著者
森田 学
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.60, pp.35-66, 2010-10-20

La lettura del libretto de La rondine che qui si propone intende chiarire la drammaturgia dell'opera realizzata da Puccini con il librettista Adami. Si tratta di un'opera rappresentata raramente rispetto ad altri lavori pucciniani come La Boheme, Tosca, Turandot, ecc., e in questo studio si mostra come anche l'esiguo numero di rappresentazioni che ne sono state eseguite negli anni sia segno del fatto che La rondine sia stata evidentemente sottovalutata. La lettura del libretto, strumento importante nella rappresentazione dell'opera lirica, permette di capire la concezione del compositore ed il significato che egli attribuisce all'opera ed e pertanto necessaria anche per conoscere il vero valore di questo lavoro pucciniano. In questo studio, dopo una breve introduzione, la lettura del libretto si articola attraverso i seguenti punti: il processo di creazione dell'opera e il libretto d'opera per Puccini (analisi della metrica), la protagonista Magda, la cortigiana e la grisette. Dal primo approccio, rivolto all'esame del processo di creazione del libretto, si passa al personaggio di Magda, che a nostro avviso rappresenta la chiave di lettura dell'opera, in cui si dice che Magda volera lontano, come la rondine. Nel personaggio di Magda si cerca di mettere in luce tre elementi fondamentali: la rondine, l'ombra/le ombre e lo sfondo storico della courtisane (cortigiana). Questi aspetti, nella commedia lirica, non vengono espressi come avvenimenti concreti o fatti precisi, ma rappresentano piuttosto delle immagini che si intravedono in certi momenti del dramma. Si intende poi aggiungere un'osservazione attenta dei tre fattori che il compositore stesso riteneva necessari per una buona messa in scena di quest'opera: finesse, nuance e souplesse. Questi elementi vengono indicati da Puccini in una lettera a Giovacchino Forzano, scritta in seguito alla recita dell'ottobre 1917 al Teatro Dal Verme di Milano, cioe nello stesso anno in cui, a Bologna, ando in scena la prima assoluta italiana de La rondine. Nell'argomentazione riguardante il personaggio di Magda, si ricorda inoltre un altro punto, che permetterebbe di svolgere una lettura ancora piu approfondita: che ne il libretto, ne nella partitura o nello spartito offrono spiegazioni relative ai personaggi, ad esempio sul loro stato sociale, il rapporto che fra di loro intercorre, il loro lavoro, ecc., per dare la possibilita al pubblico di sentire simultaneamente lo stato d'animo e le esperienze di vita di Magda. Mantenendo fermo questo obiettivo, si puo affermare che la prima versione de La rondine sia credibile dal punto di vista del dramma. Il pubblico, abituato alla consueta protagonista pucciniana, come Mimi e Tosca che muoiono per amore alla fine dell'opera in maniera molto commovente (e forse eccessiva, per strappare lacrime a tutti i costi), sente la mancanza della chiusura del (melo)dramma. In questo caso, Prunier dice, forse e Puccini che parla tramite questo personaggio, "il finale mi manca" e Magda stessa, quando Bianca domanda: "Finito cosi?", risponde: "Il profumo squisito/della strana avventura,/amiche e tutto qui". I tre elementi finesse, nuance e souplesse, nominati nella lettera scitta da Puccini per una corretta rappresentazione de La rondine, vogliono essere un suggerimento lasciato dal compositore stesso, insieme ai tanti capolavori della storia del melodramma, un'esortazione a leggere con la massima attenzione il libretto tenendo presenti le conoscenze, gli usi e costumi dell'epoca, che ci permettera finalmente di individuare la chiave di lettura per rappresentare al meglio questa opera. Per concludere, come dice Goldin (La rondine: un libretto inutile?: 44), Puccini ha voluto raffigurare con la musica l'atmosfera e la tensione contenuta nelle battute del libretto: cio che ad un certo punto e "un urlo dell'anima" o "pausa del discorso", in un altro punto diventa "la gioia", "sorrisi", "quello che sense nel cuore" oppure "quello che sorge dal cuore": una prova per esprimere nell'opera lirica cio che esiste oltre le parole. Ne La rondine Puccini ha elaborato un nuovo modo di scrittura e per capirlo al meglio, partendo dal testo sia verbale sia musicale, bisogna tendere a cercare cio che va al di la delle parole e saperlo sentire: e a questo scopo che mostrano tutta la loro utilita sia i tre elementi di cui si e detto-finesse, nuance e souplesse-, sia cio che in questa ricerca si cerca di chiarire attraverso le immagini dell'ombra e della rondine. Tutti questi aspetti concorrono a giustificare l'opinione dell'autore che sia giusto ritenere La rondine un capolavoro pucciniano.
著者
霜田 洋祐
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.61, pp.45-69, 2011-10-15

Il rapporto tra realta storica e invenzione e uno dei problemi fondamentali e costanti della riflessione teorica di Alessandro Manzoni (1785-1873). Gli elementi paratestuali che accompagnano le due tragedie testimoniano la resistenza dello scrittore a eliminare la distinzione tra i fatti storici e il frutto dell'invenzione letteraria: due esempi rappresentativi sono la lista dei personaggi nel Conte di Carmagnola (1820) nella quale l'autore divide i personaggi in storici e in ideali, e il Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia, un'opera storiografica pubblicata in appendice dell'Adelchi (1822). Inoltre nella premessa del Conte di Carmagnola Manzoni chiarisce il motivo dell'inserimento delle notizie storiche ad apertura della tragedia: Premetto alla tragedia alcune notizie storiche sul personaggio e sui fatti che sono l'argomento di essa, pensando che chiunque si risolve a leggere un componimento misto d'invenzione e di verita storica, ami di potere, senza lunghe ricerche, discernere cio che vi e conservato di avvenimenti reali. L'intento dell'autore e dunque quello di mantenere la distinzione tra fatti reali e inventati. Questo atteggiamento induce a supporre che anche il Manzoni romanziere voglia indicare questa separazione attraverso qualche artificio, e in questo senso un ruolo importante puo essere attribuito alla figura dell'Anonimo, figura che potrebbe infatti essere considerata come segno della presenza di elementi di finzione. Com'e noto, nei Promessi sposi la presenza di un anonimo autore secentesco e del suo manoscritto rappresenta l'espediente per dare attendibilita ai fatti inventati, nella fattispecie la storia "immaginaria" del matrimonio impedito ai due giovani. Sebbene sia possibile supporre che alcuni tra i fatti registrati nel manoscritto siano storici e reali, risulta difficile valutarne la portata, in quanto la parte "storiografica" viene presentata dal narratore ottocentesco o direttamente o con riferimento ad altre fonti documentarie. Nel romanzo, gli avvenimenti raccontati dal narratore "rifacendo la dicitura" del manoscritto anonimo sono pertanto tutti inventati, mentre fuori dalla finzione romanzesca, il fittizio riferimento all'Anonimo potrebbe essere considerato il marchio dell'invenzione. Possiamo ritenere che questa funzione di etichetta sia valida non solo per la storia principale degli sposi promessi e per le narrazioni storiografiche della carestia, della guerra e della peste (e fin troppo ovvio che queste ultime sono verita storica e mentre la prima e puro frutto dell'invenzione), ma anche per le narrazioni piu complesse, come quelle biografiche dei personaggi storici. Occorre tuttavia specificare che la funzione distintiva e diventata valida dopo la revisione radicale delle "bozze": nel Fermo e Lucia, infatti, da una parte l'Anonimo invade il territorio riservato al narratore raccontando alcuni avvenimenti storici e inserendovi i propri commenti, dall'altra alcuni episodi d'invenzione vengono narrati senza alcun riferimento al manoscritto anonimo. Questo lavoro verra in gran parte dedicato al confronto tra gli episodi che riguardano i personaggi storici (Federigo Borromeo, il conte del Sagrato/l'Innominato e la monaca di Monza) nel Fermo e Lucia e quelli nei Promessi sposi. Il confronto tra le due redazioni mostra che nei Promessi sposi la fonte degli eventi e degli avvenimenti inventati e sempre il manoscritto anonimo; d'altro canto l'Anonimo e escluso dalla narrazione dei fatti storici e reali. Il lettore puo distinguere <<cio che vi e conservato di avvenimenti reali>> senza alcuna informazione extratestuale, controllando soltanto se l'Anonimo (che pero in realta non esiste) venga chiamato o meno in causa. In questo modo, escludendo altre eventuali tecniche narrative meno evidenti, la sola presenza dell'Anonimo servirebbe a costruire un <<sottile ma non insussistente cristallo>> (Petrocchi 1971: 132), una parete divisoria trasparente collocata tra i fatti reali e quelli inventati. Un'ultima riflessione sulla tesi manzoniana esposta nel discorso Del romanzo storico e, in genere, de' componimenti misti di storia e d'invenzione (1850) puo rendere piu chiara la singolarita del compito assegnato all'espediente (classico e percio apparentemente convenzionale) del "manoscritto ritrovato". Secondo Manzoni, all'interno di un romanzo storico si riscontrano due esigenze opposte: l'unita del racconto e la distinzione tra i fatti storici e quelli inventati. Se nei Promessi sposi il manoscritto anonimo puo fungere da segno distintivo, e tuttavia opportuno ricordare che nella finzione romanzesca l'Anonimo non e un romanziere, bensi uno storico e il suo manoscritto viene trattato come una delle fonti che lo scrittore moderno utilizza per la narrazione, contribuendo cosi a mantenere l'unita del racconto. Sebbene sia probabile che retrospettivamente Manzoni non l'abbia considerata una soluzione soddisfacente, l'espediente di utilizzare un manoscritto anonimo deve essere connesso alle esigenze di unita del racconto e di distinzione dei fatti esposti nella narrazione che l'Autore ha espresso nel discorso Del romanzo storico.
著者
土屋 美子
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.56, pp.167-192, 2006-10-21

