- 著者
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天野 恵
- 出版者
- イタリア学会
- 雑誌
- イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
- 巻号頁・発行日
- no.56, pp.42-70, 2006-10-21
Il colophon de Le cose volgari di Messer Francesco Petrarcha, l'edizione aldina del 1501, dice che il testo sia stato ≪tolto con sommissima diligenza dallo scritto di mano medesima del Poeta, hauuto da M. Piero Bembo≫, ma, come e risaputo, intorno a questa dichiarazione ci sono sempre stati dubbi, non solo nel '500, ma anche nell'epoca moderna, in particolare dopo il ritrovamento dell'autografb di Petrarca, il Vaticano Latino 3195, per mano di De Nolhac. I dubbi da parte dei contemporanei dipendevano dal fatto che nessuno poteva esaminare liberamente l'autografo in questione, se non lo stesso Bembo, dopo averlo acquistato nel 1544. Le perplessita dei filologi moderni, che potevano confrontare il testo aldino e l'autografo vaticano, invece, erano di tutt'altro genere. Furono trovate migliaia di differenze fra i due testi al punto che alcuni hanno negato la paternita del primo al secondo. Altri invece, hanno sostenuto che come base del testo aldino ci fosse stato effettivamente il codice vaticano, ma hanno ipotizzato che il Bembo avesse "corretto" l'autografo, seguendo la cosidetta "norma" bembesca. Recentemente Sandra Giarin, Petrarca e Bembo: l'edizione aldina del ≪Canzoniere≫, in Studi di Filologia Italiana Vol.LXII (2004), attraverso analisi meticolose della copia bembina, il Vaticano Latino 3197, che servi come testo per l'edizione aldina, e riuscita a dimostrare che lo sforzo del Bembo fosse concentrato a riprodurre fedelmente non il Vaticano Latino 3195, ma un testo riportato da un ignoto codice (z), creduto dal Bembo autografo, ponendo in certo senso la fine alia discussione durata per ben 5 secoli. Dunque dovremmo concludere che l'autografo a cui si riferiscono il colophon e il famoso fascicolo B, non fosse il codice vaticano, ma che fosse questo "z"? Secondo la testimonianza lasciata in una relazione di Lorenzo da Pavia a Isabella d'Este su "l'autografo" di cui si sarebbero serviti il Bembo e Aldo, sembra invece probabile che esso fosse proprio il codice vaticano. Allora come si potrebbe spiegare la presenza di tutte quelle differenze fra due testi? Nel presente articolo, partendo da una riflessione sull'uso estremamente ambiguo del verbo "avere" nell'espressione che si vede sia nel colophon che nel fascicolo B, ≪hauuto da M. Piero Bembo≫, ho cercato di proporre una soluzione all'enigma. L'ipotesi avanzata da me e la seguente: il Bembo ebbe opportunita di prendere in mano il codice vaticano solo nell'ultimissimo momento del suo lavoro, e pur riconoscendo immediatamente l'autenticita, dovette rinunciare ad effettuare la collazione basandosi su di esso. D'altra parte, la campagna pubblicitaria per nuova edizione di Petrarca aldina aveva gia diffuse grandi aspettative per la correttezza del suo testo preparato dal Bembo stesso. A questo punto ne Aldo ne il Bembo potevano piu tirarsi indietro senza rovinarsi la fama. L'espressione ambigua del colophon, ≪hauuto da M. Piero Bembo≫, sarebbe stata il frutto di questa situazione "difficile": insomma Aldo "ha avuto" l'autografo dal Bembo, o il codice e stato "avuto" dal Bembo? Se fosse giusta la seconda interpretazione, l'autografo sarebbe stato "posseduto" dal Bembo, oppure semplicemente "tenuto in mano" da lui? Noi sappiamo benissimo che in quel momento il Bembo non lo possedeva, ma la maggior parte dei contemporanei dall'espressione del colophon sarebbero stati indotti a credere che il Bembo possedesse l'autografo, e infatti si sa che il Dolce per esempio colse proprio quel significato. Questo tentative di far credere ai lettori che il Bembo fosse il possessore dell'autografo petrarchesco, a mio avviso, e evidente pure in un certo passo del fascicolo B. Ma perche tutto questo sforzo da parte di Aldo? Ecco, se Bembo fosse stato il possessore del codice in questione, avrebbe potuto collazionare liberamente il testo con bell'agio, e sarebbe stato assurdo mettere in discussione se l'edizione aldina dipendesse o no dall'autografo. E con questa mia ipotesi si pud dare una spiagazione plausibile anche a un'altra testimonianza enigmatica lasciata dal Vellutello nel suo Trattato de l'ordine de' Sonetti et Canzoni del Petrarca mutato (1525), che dice ≪... messer Pietro Bembo, col quale sopra di tal cosa ho alcuna volta parlato, dice non dall'originale del poeta (come Aldo vuole), ma d'alcuni antichi testi, & spetialmente i sonetti et canzoni da uno il quale noi habbiamo veduto, & anchora hoggi e in Padova appresso Messer Danielle da Santa Sophia, havere questa opera cavata,...≫ E non sarebbe strano neanche il fatto che i versi petrarcheschi citati dal Bembo nelle Prose in vari punti si differenziano dall'edizione aldina curata 24 anni prima da lui stesso.