo Marta Abba, le nuove figure femminili hanno cominciato a insistere sulla propria indipendenza, la figura femminile della madre ha sostenuto l'esistenza, in un certo senso, partenogenetica, quella di attrice ha poi portato il rinnovamento della vita creandola incessantemente.
著者
野上 素一
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.3, pp.11-27, 1954-12-30

L'opera non si presenta come frutto di diligenti considerazioni su vari problemi d'oltretomba di diversi scrittori di Grecia e di Roma e d'Italia ; si presnta piuttosto come frutto d'una meditazione che ha ocupato la mentesu un problema fondamentale del mondo d'oltretomba cioe la struttura. L'autore rivolge la sua attenzione verso l'attitudine di diversi scrittori quando spiegano l'itinerari dei peregrini in quel mondo fantastico esaminando se la strada che loro seguno sia stretta o larga, scende o sale oppure sia circondata dai boschi o laghi ecc. ed alla fine conclude che il mondo d'oltretomba dantesca e architettonicamente piu completo, ma nello stesso tempo non nega una forte influenza irlandese sulla Divina Commedia.
著者
野里 紳一郎
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.42, pp.151-172, 1992-10-20

Machiavelli e il fondatore della moderna scienza politica e grandissimo scrittore. Ma in questi anni, alcuni ricercatori posano lo sguardo sull' aspetto del Machiavelli letterato (soprattutto per le sue grandi commedie, la Mandragola e la Clizia). Per esempio, E. Raimondi lo esamina fondamentalmente dal punto di vista umanistico. Nel 1498, la caduta del Savonarola apri la strada agli uffici della cancelleria al Machiavelli. Sino al 1512, che segui la fine della repubblica e il ritorno dei Medici, egli aveva molta esperienza. Di legazione in legazione, su e giu per la Toscana e la Romagna, in Francia, presso il Borgia, a Roma, nel Tirolo e in Svizzera, Machiavelli pote avere modo di conoscere piu gli uomini che la realta politica del proprio tempo. Pero dopo il 1513, Machiavelli divento quasi un sedentario, con poche occasioni di viaggi. Allora scrisse alcune lettere a Francesco Vettori. Con la stesura del Principe, Machiavelli ricomincio a sperare di tornare a essere attivo nelle cariche pubbliche. Ma per lui, fu vano nutrire tale speranza ; la sua vita cambio definitivamente. Quindi Machiavelli abbandonava ogni speranza di carriera diplomatica ; comincio una volta per tutte a considerarsi un letterato. Nel 1515, comincio a prendere gran parte nelle riunioni d' un gruppo di umanisti e di letterati. In questo gruppo che si chiama degli "Orti Oricellari", Machiavelli leggeva e si occupava della storia del Tito Livio e anche del teatro di Terenzio assieme ad altri umanisti. Quest′ esperienza ebbe l' effetto d' incanalizzare le energie creative del Machiavelli. Ne nacquero i Discorsi, la Mandragola, l' Arte della guerra, ecc.. Al fondo della Mandragola sta la medesima concezione pessimista che sta alla radice del Principe. Dal suo rigido punto di vista, il mondo reale e corrotto e tutto governato dalle basse voglie (ad esempio, l' ambizione, l' avarizia, ecc.). Nella Mandragola, tutti i protagonisti non sanno essere ne onorevolmente cattivi ne perfettamente buoni, e agiscono senza generosita e grandezza. Pare che la morale della Mandragola sia la riabilitazione del genio pratico e l' educazione della volonta, mostrando che tutto e possibile quando lo si voglia. Lo