Le Stanze cominciate per la giostra di Giuliano de' Medici furono scritte da Angelo Ambrogini, detto il Poliziano, un personaggio il cui merito come filologo e poeta latino spiccava su quello di tutti gli altri suoi contemporanei. Quest'opera, iniziata nel 1475, e una delle pochissime composte in volgare dal Poliziano e annuncia la venuta della "novella stagione", dopo "il secolo senza poesia", indicate dagli storici, cioe il secolo che "va dal 1375 circa al 1475". Era un periodo in cui la cultura letteraria era dominata dal movimento umanistico che si esprimeva e si riconosceva nel latino. Nel presente articolo si illustra il significato del ruolo che il Poliziano esercito nella rinascita del volgare nel Quattrocento, analizzando le Stanze dal punto di vista storico-linguistico. Se si tiene conto del compito encomiastico dapprima assegnato a quest'opera e della posizione dell'autore come cancelliere private di Lorenzo de' Medici, si vede che essa e strettamente legata a questo principe-letterato, che aveva una concezione della lingua favorevole al volgare, come dimostrano i brani nel Proemio al Comento de' miei sonetti. Nelle Stanze si riflette l'influenza delle letterature classiche e quella del volgare aulico. Si puo individuare l'influenza del linguaggio dei poeti stilnovistici, di Dante, Petrarca e Boccaccio, al quale il Poliziano attinge largamentge con il gusto dell'intarsio. Dal punto di vista morfologico, invece, i modelli della tradizione volgare in quest'opera non sono necessariamente fonti di regole e paradigmi. Esaminando alcuni tempi del modo indicativo del verbo, si puo documentare l'adesione del Poliziano all'uso grammaticale del suo tempo, che avrebbe portato il Bembo respingere quest'opera. In una delle eta di grande fluidita grammaticale e di sfrenato dominio delle formazioni analogiche, nell'ambito del verbo la crisi linguistica era penetrata piu a fondo, rendendo l'aspetto strutturale del fiorentino quattrocentesco molto diverse da quello del fiorentino letterario del sec. XIV. Le oscillazioni, fenomeni considerati fra i piu tipici del Quattrocento, non sono altro che il punto di arrive di un lento processo di evoluzione linguistica, sia attraverso l'azione di spinte autonome intrinseche alla struttura stessa del fiorentino, che per l'influsso consistente degli altri dialetti toscani. Nelle Stanze, si vedono oscillazioni tra la forma tradizionale-normativa, cioe quella massimamente usata dalle tre corone e poi indicata dal Bembo come normativa, e la forma contemporanea, cioe quella (eccetto quella menzionata sopra) che si diffondeva nell'eta del Poliziano. Quanto alia terza persona plurale del perfetto indicativo, oltre alia polimorfia, ci si accorge della preponderanza delle desinenze contemporanee nei luoghi in cui si svolge la trama di questo poemetto encomiastico. Fra le due forme concorrenti della terza pers. plur. dell'imperfetto indicativo, si puo notare la prevalenza di quella contemporanea su quella tradizionalenormativa. Anche se le due forme della terza pers. plur. del presente indicativo di prima classe erano penetrate tanto profondamente nell'uso che la scelta dell'una o dell'altra si presentava quasi indifferente nella societa contemporanea, nelle Stanze non si puo documentare l'irrazionalita di tale oscillazione. La forma predominante e quella contemporanea, e seguendo il contesto, si discerne la consapevolezza del poeta che ha usato programmaticamente tale forma perche sarebbe stata meglio intesa e piu piacevole all'ascolto. Grande importanza assume, a mio avviso, quest'ibridismo delle forme verbali, perche questa morfologia pluridimensionale ci mostra che l'autore, sapendo come le intense correnti immigratorie per cui la popolazione di Firenze fu accresciuta e ibridata di elementi provinciali e rurali, avevano influenzato anche la lingua, avrebbe sentito la necessita di usare tali forme adatte al sentimento linguistico del popolo. Quello che ha ispirato la vita in quest'opera intarsiata di brani e spunti delle letterature precedenti e l'uso vivo della societa contemporanea. Cosi, si puo assistere, nelle Stanze del Poliziano, scritte nell'epoca e nell'ambiente di Lorenzo de' Medici, ad una rinascita letteraria e poetica del volgare.
著者
長谷川 悠里
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
vol.61, pp.1-22, 2011