scrittore li osserva muoversi dall' alto, senza biasimo ne lode. Cambiare e migliorare la natura umana non e compito di Machiavelli. Certamente vi sono alcuni elementi di somiglianza fra le due opere, cioe, la Mandragola ed il Principe. Infatti alcuni studiosi hanno insistito sul valore politico della commedia. Al problema della continuita fra le due opere e inseparabilmente connesso l' idea formata in lui sulla natura umana. Pero non e sufficiente per intendere la Mandragola totalmente e essenzialmente. Indubbiamente e indispensabile una piu profonda conoscenza relativa all' influenza esercitata sull′ opera letteraria di Machiavelli dal teatro rinascimentale, ai rapporti con altri importanti letterati del tempo come Bernardo Dovizi, Ludovico Ariosto, ecc.. E importante mettere in risalto l' esperienza drammaturgica di Machiavelli. Il rapporto fra le due commedie (l' Andria e la Mandragola) e assai stretto e concreto. E possibile anche vincolare il testo della Mandragola al volgarizzamento dell' Andria. Infatti fra loro c' e una stretta relazione sul piano della tecnica e del linguaggio comico. Sembra ragionevole supporre un passaggio immediato dall' Andria alla Mandragola. Quindi e possibile stabilire un rigoroso nesso di relazione cronologica fra le due commedie sullo sfondo della tecnica derivata da Terenzio. Il suo punto di partenza e l' Andria, e il suo punto d' arrivo e per l' appunto la Mandragola. Ed e una linea di sviluppo che corre parallela e vicina aalla tradizione novellistica toscana, ma che e coerentemente segnata dalla tradizione classica. Pertanto Machiavelli rifiuta il teatro grottesco e farsesco in rima. La condizione da cui germina il comico nella Mandragola e raffigurata con notevole precisione nel prologo della commedia. Dal punto di vista formale, la Mandragola e la commedia tipica classica, tradizionale e rinascimentale. Pero la materia della Mandragola e interamente originale, radicale e contemporanea. A differenza della Mandragola, la Clizia rinuncia all' invenzione di un intreccio originale. Se quest' analisi fosse ben condotta, si potrebbe riesaminare il significato della Mandragola come biforcazione del pensiero del Machiavelli. Dopo che scrisse la Mandragola, Machiavelli rientro nello schema umanistico prevalente.
著者
土居 満寿美
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.44, pp.46-73, 1994-10-20

1.Introduzione E ben noto-e non si intende in alcun modo metterlo in discussione-che il vero capolavoro del Petrarca poeta e il Canzoniere;ma e altrettanto certo che il Poeta non si limita affatto alla poesia lirica volgare. Il Petrarca, filologo ardente e ambizioso, vuole emulare i grandi scrittori latini in ogni genere letterario:gli epistolari in prosa, l'epistolario in esametri, la bucolica, le storiografie, la commedia, eccetera. Tuttavia, l'opera piu ambiziosa del Petrarca umanista e l'Africa, per merito della quale il Poeta ottiene la fama e gli onori della laurea. Sebbene quest'opera sia di solito sottovalutata, non mi sembra superfluo prenderla in esame, al fine di approfondire anche la comprensione del Petrarca volgare. Soffermiamo quindi la nostra attenzione sull'<<afflizione di Massinissa>>, che appare sia nell'Africa sia nei Trionfi;procediamo poi nell'esame della figura di Laura, la cui bellezza presenta elementi e particolari pressoche identici a quelli di Sofonisba, incarnazione, quest'ultima, della tradizionale immagine femminile del Medioevo. 2.Massinissa e Sofonisba Il Petrarca trae la storia amorosa di Massinissa e Sofonisba dal libro XXX dell'Ab urbe condita di Tito Livio. Non appare necessario, in questa breve sintesi introduttiva, riassumere le vicende piu ampiamente esposte nel corso del presente articolo;ma val la pena accennare al fatto che la tradizione della tragedia(dal Trissino all'Alfieri)ha preso il nome di"Sofonisba"dal Petrarca, non gia da quello di"Sofoniba"di Livio(nota 10). 3.L'afflizione di Massinissa Nel<<Trionfo d'Amore>>incontriamo una lunga conversazione tra il poeta-protagonista e Massinissa che cammina con la sua amata nel corteo di Amore(T.A., II.vv.4-87). Questo dialogo si rivela un'eccezione, in quanto quasi tutti gli altri personaggi prigionieri d'Amore sfilano davanti agli occhi del poeta senza rivolgergli la parola. Il re numida comincia a narrare la sua storia dicendo:"La lingua tua, al mio nome si presta, /prova-diss'ei-che 'l sappi per te stesso, /ma diro per sfogar l'anima mesta:"(T.A., II, vv.28-30). Ma come mai il poeta conosce gia bene le vicende amorose di Massinissa e pare anche nutrire simpatia verso di lui, nonostante si tratti di uno straniero, il cui"parlare pellegrin"e"oscuro"? Il poeta dice:"tua fama real per tutto aggiunge"(T.A., II, v.21), ma cio non sembra verosimile, poicheM assinissa, per noi, non e di certo piu noto di Annibale o Scipione. E non era cosi famoso nemmeno nel Trecento, se il Salutati non l'ha neanche nominato nei suoi Metra incitatoria, ne lo stesso Petrarca si e interessato a questo episodio nella sua Vita di Scipione(redazione γ). E vero che il Petrarca filologo, lettore di Livio, conosceva l'episodio;ma cio spiega solo la conoscenza e non la simpatia. Per individuare le motivazioni e necessario risalire all'Africa, in cui appare l'esauriente e doloroso soliloquio di Massinissa. La simpatia del poeta-protagonista, piuttosto che nell'Ab urbe condita di Livio, dove non compare pressoche alcuna descrizione psicologica, va dunque ricercata in questo passo dell'Africa(V, vv.461-688), dove il Poeta descrive con una narrazione attenta e particolareggiata l'oscillante stato d'animo di Massinissa. 4.La bellezza di Sofonisba Livio si limita a presentare la bellezza di Sofonisba nel modo seguente:"Forma erat insignis et florentissima aetas"(Ab urbe condita, XXX, 12, 17);invece il Petrarca vi si sofferma molto piu distesamente(Africa, V, vv.18-69). La descrizione del Petrarca ha le sue basi nella teoria dell'<<amplificatio>>, secondo la"nova"poetica medioevale documentata, per esempio, da Matteo di Vendome(l'exemplum di Elena nell'Ars versificatoria)o da Goffredo di Vinsalf(un exemplum nella Poetria nova)(Raimondi). Quel tipo di lunga descrizione aveva il fine di dare verosimiglianza alla storia d'amore;tuttavia, piu che coinvolgere ed interessare i lettori, la prolissita della narrazione otteneva spesso l'effetto opposto di annoiarli. Il Petrarca, dunque, non si limita slotanto ad imitare e ricalcare i modelli precedenti, ma elimina anche alcuni particolari superflui (l'intervallo delle sopracciglia, il naso, il mento), inserendo a volte dei paragoni adatti allo svolgersi della trama. In altre parole, anche nell'Africa, il Petrarca esercita la sua poetica di ≪similitudo, non identitas≫, pur rientrando nei canoni di una descrizione piu o meno ≪convenzionale≫.