<p>Nel Paradiso della Commedia, Il Primo Mobile e il luogo d'origine dello spazio e del tempo, rappresentati come due realta causa-effetto inscindibili. La scelta dantesca di collocare il Primo Mobile come forza motrice del cosmo ha origine nelle autorita antiche, ma l'idea di conferire ad esso una funzione generatrice del tempo e frutto della conciliazione di vari aspetti di diverse correnti di pensiero, cristiane ed antiche. Il Primo Mobile dapprima viene introdotto da Tolomeo per motivi filosofico-speculativi al fine di spiegare il fenomeno della precessione degli equinozi. Prima di Dante, Sant'Agostino aveva gia affermato che il tempo e misura del moto, ma non aveva impostato l'esistenza del Primo Mobile come luogo d'origine del tempo. Solo in Dante, dunque, il Primo Mobile diventa l'elemento unificatore tra il mondo temporale e il mondo non-temporale che, in funzione del motore secondo una legge naturale-divina, regola l'eterno ruotare dell'Universo attorno all'Empireo. In vari luoghi del Paradiso (Par. X-XIII, XXIII-XXIV, XXVII-XXIX), il moto planetario si configura nei cerchi trinitari dei beati e degli Angeli. Negli studi danteschi, l'interpretazione tradizionale dei cerchi delle anime paradisiache afferma che essi simboleggiano, oltre alla sapienza divina e la fede, la perfezione dell'Universo creato da Dio. I cerchi dei beati vengono assimilati ai congegni dell'orologio meccanico nel cielo del Sole e nel cielo delle Stelle Fisse. In merito a tale similitudine, si pone pero una questione: per quale motivo i cerchi dei beati, simbolo della perfezione divina e dell'eternita, vengono paragonati all'orologio meccanico? La nostra coscienza di moderni percepisce il tempo come un concetto contrastante all'eternita. Il divario che si apre tra la natura del tempo e quella dell'eternita conduce inoltre ad un'altra questione: la rotazione dei cerchi dei beati e puro simbolo della perfezione divina? Per comprendere il rapporto tra l'eternita e il tempo in Dante, e necessario risalire agli autori antichi, in primo luogo a Platone. Il dualismo presente nella cosmologia dantesca tra mondo temporale ed eternita ha origine nel Timeo, che vede le forme del tempo come imitazione dell'eternita. Nella visione platonica, la struttura circolare del sistema planetario riporta eternamente tutti i pianeti nello stesso luogo, ed e proprio dal moto dei cieli che il tempo viene ad essere creato e misurato. In questo modo, nel cosmo platonico, la rotazione dei pianeti e il fondamento dell'Universo e garantisce la somiglianza tra l'eternita e il tempo del nostro mondo. Considerando tutto cio, si puo presumere che questo rappresenti uno dei motivi fondamentali per cui i beati danteschi compiono un movimento circolare. In Sant'Agostino l'immagine mobile dell'eternita, il tempo, non solo imita l'eternita, ma anche l'eterna uguaglianza (aequalitas) attraverso il ritmo del movimento dei numeri, i quali costituiscono ogni elemento delle creature. Il concetto platonico e ben presente nel De musica di Agostino, dove si tratta l'idea di aequalitas come legge suprema dell'ordine del creato. Solo l'aequalitas e in grado di mantenere un collegamento armonico fra tutti gli esseri, a loro volta costituiti dai numeri: tutti i numeri muovono da Dio, motore immobile, a Dio, causa finale. Per Agostino, l'aequalitas e il principio di ogni esistenza: ha origine nell'Empireo, dove rimane "eterna aequalitas", un non-luogo eterno, dove non era e non sara, ma sempre e, in un eterno presente. Secondo Dante (Convivio IV, II, 6), il tempo e "numero di movimento, secondo prima e poi" (Aristotele, Fisica IV). Il tempo nasce dai moti circolari del cielo e viene misurato dall'unita di numero eternamente uguale e invariabile. Da questo concetto si</p><p>(View PDF for the rest of the abstract.)</p>
著者
内田 健一
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.59, pp.119-135, 2009-10-17

L'adorazione dell'eroe e uno dei motivi fondamentali della letteratura dannunziana: per D'Annunzio, infatti, l'eroe e la figura ideale dell'uomo il cui valore trascende il tempo. Tuttavia, il poeta, ben consapevole dell'anacronismo insito nel tentativo di risuscitare l'eroe dell'antichita nel tempo moderno, fa di questo contrasto fra il mondo <<vero>> e il mondo <<falso>> il nucleo tematico delle sue opere. Dal punto di vista terminologico, e opportuno premettere che attraverso i termini <<vero>> e <<falso>> intendiamo designare rispettivamente il mondo antico in cui l'eroe vive degnamente e il mondo moderno in cui si trova invece a vivere da emarginato. Piu che l'amore (1906) descrive crudamente il conflitto che viene a crearsi tra l'eroe di stampo antico e la societa moderna. Il protagonista, l'esploratore africano Corrado Brando, non viene apprezzato nel mondo <<falso>> della borghesia nonostante la gloria dell'impresa compiuta. Insoddisfatto, cerca di trovare il denaro necessario a recarsi nuovamente nel suo mondo <<vero>>, cioe in Africa, ma non ci riesce, e l'epilogo lo vede uccidere it baro che lo ha sconfitto al gioco. Questo atto, che viene certamente giudicato colpevole nella societa borghese, rappresenta invece per Corrado il simbolo della lotta eroica per trasformare il mondo <<falso>> in quello <<vero>>. Riteniamo che la speranza nutrita da Corrado nel mondo <<vero>> si rispecchi nelle <<nuove Erinni>>, piu volte da lui invocate nella parte finale della tragedia. Queste non sarebbero l'emblema della societa borghese che opprime Corrado, come alcuni studiosi sostengono, ma le dee che proteggono il mondo <<vero>> e riconoscono in Corrado un eroe. Allo scopo di individuare il significato delle <<nuove Erinni>>, in questo studio si esaminano le precedenti opere dannunziane in cui si trovano riferimenti ad esse. Nelle due novelle veriste, Gli idolatri (1884) e L'eroe (1885), le Erinni non sono nominate esplicitamente, ma la comunita primitiva che D'Annunzio descrive e molto simile al mondo <<vero>> ed e degna di essere governata dalle Erinni. In questa prospettiva, i membri di quella comunita i quali agiscono istintivamente costituirebbero il prototipo dei vari eroi dannunziani. Nel discorso elettorale Agli elettori di Ortona (1897), D'Annunzio parla dapprima dell'origine della sua adorazione dell'eroe, ricordando la propria infanzia. Lancia poi invettive contro il governo italiano che avrebbe distrutto la Bellezza dell'Italia sia materialmente che spiritualmente e subito dopo, come per esaltare il contrasto tra il mondo <<vero>> e quello <<falso>>, comincia a raccontare le vicende dei militari che hanno combattuto eroicamente a Macalle in Etiopia. Invoca infine l'Erinni perche punisca il mondo <<falso>> che ha ingiustamente violato il mondo <<vero>>. Nella Laus vitae (1903) D'Annunzio espone la visione del mondo che ha maturato nel corso di anni di intenso lavoro. Tra i numerosi episodi presentati, spicca per la sua importanza quello della Cappella Sistina, definita come <<dominio di violenza/e di dolore immortale,/sublimita del Male>>: espressione del mondo <<vero>> in cui si puo vivere eroicamente. Altrettanta importanza puo essere attribuita all'episodio della Via Aurelia, net quale l'io protagonista incontra persone che continuano a vivere come gli antichi. Fuori della citta <<falsa>>, l'io ama <<l'animale umano/[...] che divora, s'accoppia,/urla, combatte, uccide,/inconsapevole e vero>> e se ne rallegra, perche si sente vicino al mondo <<vero>>. Infine, nella <<selva d'arbori eguali>> vede l'Erinni e medita sulla legge della natura, sul destino della nazione e sul sacrificio dell'eroe. Ritornando al nostro esame di Piu che l'amore, le <<nuove Erinni>> chiamate da Corrado nel finale del dramma possono essere interpretate come simboli della polizia o della magistratura, cui spetta il ruolo di punirlo. Certo e che nella societa borghese il grave delitto commesso da Corrado e assolutamente imperdonabile, quindi anche il poeta esita a perdonarlo apertamente, attraverso l'uso dell'espressione ambigua <<nuove Erinni>>. Tuttavia, come si e detto, nella letteratura dannunziana le Erinni non simboleggiano il mondo <<falso>> della borghesia, ma amministrano il mondo <<vero>>. Nel proemio a Piu che l'amore, infatti, D'Annunzio afferma con chiarezza che il compito delle <<nuove Erinni>> e quello di giudicare Corrado secondo la legge del mondo <<vero>>. Riteniamo percio che sia preferibile pensare che l'invocazione alle <<nuove Erinni>> non sorga dal timore della condanna, quanto piuttosto dalla speranza del proprio riconoscimento come eroe.
著者
POZZI CARLO EDOARDO
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
vol.70, pp.99-123, 2020