著者
ナンニーニ アルダ
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.57, pp.20-47, 2007-10-20

本稿は、イタリア語における定性概念の習得の難しさとそのプロセスに関して、初心者から上級者に至る日本人学習者のinterlanguageによって示されたデータを数量的・質的に分析しながら、検討し、分類することを目的としたフィールド・ワークを基礎としている。Giacalone Ramatなどを始めとする近年の多くの学者たちによって示されてきた第二言語習得研究のデータは、いかなる母語の学習者もinterlanguageの発達段階において似たような状況を呈することを明かしている。しかしながら、部分的には習得は、母語からの《転移transfer》が実行されることを、いずれにせよ、示しているように思われる。L2(lingua seconda)とは、その言語を母国語としているコミュニティの中で勉強し、かつ(もしくは)、自然に習得した第2言語(ここではイタリアで習ったイタリア語)の意味である。一方、今まで行われてきた研究ではもっぱらL2としてのイタリア語がテーマになっているが、母語の参照(母語からの転移transfer)という戦略がL2に当てはまるならば、LS(《lingua straniera、外国語》:その言語がコミュニティの母国語ではない場合を指し、ここでは日本で習ったイタリア語)においては、それ以上に時宜を得たものになるであろう。長い間そして様々な機会ですでに私たちの考察の対象となってきたこのテーマに取り組むために、本稿では、対照言語学的なアプローチが採用されている。すなわち、特定の場合において、イタリア語の定性(またはその欠如)が形態論的に有標であるのに対して、日本語は《主題優勢topic prominent》言語であるため、定性の大半が、対話者たちの文脈と共通の知識に委ねられているということが示される。こうした分析の結果を基にして、イタリア語教育の分野で実証された幾つかの提案が紹介される。これらの提案は、生徒たちにおけるイタリア語の定性概念の理解を促進することができると思われる。すなわち、イタリア人のためのイタリア語の記述をそのまま繰り返すのではなく、日本人にとって解りやすい定性概念の紹介を提案している。この種の活動は、もちろん、改良することも発展させることもできるし、その母語にできるだけ近い規準を利用することによって、学習者の母語には存在しない範疇を理解する一助になると考えられる。
著者
武田 好
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.41, pp.184-204, 1991-10-20

In Italia il femminismo del secolo scorso non emerse come un vasto movimento di donne : all'inizio e stato soprattutto un movimento di antesignane delle idee di emancipazione per i diritti delle donne e, alla fine, fino ai primi anni del nuovo secolo, un movimento per il suffragio. Nel dibattito sulle leggi a tutela delle lavoratrici, si evidenziarono le diverse impostazioni tra le diverse componenti del movimento femminile. Il progetto di legge redatto dalla Kuliscioff prevedeva la riduzione della settimana lavorativa a 48 ore, la limitazione dello straordinario, il divieto di impiego in lavori insalubri o pericolosi, il divieto del lavoro notturno e il congedo di un mese, pima e dopo il parto. Rispetto a questa proposta, la Mozzoni si dichiaro nettamente contraria e, nel 1898 sull'Avanti, sostenne che le lavoratrici sarebbero state escluse dalle fabbriche, disperdendo cosi la coscienza acquisita fuori casa. La Kuliscioff, come socialista, ribatteva che la legge non avrebbe allontanato le lavoratrici dalle fabbriche, ma anzi, avrebbe dato loro il tempo per formarsi una coscienza di classe. La Mozzoni, una delle prime femministe del secolo scorso, dopo circa dieci anni di collaborazione con i socialisti, si rese conto che col partito non si sarebbe potuta realizzare una effettiva parita tra i due sessi, che troppo forti erano i pregiudizi maschilisti. Pero, senza un partito che potesse incidere sul parlamento, la sua lotta a favore delle lavoratrici, perdeva di efficacia. La legge Carcano del 1902, il cui fine era la tutela della specie umana e di conseguenza la tutela della donna-madre, stabiliva per le donne un orario massimo di 12 ore giornaliere e il congedo di maternita ; ma accantono la questione della parita salariale e la cassa di maternita, con l'appoggio degli antifemministi socialisti. Questa legge, come la Mozzoni aveva previsto, contribui a rafforzare l' idea di una naturale inferiorita della donna e, inoltre, incentivo il doppio lavoro delle donne. La Mozzoni, come i socialisti, era favorevole al lavoro extradomestico, ma era una femminista al di fuori del partito. La Kuliscioff, invece, era prima socialista e poi femminista, per cui dovette rinunciare a delle istanze paritarie di fronte all'ostruzionismo dei compagni di partito. Nelle loro contraddizioni si rileva il limite del femminismo di quel periode e, in parte, di quello attuale. Cioe, da una parte esiste un problema politico sociale : I rapporti delle classi sociali all'interno di un sistema produttivo (borghesiaintellettuale e proletariato). Dall'altra. c'e il problema dei rapporti intersessuali in tutti i settori (famiglia, lavoro, religione, ecc). E proprio in quest'ultima definizione di rapporti che si colloca la questione femminile (quella passata e quella attuale) e la conseguente emancipazione femminile, intesa soprattutto come capacita di autocoscienza e di conoscenza reciproca (donna-uomo).
著者
村松 真理子
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.44, pp.25-45, 1994-10-20

A volte una'storia'puo viaggiare per secoli, superare confini geografici e spingersi in mondi diversi:il motivo dei"tre anelli", famoso soprattutto per la versione boccaccesca, e una di queste, una storia che attraverso le differenze linguistiche e culturali, la distanza temporale e quella spaziale e che, quasi fosse una sorta di materia modificabile, un contenitore flessibile, riusci a trasmettere vari messaggi, tra loro contrastanti, nel medioevo occidentale. La trama comune alle varie versioni e la'storia'di un padre che vuole lasciare un anello di grande valore in eredita a uno dei suoi trefigli. Il padre decide allora di commissionarne alcune imitazioni. Cosi, dopo la sua morte, i figli si trovano davanti a tre anelli in apparenza del tutto simili. Questa la vicenda che, nella maggior parte dei testi dedicati ai"tre anelli", e incorniciata dal dialogo o'interrogatorio'tra il sovrano e un ricco ebreo:e qui che il primo pone al secondo, con la maligna intenzione di sottrargli denaro nel caso di una risposta sbagliata, la difficile domanda:quale religione e vera, la mia o la tua? La parabola costituisce allora la risposta dell'intelligente ebreo. Questo paragone fra le tre religioni principali, che sono ovviamente l'ebraica, la musulmana e la cristianea, godette di una lunga e curiosa fortuna durante il medioevo. La sua massima espressione, quella decameroniana, venne addirittura trasportata fino alla modernita da Lessing di Nathan der Weise. Il lavoro del filologo francese, Gaston Paris, sulla tradizione di questa storia(La parabole des trois anneaux. In:La poesie de Moyen age, Paris, 1903)rimane invece ancora punto di riferimento fondamentale per gli studi sul tema. Esso delinea la trasformazione della trama nei vari testi, partendo dalla sua supposta origine ebraica nella Spagna del dodicesimo secolo e arrivando fino a Boccaccio e Lessing, con un modernistico concetto di scetticismo religioso come chiave di interpretazione. Seguendo la tradizione della parabola descritta da Paris, in questo lavoro si tenta di analizzare quattro opere, scritte nel Due e Trecento:Gesta Romanorum, Novellino, Fortunatus Siculus(Avventuroso ciciliano)e Decameron. Per seguire il cambiamento del messaggio nella trasformazione della'storia', si e ritenuto necessario da chi scrive rileggere questi brani non solo dal punto di vista contenutistico ma anche e soprattutto da quello stilistico. Gesta Romanorum, opera composta probabilmente alla fine del Duecento in Inghilterra, e une raccolta di parabole moralistiche scritte in latino ma di autore sconosciuto. Il suo ottantanovesimo capitolo racconta la storia dei"tre anelli"con la moralisatio alla fine. La differenza tra questa versione e quelle italiane che esanimiamo non si limita alla lingua ma concerne anche lo stile e la struttura. L'opera infatti conserva il tipo di narrazione degli exempla medievali con frasi compatte e ambiguita nel precisare personaggi, ambiente e tempo;non ha inoltre la cornice del dialogo tra il sovrano e un ricco ebreo ma ha in compenso la moralisatio a mo'di conclusione etico-religiosa. Nell'Italia dell'ultimo ventennio del Duecento, invece, il Novellino riracconta questo motivo in un nuovo contesto culturale. Quest'opera, che consolida la nascita del nuovo genere letterario della'novella', trasforma la 'storia'secondo la nuova etica civile:con l'eredita stilistica dell'exemblum nella sua brevitas o essenzialita, si esprime allora un forte interesse verso la 'retorica'. In uno stile