<p>Nabeshima Naohiro (1846-1921), fu un membro di rilievo della classe dirigente giapponese durante il periodo Meiji. Secondogenito di Nabeshima Naomasa (1815-1971), decimo daimyō del Dominio di Saga, nel 1861 il giovane Naohiro successe al padre e divenne l'undicesimo (e ultimo) daimyō di Saga. Sul finire del Periodo Edo egli partecipò attivamente alla Guerra Boshin (1868-1869), guidando le forze di Saga contro quelle dello Shogunato Tokugawa. In seguito alla Restaurazione Meiji del 1868 e all'abolizione del sistema han nel 1871, Nabeshima rinunciò al titolo di daimyō e, tra il 1871 e il 1873, viaggiò negli Stati Uniti e in Europa al seguito della Missione Iwakura in qualità di studente. Dal 1873 si stabilì poi in Inghilterra dove proseguì i suoi studi insieme ai suoi due fratelli Naotora e Naotō.</p><p>Tornato in Giappone nel 1878, l'ex-daimyō svolse per il Ministero degli Esteri una serie di incarichi di rilievo. In particolare, nel 1879, dopo essere stato nominato responsabile dell'accoglienza del Principe imperiale di Germania Enrico di Prussia (1862-1929) e dell'ex presidente degli Stati Uniti Ulysses S. Grant (1822-1885) durante il loro soggiorno Tokyo, Nabeshima si occupò anche dell'accoglienza del Principe Tomaso Alberto Vittorio di Savoia (1854-1931), secondo Duca di Genova e cognato del Re d'Italia Umberto I (1844-1900), allora alla sua seconda visita ufficiale in Giappone. Fu proprio mentre stava accompagnando il Duca di Genova nelle principali città del Kansai tra il 21 e il 27 febbraio 1880, che Nabeshima fu nominato Inviato Straordinario e Ministro Plenipotenziario del Giappone in Italia per volere del Ministro degli Esteri Inoue Kaoru (1836-1915). Dopo aver ricevuto la nomina ufficiale dall'Imperatore Meiji (1852-1912) l'8 marzo dello stesso anno ed essere salpato da Yokohama il 9 luglio 1880, il 23 agosto Nabeshima sbarcò quindi a Napoli e poco dopo si insediò nella Legazione giapponese a Roma, occupandosi della sua gestione fino al giugno del 1882.</p><p>Durante il suo soggiorno in Italia in qualità di Ministro Plenipotenziario, Nabeshima strinse fin da subito solide relazioni di amicizia con la famiglia reale italiana e in particolare con il Re Umberto e la Regina consorte Margherita di Savoia (1851-1926), sorella del Principe Tomaso. Già nel settembre del 1880, i due sovrani organizzarono per il neoministro giapponese una cena di gala presso la Villa Reale di Monza, come segno di riconoscenza per l'accoglienza da lui riservata in Giappone al Duca di Genova. Inoltre, a pochi mesi dall'assunzione del suo incarico di Ministro Plenipotenziario a Roma, il 3 novembre 1880, giorno del compleanno dell'Imperatore Meiji, Nabeshima fu decorato dal Re del Gran Cordone dell'Ordine della Corona d'Italia. Successivamente, le relazioni con la coppia reale si fecero via più intime tanto che, quando Nabeshima si sposò alla Legazione con Hirohashi Eiko (1855-1941), il Re volle subito riceverli a corte per congratularsi con loro, mentre, alla nascita della figlia Itsuko (1882-1976) il 2 febbraio 1882, la Regina Margherita si premurò di farle un regalo.</p><p>Nel frattempo, Nabeshima partecipò attivamente alla vita sociale dell'alta società romana, prendendo parte a numerosi eventi mondani insieme a figure di rilievo della classe dirigente italiana. Nabeshima stesso organizzò presso la Legazione giapponese sontuose feste da ballo e cene di gala, che vennero spesso elogiate dai principali quotidiani romani e nazionali. Fu probabilmente anche grazie a questi eventi tenuti alla Legazione, e alla sua profonda conoscenza dell'etichetta e della cultura europee, che il Ministro giapponese godette di un'alta reputazione tra i membri dell'establishment italiano, diventando noto a tutti come "Principe Nabeshima".</p><p>Per di più, durante i circa due anni di soggiorno in Italia come Ministro</p><p>(View PDF for the rest of the abstract.)</p>
著者
宮坂 真紀
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.58, pp.63-84, 2008-10-19

Con questa mia analisi vorrei considerare il significato e l'effetto del dialetto veneziano nelle commedie goldoniane. Come oggetto dell'analisi, ho scelto due commedie: Le Morbinose e Le donne di buon umore. La prima, messa in scena nel Carnevale del 1758, fu una Belle commedie preferite dagli spettatori settecenteschi. La commedia si svolge nel corso del Carnevale di Venezia e quasi tutti i personaggi parlano in veneziano, tranne un giovane milanese. Goldoni la trascrisse in italiano per la rappresentazione a Roma con il titolo Le donne di buon umore, che, secondo la testimonianza dell'autore, fu un fiasco. La causa del fallimento sarebbe dovuta al linguaggio, come spiega Ortolani, della protagonista che <<non ha piu nessuna originalita, ne grazia>> nel parlare in italiano (Tutte le opere di Carlo Goldoni, a cura di G.Ortolani, Milano, Mondadori, vol. VI, 1943, p. 1324). Ci sono altri esempi di trascrizione dal veneziano all'italiano prima del caso delle Morbinose - Le donne di buon umore. Nello stampare alcune sue commedie, Goldoni trascrisse in italiano il dialetto delle Maschere della commedia dell'arte, con l'intento di diffonderle tra i lettori al di fuori di Venezia. Questo tipo di trascrizione, quasi una traduzione "testuale", e basata sull'idea linguistica di Goldoni, riguardo alla quale acuta e questa indicazione di Folena: <<noi siamo abituati a concepire storicamente il dialetto in opposizione qualitativa alla lingua; mentre Goldoni e del tutto estraneo al rapporto dialettico fra lingua letteraria e dialetto>> e <<la lingua e in posizione complementare al dialetto, come realta media contigua e solo quantitativamente piu estesa e intelligibile>> (G. Folena, L'italiano in Europa, Torino, Einaudi, 1983, p. 93). Goldoni non teneva in mente una diversita qualitativa tra il veneziano e l'italiano, per lui l'italiano poteva essere sostituibile con il veneziano come un altro linguaggio parlato in Toscana, ma piu diffuso del veneziano. Rispetto a questo tipo di trascrizione, il caso delle Morbinose - Le donne di buon umore e sostanzialmente un rifacimento: le due commedie hanno intrecci e personaggi quasi uguali, ma sono diverse nello stile (i 5 atti in versi martelliani diventano i 3 atti in prosa) e anche nei dettagli. Il motivo di questo rifacimento va ricercato nella intraducibilita di un equivoco giocoso del dialetto nelle Morbinose. In questa commedia, la spiritosa protagonista Marinetta usa la parola veneziana amia (in italiano <<zia>>) per condurre la questione matrimoniale a suo vantaggio. Nel discorso tra i due giovani innamorati il significato di amia rimane ambiguo, percio l'innamorato milanese lo pensa riferito a Marinetta stessa, mentre la vecchia zia di Marinetta, ascoltando, ha una ridicola ambizione matrimoniale, sproporzionata alla sua eta. Ne Le donne di buon umore, tutta in italiano, amia e sostituito dal pronome dimostrativo <<quella>> per lasciare ad ogni personaggio l'interpretazione the gli conviene e di li far nascere l'equivoco. Questa sostituzione genera di conseguenza vari cambiamenti. Come si mostra nei confronti analitici fra le due commedie, sono cambiati le divisioni delle scene, il ruolo dei personaggi principali (viene introdotto il cavaliere Odoardo che vi svolge un ruolo importante), i dettagli degli intrecci e i caratteri individuali derivanti da questi cambiamenti. In questo processo di rifacimento, a mio parere, Goldoni avrebbe riconosciuto l'effetto insostituibile del dialetto. Questi cambiamenti riguardano anche i caratteri delle protagoniste. Possiamo riferirci all'interpretazione di Fido sul movimento psicologico di Marinetta. Fido collega il cambiamento di Marinetta all'ambientazione particolare del Carnevale in cui <<il tempo scorre piu rapido, e aggirandosi net vortice di questo accelerato presente desideri e capricci dei personaggi ingigantiscono, diventano questioni di vita o di morte>> (F. Fido, Guida a Goldoni, Torino, Einaudi, 1977, p. 143). Influenzata dall'ambiente carnevalesco, la psicologia di Marinetta mostra vari aspetti che muovono tra la grazia spiritosa e la fragilita instabile. Rispetto alla figura dinamica di Marinetta, la protagonista de Le donne di buon umore, Costanza, mostra coerentemente il suo carattere di innamorata, che non si lascia influenzare, distaccata dal proprio ambiente. Come mostra il titolo, nelle Morbinose (un'espressione veneziana che corrisponde alla situazione psicologica, liberata e gioiosa nel tempo del Carnevale) Goldoni intende descrivere agli spettatori un paesaggio della citta familiare, in cui si formo, contrariamente alle previsioni dell'autore stesso, un topos ambientale rappresentabile solo con il dialetto. Questa tendenza esclusiva del dialetto ha potuto influenzare l'idea linguistica di Goldoni, che non si limito a trascrivere il testo veneziano in italiano. Possiamo riconoscere, quindi, che il caso delle Morbinose - Le donne di buon umore mostri un significato originale e un nuovo effetto rappresentativo del dialetto nello sviluppo diacronico delle commedie goldoniane.
著者
倉科 岳志
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.58, pp.109-129, 2008-10-19

Questo lavoro intende chiarire lo svolgimento immanente del pensiero di Croce dal 1902 al 1909 e il significato storico della Filosofia dello Spirito, completata attraverso le tre opere filosofiche, Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale (nelle prime tre edizioni), Logica come scienza del concetto puro (nelle prime due edizioni) e Filosofia della pratica. Economia e Etica. A tale scopo, si esaminano dal punto di vista filologico le modifiche esistenti tra le diverse edizioni: precisando l'ordine cronologico delle opere e confrontandolo con i carteggi e i Taccuini del lavoro, la ricerca si soffermera sui rapporti teorici tra gli scritti filosofici. In primo luogo, per mettere in rilievo con prospettive piu ampie l'importante ruolo di queste opere filosofiche nell'attivita culturale di Croce, si intende descrivere il nesso tra la Filosofia dello Spirito e le altre pubblicazioni (collana "Classici della filosofia moderna" e La Critica. Rivista di letteratura, storia e filosofza). In secondo luogo, si intende notare una <<modificazione di concetto>> confrontando le due edizioni dell'Estetica (1902 e 1904) con i Lineamenti di una logica come scienza del concetto puro (1905). Nei Lineamenti la <<natura>> coincide con l'atto spirituale, mentre nelle prime due edizioni dell'Estetica essa e collocata al di fuori dello Spirito. Fu la lettura critica di Hegel del 1905 ad indurre Croce a rifiutare il positivismo, a negare il concetto di <<natura>> e a inglobarlo nello Spirito umano. In terzo luogo, si vuole evidenziare l'elaborazione del sistema filosofico che emerge nelle varianti riscontrabili tra Riduzione della Filosofia del diritto alla Filosofia dell'economia (1907) e la Filosofia della pratica (1909). In queste due opere, Croce intende spiegare il dinamismo della storia tramite la Filosofia dello Spirito, che vorrebbe sostituire al positivismo. Nella Riduzione si sofferma sulla storia dell'attivita giuridica, sostenendo che <<non rientra in quella della scienza [...] ma nella storia della politica e della civilta>>, concepisce, poi, l'attivita giuridica come l'azione <<pratica che e per se ne morale ne immorale>>, azione che tutti gli uomini compiono non solo nei confronti delle leggi dello Stato, ma anche nei confronti di ogni altra regola, ad esempio il galateo, il codice cavalleresco e persino quello della mafia. Questa attivita e costituita dalla <<volizione>> umana, concetto approfondito nella Filosofia della pratica, con l'esame del quale Croce perfeziona la filosofia dello Spirito e sottolinea che <<nessun sistema filosofico e definitivo, perche la Vita, essa, non e mai definitiva>>. Per ultimo si rilevano i cambiamenti nella terza edizione dell'Estetica (1908) e nella seconda della Logica (1909). Visto che queste due opere vennero corrette dopo la Filosofia della pratica, le correzioni furono influenzate dal sistema filosofico allargato, un sistema che, risolvendo i nuovi problemi della Vita, andrebbe rinnovato ininterrottamente. Mentre nell'Estetica il filosofo napoletano modifico solo alcune parti importanti, decise invece di <<scrivere da capo>> la seconda edizione della Logica: per proporre una filosofia piu efficace e sostituire il positivismo individuando la realta nel modo concreto e universale, doveva infatti spostare il ruolo della storia nella filosofia dello Spirito. La storia, che intorno al 1905 era considerata <<intuizione intellettuale>> posta tra l'arte e la filosofia, venne ridefinita nel 1909 come <<concetto puro>> ormai allontanato dall'arte e identificato con la filosofia. Croce defini l'attivita intellettuale come <<concetto puro>> che evidenzia la realta concreta e universale e le scienze naturali come <<edifizi di pseudoconcetti>> ai quali manca la realta. Gia nel 1901 Croce, confessando il motivo fondamentale del suo studio, sostenne che <<se il linguaggio e il primo momento dello spirito, [...] non si puo sperare d'intendere bene le frasi posteriori e piu complicate, quando il primo e piu semplice resta mal noto, mutilato, sfigurato>>. Cosi, mentre nella prima edizione dell'Estetica difendeva l'autonomia dell'<<intuizione>>, piu tardi concepi non solo una teoria sulla lingua come formazione spirituale, ma anche un sistema filosofico, basato sullo Spirito umano, capace di sostituire il positivismo e costruire un presupposto per le altre scienze particolari. Tuttavia per i giovani lettori, la figura di Croce e il suo sistema filosofico si configuravano come una nuova autorita. Pertanto, in questa prospettiva, e considerando il dissenso delle nuove generazioni, sara opportuno definire la storia intellettuale dei primi anni del Novecento come il periodo dell'egemonia culturale di Croce.
著者
鈴木 信吾
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.36, pp.102-121, 1986-10-30