fortemente segnato anche dal parlato(soprattutto nei discorsi diretti)e nella'storia'che da maggior rilievo al"bel parlare"del"giudeo", mentre la scelta della"miglior fede"in se non ha piu importanza, si intravvede un nuovo messaggio che valorizza il potere delle parole e testimonia una cultura laica e tollerante, piuttosto che'scettica'. Foutunatus siculus ossia l'avventuroso ciciliano, che e storicamente un passaggio tra Novellino e Decameron, dimostra pero aspetti diversi da entrambi. Manca infatti lo stele compatto e intenso del Novellino, le frasi sono allungate con molti dettagli aggiunti ma, nel contempo, non esiste ancora la coscienza stilistica di Boccaccio con la sua sintassi flessibile, e spesso latineggiante, elegante e capace di descrivere la psicologia umana. Come contenuto, invece, rappresenta una moralita analoga a Gesta Romanorum piu che al Novellino, con una certa rigidita nel discorso religioso.
著者
Bertelli Giulio Antonio
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.57, pp.124-165, 2007-10-20

Negli anni intorno al 1860, la produzione sericola italiana subi gravissimi danni a causa della pebrina : una terribile epidemia del baco da seta che fece la sua comparsa in Francia tra il 1845 e il 1850. In quel periodo, l' esportazione di seta greggia rappresentava uno dei pilastri portanti a sostegno dell' economia italiana; era percio assolutamente necessario trovare una soluzione rapida per arginare il problema. Un rimedio scientifico efficace per prevenire l'insorgere della pebrina fu scoperto da Pasteur nel 1869, ma gli alti costi necessari per metterlo in pratica, e la diffidenza dei bachicoltori fecero si che tale sistema fosse adottato su larga scala soltanto circa un decennio piu tardi. Quindi, per circa un ventennio, l'unica soluzione possibile per far fronte alla violenza della "dominante malattia" e per evitare il fallimento di centinaia di bachicultori era quello di procurarsi una quantita considerevole di seme-bachi (ovvero le uova dei bachi da seta) proveniente da regioni non ancora infette. Coloro che, carichi di responsabilita e di spirito d' iniziativa, si avventuravano in quelle terre sconosciute per fare incetta di seme-bachi sano, erano coraggiosi commercianti, comunemente chiamati "semai". Mentre la pebrina si allargava a macchia d'olio sia in Europa che in Asia, i semai erano costretti a "far seme" in zone ogni anno piu lontane e inaccessibili : dall' Europa dell' Est alla Turchia, dalla Persia alla Cina. Cosi, nella prima meta degli anni '60 i semai francesi e italiani giunsero a "scoprire" il Giappone. Data l' ottima qualita del seme-bachi di produzione giapponese, molti di essi decisero di recarvisi ogni anno, dando inizio ad un fiorente scambio commerciale, che continuo, tra alti e bassi, per circa un ventennio. Il commercio di seme-bachi, da un lato, ha favorito la ristabilizzazione dell' economia italiana, e dall' altro ha garantito un considerevole aumento delle entrate per il Giappone : il valore del seme-bachi esportato (i cui 3/4 circa erano destinati al mercato italiano) ha raggiunto circa il 23% sul valore totale delle esportazioni giapponesi. Il governo italiano, per tutelare gli interessi dei propri semai, ormai numerosi a Yokohama, ma costretti ad appoggiarsi a commercianti inglesi o francesi per i loro affari, decise di stipulare un trattato di amicizia e commercio con il Giappone (1866). Il trattato entro in vigore nel gennaio dell'anno successivo, quindi, pochi mesi dopo furono inviati in Giappone i primi rappresentanti diplomatici : il Ministro Plenipotenziario Conte Vittorio Sallier De La Tour (1827-1894) e il Console Cristoforo Robecchi (1821-1901). Ovviamente, l'allora Ministro degli Esteri italiano Emilio Visconti Venosta non essendo al corrente dei profondi mutamenti socio-politici del Giappone di quegli anni, non era in grado di dare ai due diplomatici indicazioni precise in merito alla linea politica da seguire in quel lontano paese. Si limito quindi a fare affidamento sulla loro perspicacia, dando loro tre linee di condotta generali, ovvero : 1) tutelare il commercio e favorire l'attivita dei semai, 2) garantire la liberta di culto e 3) evitare di entrare in contrasto con gli interessi delle altre Potenze. La presente ricerca si propone, facendo largo uso di documenti inediti (in particolare i dispacci manoscritti dei diplomatici) raccolti in diversi archivi italiani e giapponesi, di svolgere un' analisi dettagliata dell' attivita svolta dal Ministro, dal Console e dai loro segretari negli anni compresi tra il 1867 e il 1870. Lo scopo finale di questa analisi e quello di mettere a fuoco i tre punti seguenti : 1) L' attitudine del Ministro e del Console nei confronti del Bakufu e del neonato governo Meiji, 2) Il modo in cui essi hanno interpretato la caduta del Bakufu e la Restaurazione Meiji, e 3) Il ruolo che essi hanno avuto nel proteggere gli interessi dei semai italiani e nel favorire il commercio del seme-bachi. Scopo ulteriore di questa ricerca e quello di far luce sui punti non approfonditi a sufficienza nelle ricerche finora svolte (l'attivita dei segretari di legazione, il problema della consegna delle lettere credenziali, le ragioni per cui il Conte De La Tour fu costretto a rimpatriare, ecc...), e quello di riportare alla luce, dopo quasi 140 anni, alcuni manoscritti inediti, carichi di preziose informazioni (sulla residenza del Consolato Italiano a Yokohama, sul Kounji, un tempio buddista di Tokyo adibito a residenza provvisoria del Ministro, sul progetto del Conte De La Tour di organizzare una nuova spedizione nell' interno del Giappone nell'anno 1870, sull' escursione effettuata nell' estate del medesimo anno dal Console Robecchi, ecc...).
著者
國司 航佑
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.60, pp.177-200, 2010-10-20

Il rapporto fra Croce e D'Annunzio, due delle maggiori figure intellettuali del primo Novecento, e stato ed e un interessantissimo argomento per molti critici. Croce scrisse due monografie su D'Annunzio e ne parlo anche in altri scritti. Notevole e il fatto che Croce, pur avendo egli stimato favorevolmente le capacita artistiche di D'Annunzio nella prima monografia del 1904 (Gabriele d'Annunzio), lo condanni nella seconda del 1935 (L'ultimo d'Annunzio). Le ragioni di questo mutamento di giudizio e il tema dello studio che qui si presenta. Premettiamo una breve storia del giudizio critico di Croce su D'Annunzio: parlandone per la prima volta in un carteggio inviato a Capuana nel 1897, Croce lo descrive come un poeta che non puo equivalere agli "artisti grandi" anche se possiede "molta abilita tecnica". Nella prima edizione (1904) di Gabriele d'Annunzio (raccolta nel 1915 in un volume della Letteratura della nuova Italia con modifiche non trascurabili) si trovano degli apprezzamenti senza riserve: "Rendiamo omaggio a Gabriele D'Annunzio, all'artefice mirabile, […] a questa impetuosa forza produttrice […] che teste ci ha dato la Francesca e le Laudi, e gia […] annunzia compiuto nescio quid maius, una Figlia di Iorio". Ma si tratta di una lode non priva di ambiguita: nello stesso scritto infatti, pur premettendo che la parola dilettente e