Sull'ordine delle parole in italiano, diverse grammatiche fissano la "costruzione, diretta", secondo cui l'ordine normale, ossia non-marcato, sarebbe SV(O) (dove V sta a indicare sia il predicato verbale che quello nominale). Nel presente articolo esaminiamo se sia davvero valido l'ordine non-marcato costituito dalla "costru-zione diretta". Per esaminare cio bisogna tener presente il principio che la frase con ordine non-marcato (data l'intonazione normale) non richiede un contesto particolare, pertanto essa e usabile anche ex abrupto, senza contesto precedente. Stabilito tale criterio, risulta in dubbio la "costruzione diretta" nel caso che il verbo indichi un "accadimento" (p. es. cadere, morire ecc.). Questo tipo di verbi infatti ammette tutti e due gli ordini SV e VS nel contesto ex abrupto : Giovanni e caduto vs. E caduto Giovanni. Peggio ancora qualora si abbia "UN+nome" come soggetto : Un bambino e caduto vs. E caduto un bambino in cui generalmente la seconda frase (VS) e di gran lunga piu naturale della prima (SV), il che violerebbe la "costruzione diretta". Nel corso della trattazione presentiamo l'analisi di Antinucci-Cinque che fa uso della informazione DATA e NUOVA. Essi, per determinare l'ordine di base, spingono avanti la generalizzazione che l'elemento offerto come DATO precede quello NUOVO. Dobbiamo, del resto, ai due autori una soluzione riguardante i verbi di "accadimento" : Giovanni e caduto per terra vs. E caduto Giovanni per terra in cui ex abrupto e decisamente migliore la prima frase (SVX, dove X=com-plemento circostanziale). Vediamo alla fine come poter conciliare la naturalezza di SVX con quella della frase VS avente "UN+nome" come soggetto. A proposito della informazione DATA e NUOVA, constatiamo che "UN+nome" vale solo come NUOVO (salvo nell'uso generico) di pari passo con i pronomi clitici che, all'opposto, valgono sempre come DATI. Ora, se gli ordini ammessi a questo tipo di elementi sono strettamente limitati anche a danno dell'ordine di base, possiamo postulare che l'elemento esclusivamente o DATO o NUOVO non ci offre nessun criterio valido per stabilire l'ordine non-marcato delle parole. Escludendo dunque l'elemento "UN+nome" dalla considerazione, possiamo ottenere la conclusione che SV(X) e l'or-dine non-marcato. Il nostro risultato corrisponde praticamente a quello di Antinucci-Cinque, che include anche l'ordine naturale dato dalla "costruzione diretta".
著者
森下 忠
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.4, pp.98-109, 1955-12-30
著者
ベルテッリ ジュリオ・アントニオ
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
vol.63, pp.151-177, 2013-10-18 (Released:2017-04-05)

Negli anni immediatamente successivi alla nascita del Regno d'Italia, il governo italiano decise di intraprendere una serie di campagne oceaniche intorno al mondo, i cui scopi primari erano ottenere informazioni di tipo geografico e scientifico sulle zone meno conosciute del pianeta e affermare la presenza italiana negli angoli piu remoti del globo.. Assecondando le istanze dei primi rappresentanti diplomatici italiani in Giappone, la Regia Marina decise di far stazionare le sue navi da guerra a Yokohama (soprattutto durante i mesi della campagna bacologica), a difesa del prestigio, dell'autorita e degli interessi del Regno in quelle terre lontane. Negli anni 1871 e 1872 questo compito fu assegnato alla Regia Corvetta "Vettor Pisani", la quale stava compiendo il suo primo viaggio di circumnavigazione del globo. Esistono alcune testimonianze scritte, che ci forniscono preziose informazioni sul viaggio e sui paesi visitati, con molti riferimenti al Giappone. Tra esse spiccano il Diario del viaggio intorno al globo della regia corvetta Italiana "Vettor Pisani" negli anni 1871-73, pubblicazione a stampa ad opera del secondo piloto Ugo Bedinello, e i rapporti uffiiciali del comandante Giuseppe Lovera di Maria, nonche alcuni articoli apparsi sulla Rivista Marittima. Tuttavia, con il presente articolo intendo presentare e analizzare i contenuti di una fonte primaria finora inedita riguardante questo viaggio: le diciotto lettere che l'allora ventiseienne luogotenente di vascello Carlo Grillo (Alessandria, 1844 - Torino, 1906) invio alla madre durante il suo soggiorno in Giappone. Queste missive coprono circa un terzo dell'intero epistolario che il giovane ufficiale scrisse alla madre durante la campagna oceanica. Attraverso questo epistolario, Carlo ci descrive minuziosamente (e non senza una buona dose di ironia) il Giappone di quegli anni gravidi di cambiamenti e contraddizioni, illustrandoci la sua cultura, lo stile di vita dei giapponesi e il loro rapporto con gli stranieri, dandoci, allo stesso tempo, preziose informazioni anche sulla piccola comunita italiana di Yokohama (semai come Pietro Savio e Ferdinando Meazza, diplomatici come Alessandro Fe d'Ostiani, ecc...), sulla vita di bordo e sui membri dell'equipaggio della Vettor Pisani. Non mancano inoltre descrizioni di eventi storici vissuti in prima persona, come l'incendio del vapore statunitense 'America" nella rada di Yokohama (avvenuto il 24 agosto 1872), o di esperienze avventurose come l'incontro con le popolazioni indigene delle isole Ryukyu. Nelle sue missive, inoltre, Carlo allude ad opere d'arte e oggetti d'artigianato comprati in Giappone e inviati alla sua famiglia, parte dei quali sono attualmente ancora in possesso dei suoi discendenti. Oltre a tutto cio, Carlo riferisce alla madre le sue profonde riflessioni scaturite dall'incontro-scontro con un mondo sorprendentemente "civile" e totalmente diverso dal suo, e lo fa in modo estremamente obiettivo e ponderato, cercando di osservare il Giappone senza lasciarsi influenzare dai pregiudizi e dagli stereotipi a cui spesso si abbandonavano molti altri europei che in quegli anni visitavano l'Impero. Questo suo modo di osservare, descrivere ed analizzare il Giappone in modo vivace e obiettivo e il fatto che le sue impressioni e riflessioni giungano a noi in modo diretto e sincero (senza venire "filtrate" come quelle che normalmente si trovano nei resoconti ufficiali o nelle pubblicazioni a stampa) sono le caratteristiche che rendono questo epistolario una fonte primaria di raro valore storico, certamente degna di essere pubblicata in versione integrale.
著者
木村 太郎
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.56, pp.120-143, 2006-10-21

La Testa di Medusa di Michelangelo Merisi da Caravaggio (Milano 1571?-Porto Ercole, Grosseto 1610) oggi nella Galleria degli Uffizi a Firenze (fig. 1) e un esempio degli scudi da parata frequentemente eseguiti nel Cinquecento. La faccia anteriore del suo supporto ligneo e rivestita da una tela di lino su cui il pittore dipinse la testa ad olio. Nel 1597 o nei primissimi mesi del 1598 lo scudo fu commissionato dal cardinale Francesco Maria Del Monte, protettore dell'artista in questo periodo, il quale, con ogni probabilita, intese dedicarlo al granduca di Toscana Ferdinando I de' Medici che iniziava a sistemare le tre stanze nella Galleria per l'Armeria Medicea a partire dal 1588. Infatti glielo dono prima del 7 settembre 1598. Il motivo di testa di Medusa derivante dalle antiche narrazioni mitologiche come quelle di Esiodo (Teogonia, 274-284) e di Ovidio (Metamorfosi, IV, 769-803), per la capacita del suo sguardo di impietrire chi la guarda, venne scisso dalle narrazioni originali nell'antichita, ed in seguito svolgeva tradizionalmente una funzione apotropaica su diversi oggetti. Ma rispetto ad alcune opere cinquecentesche con lo stesso motive (figg. 2, 3, 4) si possono trovare nello scudo caravaggesco due particolari elementi iconografici: l'ombra della testa che ribalta illusionisticamente la reale superficie di convessita dello scudo nell'effetto di concavita, ed il sangue schizzante dal collo. A mio avviso e solo G. Berra (2004) che percependo questi due elementi prova ad interpretare complessivamente lo scudo dal punto di vista iconografico. Non l'ha considerate uno scudo su cui e dipinta una testa, ma una fusione dei due scudi di Perseo e di Minerva descritti nelle narrazioni mitologiche stesse. Questa interpretazione, tuttavia, causa due problemi: contrasta col fatto che i piu antichi documenti che ci parlano dello scudo del pittore non mostrano mai come tale opera; non e evidente la ragione del fondere i due scudi in esso. Ora in questo articolo presento una nuova lettura: nello scudo sarebbe dimostrata visivamente nel contesto del "paragone" tra pittura e scultura la superiorita della pittura sul rilievo dello stesso soggetto su scudi da parata metallici (figg. 7, 8). Da questo punto di vista si potrebbero spiegare rispettivamente l'ombra come un motive di sottolineare l'impossibilita di rappresentarla sul rilievo, ed il sangue come quello di suggerire la difficolta di esprimerlo su esso. Questo mio parere potrebbe essere sostenuto anche dal fatto che nel 1631 lo scudo era esposto assieme ad un esempio degli scudi con rilievo (fig. 8) in una delle tre stanze sopra ricordate.
著者
伊藤 博明
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.38, pp.77-103, 1988-10-30