priva di qualunque "colorito ingiurioso", riferendosi all'indole del poeta, lo definisce un "dilettante di sensazioni". Il suo giudizio sembra via via farsi piu severo. Nel 1907, in Di un carattere della piu recente letteratura italiana, Croce condanna la "condizione di spirito" (in generale "il valore morale") che traspare nella produzione letteraria della triade Fogazzaro, Pascoli e D'Annunzio, e nel 1915 Croce, in una delle postille della Critica, rimprovera D'Annunzio chiamandolo "ex-poeta". Nell' Ultimo D'Annunzio, infine, da una parte nega ogni valore all'ultima produzione dannunziana (1904-1935), dall'altra non ammette la qualifica di "poesia" nemmeno alla "sua opera migliore". In uno studio del 2004, Angelo Pupino, considerando anche le ricerche precedenti, cerca di rendere conto di questi cambiamenti. Una minuziosa analisi delle due edizioni di Gabriele d'Annunzio, consente a Pupino di definire il primo giudizio di Croce "tendenzialmente positivo in apparenza, precario nel suo fondo". Mostrando poi come l'opinione crociana muti nel tempo, deduce che Croce, nel nuovo sistema della sua estetica, finisce per contraddire il suo iniziale apprezzamento. Secondo Pupino il germe di questa contraddizione si puo gia intravedere nel Gabriele d'Annunzio. Tuttavia se ammettiamo alcune ambiguita nel primo giudizio di Croce, risulta difficile spiegarne il tono di apprezzamento. In realta Croce basava il proprio giudizio positivo soprattutto sulle opere dannunziane degli anni 1900-1904. A suo giudizio, D'Annunzio si presentava al massimo delle sue capacita artistiche nelle sue primissime opere come Canto novo o San Pantaleone e in quelle uscite quasi contemporaneamente alla stesura del Gabriele d'Annunzio come Laudi o Figlia di Iorio, mentre in Vergini delle rocce e nei drammi, pubblicati a cavallo tra le prime e quelle coeve al saggio crociano, il valore letterario del poeta scemava. Intorno al 1903-1904, D'Annunzio si presentava quindi agli occhi di Croce come un "poeta risuscitato"; le lettere scambiate nel 1903 tra Croce e Vossler ne sono testimonianza. Sintetizzando, Croce valutava negativamente le opere come Vergini delle rocce perche ritenute manifestazione di "non si sa quali alti concetti morali e politici" che D'Annunzio "fingeva di possedere". Tuttavia, questa opinione sfavorevole e appena accennata, e il giudizio complessivo sul poeta resta positivo. D'Annunzio stesso aveva smesso di dedicarsi a questo tipo di produzione letteraria. Riteniamo che tenendo conto della motivazione della lode al poeta abbruzzese nel Gabriele D'Annunzio, sia possibile spiegare anche il giudizio crociano posteriore. Nell'esprimersi severamente nei confronti di D'annunzio nel saggio del 1907, Croce aveva in mente l'ultima opera dannunziana, Piu che l'amore (1906), opera manifestamente politica. Anche quando nelle postille della Critica del 1915 Croce definisce D'Annunzio "ex-poeta", la causa principale del rimprovero erano le idee politiche di D'Annunzio espresse nell'Orazione per la Sagra dei Mille (1915). Cosi man mano che l'aspetto politico diventa dominante nella produzione letteraria di D'Annunzio, la critica crociana si inasprisce fino a scrivere L'ultimo d'Annunzio, dove Croce, basandosi sulla quasi totalita delle opere nelle quali i temi civili e politici risultano preminenti, muta il suo giudizio complessivo sul poeta in un giudizio negativo. Per concludere, riteniamo che siano state la variabilita dei temi affrontati da D'annunzio e l'abbracciare una causa politica e civile, ad influenzare il giudizio di Croce sull'opera dannunziana.