rights: イタリア学会rights: 本文データは学協会の許諾に基づきCiNiiから複製したものであるrelation: isVersionOf: http://ci.nii.ac.jp/naid/110002959280/シエナの大聖堂に踏み入る者が最初に出会うのは、中央の舗床に描かれた「ヘルメス・メルクリウス・トリメギストュス、モーセの同時代人」HERMES MERCURIUS TRIMEGISTUS CONTEMPORANEUS MOYSIと題されたモザイク画である。このヘルメス像は、先駆的な「ヘルメス文書」の校訂版であるスコット編纂の『ヘルメティカ』、及び、画期的なルネサンス・ヘルメス主義の研究所であるイエイツの『ジョルダーノ・ブルーノとヘルメス伝承』のフロント・ページを飾り、ルネサンス期におけるヘルメス主義の興隆を視覚的に示しているものとして、研究者の間では夙に有名なものである。このモザイク画の両側には、内陣に向かって10のシビュラ像が置かれているが、それらは、舗床にはめられた石版が示しているように、1482年から1483年にかけて、オペラ・デル・ドゥオーモ(大聖堂総務局)の当時の長であったアルベルト・アリンギエーリの指示によって、数人の画家によって描かれたのであった。これらのシビュラ像から少し遅れて、1488年にヘルメス像は、ジョヴァンニ・ディ・ステーファノによって描かれることになるが、それも同様にアリンギエーリの指示を受けていたとされている。本稿の課題は、大聖堂の舗床に描かれているヘルメスとシビュラが意味している分脈を、舗床に刻まれているラテン語章句を詳しく分析しながら、また、当時の思想的・宗教的背景を踏まえつつ明らかにすることである。予め論述の順序を示しておくと、まず古代・中世におけるシビュラとヘルメスについて簡単な予備的考察を行い(l)、次にルネサンス期におけるシビュラとヘルメスの受容についてフィチーノを中心に検討し(II)、その後に、大聖堂舗床のシビュラとヘルメスについて論究することにしたい(III・IV)。Sul Pavimento del Duomo di Siena, si vedono le figure d'Ermete e delle dieci Sibille. Queste furono raffigurate da vari artisti sotto la guida del Rettore dell'Opera del Duomo, Alberto Aringhieri nel tardo Quattrocento. (1) Le Sibille furono originariamente profetesse in Grecia antica. Nel Medioevo, pero, erano considerate le donne che predissero la venuta del cristianesimo nelle varie regioni pagane. Anche Ermete, a cui erano attribuite le vaste opere, fu riferito come profeto egiziano sul cristianesimo, per esempio, nel Divinae institutiones di Lattanzio, ma Agostino accuso la falsita della dottrina ermetica nel suo De civitate Dei. (2) Nel periodo umanistico, il pensiero ermetico rigenero e venne divulgato in Italia. Marsilio Ficino, che tradusse il Corpus hermeticum, appoggiandosi sulle testimonianze di Lattanzio, insiste che Ermete vaticino la venuta di Cristo come le Sibille facero. La sua opinione ebbe una grand'influenza sui pensatori religiosi e filosofici del suo tempo. (3) Gli oracoli, che sono scritti presso le dieci Sibille, alludono alla nascita, al miracolo, alla flagellazione, alla passione, allla resurrezione di Gesu e al giudizio finale. Si pensa che le frasi d'oracoli sono prese principalmente dal Divinae institutiones. (4) Ermete si appoggia a una tabella, nella quale e scritta la frase che allude alla creasione del " Dio visibile, Figlio che e appellato il Sacro Verbo" , cioe, del Logos=Cristo prima d'incarnazione. Questa frase deriva dai flammenti che sono citati in greco presso il Divinae institutiones. Lattanzio, la cui opera fu utilizzata dal Rettore Aringhieri, dice che Cristo fu nato due volte; prima in spirito, poi in carne. Consultando questa opinione di Lattanzio, si conclude che sul Pavimento del Duomo, Ermete profezia Cristo nato in spirito e le Sibille profeziano Cristo nato in carne, ed Ermete e le Sibille rappresentano la significazione unificativa.
著者
根占 献一
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.52, pp.137-142, 2002-10-25
著者
和栗 珠里
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
vol.48, pp.162-180, 1998-10-20 (Released:2017-04-05)

Le Compagnie della Calza, chiamate cosi per l'usanza di portare calze di seta, erano sodalizi di giovani patrizi veneziani dai quali i cittadini e i popolani erano praticamente esclusi. Questi sodalizi ebbero vita nel corso dei secoli XV e XVI, cioe rinascimentale, e avevano lo scopo di organizzare feste pubbliche e private. Secondo Lionello Venturi, fra il 1487 e il 1565 c'erano 23 Compagnie della Calza, ma forse anche di piu. Ciascuna compagnia era costituita generalmente da una ventina o una trentina di giovani, che eleggevano fra loro le cariche sociali: il Priore o il Signore, i consiglieri, il sindaco, il camerlengo. La prima occasione di attivita si ebbe con la fondazione della compagnia. Poi c'erano altre occasioni: le feste pubbliche, le visite di principi stranieri e le nozze dei membri. In queste occasioni, le compagnie organizzavano i pageant sul Canal Grande, facevano recitare commedie, danzavano sui soleri o nel cortile del Palazzo Ducale, davano banchetti nei loro palazzi, e cosi via. Le Compagnie della Calza avevano funzioni culturali e politiche. Erano mecenati delle arti "effimere" come spettacoli, danza, e musica. Soprattutto contribuivano moltissimo allo sviluppo delle arti teatrali a Venezia. Le Compagnie della Calza funzionavano anche come organismo diplomatico per l'accoglienza dei principi stranieri. Analizzando l'elenco dei membri delle Compagnie della Calza compilato nel saggio di Venturi, si ha una visione precisa della estrazione sociale dei 'calzaioli'. Generalmente i giovani patrizi che partecipavano alle Compagnie della Calza erano di famiglie molto ricche e influenti. Molti erano figli e nipoti dei grandi statisti della Repubblica di Venezia, e loro stessi sarebbero diventati personaggi importanti in futuro. Addirittura i primi tre dogi del Cinquecento, Leonardo Loredan, Antonio Grimani e Andrea Gritti, erano 'ex-calzaioli'. Tra le attivita delle Compagnie della Calza, le feste di nozze hanno avuto poca attenzione da parte degli studiosi, nondimeno erano molto importanti. Dei 35 documenti di nozze contenuti nel Codice Cicogna 1650/XV (articoli estratti dai Diarii di Marin Sanudo), ben 27 comprendono descrizioni di loro interventi e, negli statuti delle Compagnie della Calza, ci sono alcune clausole che riguardano le nozze dei membri. Le Compagnie della Calza, festeggiando i legami tra le famiglie nobili, contribuivano ad intrecciare il network di parentela, attraverso del quale l'oligarchia si sviluppo nel patriziato di Venezia del periodo rinascimentale. Nello stesso tempo, dopo la Serrata, il patriziato veneziano comincio a dare importanza alla purezza della sangue, e ad incoraggiare il matrimonio solo fra le famiglie nobile. Le Compagnie della Calza facevano sfoggio tale matrimonio benedetto dal loro ceto. Si puo concludere che le Compagnie della Calza fiorirono, politicamente, culturalmente e socialmente, sullo sfondo della grande svolta della storia di Venezia.
著者
斉藤 寛海
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.35, pp.p118-138, 1986-03

Nel commercio levantino del Cinquecento, il ruolo d'Ancona e di Ragusa era importantissimo. Acquiatando i privilegi dall'Impero Ottomano, le due citta potevano sviluppare gli affari con quello, che si opponeva a Venezia. La flotta cresciuta ragusea e la via terrestre sviluppata balcanica, il cui dominio non apparteneva agl'italiani, divenivano i mezzi piu importanti della comunicazione. Entrando i prodotti e uscendo le materie prime con questi mezzi, crollava l'industria (laniera) dell'Impero che non la proteggeva. Cosi, il commercio levantino cinquecentesco preparava quello seicentesco, nel quale il ruolo dei mercanti non italiani cresceva sempre.
著者
岩本 純
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.28, pp.32-47, 1980-03-10

I Fasci di combattimento erano nati come fenomeno urbano e i loro aderenti erano in gran parte ex combattenti provenienti dai sindacalisti rivoluzionari, ex arditi, studenti, futuristi ecc, cioe gente del ceto medio la cui condizione era stata cambiata dalle guerra. Il fascismo era ancora un fatto principalmente cittadino, circoscritto a zone geografiche limitate. Ma nel'21 la situazione muto radicalmente. Da cittadino il fascismo divento prevalentemente un fenomeno delle zone agrarie e poi, in un secondo momento, s'estese a tutta la nazione. La Valle Padana e considerata la zona del cosiddetto "fascismo classico", e Ferrara in particolare rappresentava l'affermazione fascista in una zona agraria. Li il movimento ebbe successo e riusci a darsi una base popolare prima che altrove. Anche storicamente apparve la forza del movimento socialista e delle organizzazioni sindacali ad esso collegate. Il fattore della riuscita fascista e da ricercarsi nella violenza sistematica come "spedizione punitiva" per la distruzione delle forze socialiste e nella complicita dei pubblici poteri. Nel fascismo agrario importante fattore di riuscita fu il ruolo del gruppo di interesse. A Ferrara il fascismo pote succedere ai gruppi di interesse delle diverse classi sociali. Nel primo dopoguerra, mutato il rapporto delle forze sociali, l'organizzazione dei proprietari, cioe L'"Agraria Ferrarese", appoggiava il fascismo. Nell' estate del'20 si trovo ad affrontare incertezze economiche e politiche : l'emergere di un'improvvisa e gravissima crisi economica, l'inerzia del governo liberale dinanzi all'occupazione delle fabbriche, gli scioperi agricoli e la sconfitta delle elezioni amministrative. In quanto ai ceti medi, la loro "cattolica Unione del lavoro" non riusciva piu a proteggere i loro interessi. Il Fascismo sembro rafforzarne la posizione entro la gerarchia della societa rurale con la medesima politica agraria : "la terra ai contadini. " Cosi, questi due gruppi poterono riconquistare i propri equilibri che erano stati minacciati dalle forze socialiste. Infine il monopolio del collocamento dei lavoratori della Federterra si sposto nelle mani del "sindacato autonomo" fascista. La disoccupazione cronica era un fatto di ordinaria amministrazione, poiche il bisogno del posto di lavoro era piu forte dell'attaccamento alle convinzioni politiche. Con i socialisti disarmati e incapaci di reagire, i proprietari furono di nuovo in grado di dominare il mercato del lavoro.
著者
石井 元章
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.47, pp.60-76, 1997-10-20

Le Esposizioni Internazionali d'Arte della citta di Venezia, meglio conosciute come Biennali di Venezia, subirono drastici cambiamenti nella quinta e nella sesta edizione rispettivamente del 1993 e del 1905, in cui furono fuse l'arte pura e l'arte decorativa per "creare un salone di un intelligente amatore d'arte". Tali cambiamenti furono messi in atto dal segretario del comitato organizzatore, Antonio Fradeletto, sotto l'influenza dell'Esposizione Internazionale dell'arte decorativa di Torino del 1902. Egli penso di aver trovato il modo attraverso il quale l'Europa risolveva il proprio passato, sottolineando la fusione delle due arti che esisteva prima del periodo rinascimentale. A mio parere invece questa fusione avrebbe potuto essere ispirata dalla partecipazione dell'arte giapponese, presentata alla seconda edizione della mostra veneziana e considerata importante per l'arte decorativa europea dalla critica Japoniste dell'epoca, per due motivi fondamentali. Innanzitutto Vittorio Pica, critico d'arte militante e prima persona a presentare l'arte dell'Estremo Oriente in Italia nel 1894, disse che la mostra giapponese nella seconda edizione era sul filone dell'arte decorativa che doveva man mano svilupparsi per creare lo Stile Nuovo. Pica notava che i Giapponesi erano senza dubbio i piu geniali decoratori del mondo secondo il concetto gia espresso da Louis Gonse nel suo L'artjaponais del 1883 e diffuso tra i Japonisants di tutta l'Europa. Il critico comunicava spesso con il segretario Fradeletto riguardo al miglioramento dell'arte decorativa, che era in realta l'idea del critico. Ce lo testimoniano le lettere che ho scoperto nell'Archivio Storico delle Arti Contemporanee di Venezia. La seconda ragione che vorrei sottolineare concerne la frase "il principio d'unita" che Fradeletto pronuncio parlando dell'"accostare le forme dell'art ornamentale alle figurazioni dell'arte pura" (L'arte nella vita, Bari 1929). Tale principio, secondo lui, esisteva dall'antichita in Europa, ma dopo la rivoluzione industriale, cominciarono le distinzioni tra l'arte pura e quella decorativa secondo la bellezza o l'utilita di un oggetto. Quindi Fradeletto considerava la nuova fusione delle due arti come un atto autonomo europeo accaduto per merito dei movimenti di approfondimento storico del proprio passato. Nonostante cio possiamo trovare la stessafrase nel catalogo della mostra giapponese della seconda edizione : "l'arte giapponese ha per suo caratterefondamentale l'unita ; in essa non la distinzione europea fra l'arte pura e l'arte decorativa, bensi concordia e fusione di mezzi e d'intendimenti". Grazie al catalogo ufficiale, questa caratteristica dell'arte giapponese fu conosciuta dai membri del comitato organizzatore e dai critici, tra cui Gio. Antonio Munaro e A. Centelli citarono il concetto nelle loro opere. "Il principio d'unita" nella vecchia civilta europea e "l'unita" dell'arte giapponeseavevano poca differenza tra loro, ma c'e da notare che Fradeletto che le conosceva entrambe non vi si riferi per niente. Non ne conosciamo il motivo e non troviamo traccia delle riflessioni in merito. Concludendo possiamo dire che sottolineando questa poca differenza tra due frasi come testimonianza secondaria, la presenza dell'arte giapponese ala seconda edizione ebbe a che fare anche con il processo di fusione delle arti pura e decorativa nelle edizioni del 1903 e del 1905 delle Biennali di Venezia.