著者
長野 徹
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
vol.44, pp.100-121, 1994

La letteratura fantastica e spesso legata alle sensazioni di"paura"o di"inquietudine", perche queste sensazioni compaiono quando l'irreale, l'inspiegabile, lo strano, il soprannaturale invadono la realta;e la letteratura fantastica, nella forma di racconto, tratta proprio di tale conflitto tra la realta e l'irreale. Frend, analizzando alcune opere letterarie nel suo saggio Das Unheimliche(Stranezza inquietante), spiega che le sensazioni di paura o di inquietudine derivano dal ritorno, come estraneo e pauroso, di un contenuto rimosso, gia familiare e conosciuto. Come nello schema freudiano, anche nelle molte opere fantastiche di Dino Buzzati, la paura e l'inquietudine nascono dove il nascosto, il celato, il rimosso(dal mondo reale o dalla coscienza)appaiono di nuovo in forma inaspettata. Lo scrittore descrive l'angoscia di uomini impigliati in destini misteriosi, cioe controllati dal meccanismo irrazionale e illogico dell'inconscio, che trasforma il familiare nell'estraneo. Ma gli avvenimenti strani, inquietanti e paurosi, le cose misteriose delle opere buzzatiane, si rifiutano, nel racconto, di essere interpretate come allegoria o metafora di qualcosa, o di essere ridotte a dimensioni razionali;mancano sostanzialmente del"signifie"(significato)che dovrebbe corrispondere al"signifiant"(significante). Sotto questo aspetto, il suo fantastico si puo definire un'espressione di"nonsenso"in senso lato, che tendea scuotere e travolgere la stabilita dell'ordine del mondo reale ed a suscitare la"paura"e l'"inquietudine"esistenziali.
著者
星野 倫
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
vol.69, pp.49-72, 2019 (Released:2021-01-23)
参考文献数
54

Benché la pubblicazione dei saggi di Bruno Nardi Dal «Convivio» alla «Commedia» abbia a lungo relegato il Convivio al ruolo di opera minore e intermedia utile all’interpretazione del Poema, oggi gli studiosi tornano a guardare quest’opera con rinnovata attenzione e ad interrogarsi sul progetto che l’ha portata alla luce. In questa direzione si muove anche la presente indagine, volta ad individuare fonti e modelli dell’opera, da Brunetto Latini a Cicerone.Dante, nel noto capitolo (Conv. II, xii) in cui espone la propria formazione culturale fiorentina dopo la morte di Beatrice, indica due testi: il De consolatione Philosophiae di Boezio e il De amicitia di Cicerone: mentre sul primo, racconto autobiografico in forma di prosimetro, non vi sono dubbi, risulta più difficile inquadrare il peso del dialogo ciceroniano nell’elaborazione del Convivio. Per quest’opera, infatti, è stato piuttosto indicato come modello il Tresor di ser Brunetto, che di Cicerone fu volgarizzatore e commentatore a Firenze.Brunetto, nella Commedia, affida a Dante il proprio lavoro con le parole «Sieti raccomandato il mio Tesoro» (Inf. XV, 119): segno dell’esplicito riconoscimento dell’opera enciclopedica del maestro come uno dei testi di riferimento da parte dell’allievo. Per quanto siano almeno sette i casi in cui il Convivio mostra riferimenti alla Rettorica, traduzione parziale del De inventione ciceroniano con ampio commento, e ben venticinque al Tresor, ciò non consente di definire il Tresor quale modello del Convivio. La leggerezza e la gioia che traspaiono dalla narrazione del Tresor (l’autore paragona le virtù cardinali con gioielli in Tres. II, i, 3), non si riflettono nella gravità e scientificità ricercata dal testo di Dante, e la lingua del Tresor, il francese, è lontana da quella dell’allievo.Simone Marchesi (2001) ha individuato nel primo trattato del Convivio (Conv. I, xii, 10) la citazione di un passo del Tresor (Tres. II, xci, 2, che è in realtà una libera traduzione del ciceroniano De Officiis II, xi, 40) senza evidenziarne l’eco brunettiano, citato tuttavia esplicitamente dal poeta nel quarto trattato. La ricezione dantesca di Cicerone appare aver acquisito progressivamente peso anche nel processo di composizione del Convivio, il che induce a considerare l’opportunità di indagare l’opera ciceroniana come fonte e modello dell’opera.Nel Convivio Cicerone è esplicitamente citato ventuno volte. Dante dichiara di aver letto a Firenze il De amicitia, citandolo nel primo trattato quasi letteralmente; il De senectute, che affiancava il De amicitia nella didattica medievale, è citato una volta nel secondo trattato e sette nel quarto; del De Officiis invece, come già osservato, non si rilevano tracce nei primi tre trattati, ma nel quarto ne compaiono sette citazioni.Il testo che si intende sottoporre all’attenzione qui è il De finibus bonorum et malorum, opera citata da Dante prima di tutti gli altri testi ciceroniani. Al De finibus, opera filosofica corposa e distante da opuscoli didattici quali il De amicitia o il De senectute, il poeta si ispira in Conv. I, xi, 14, allo scopo di giustificare la scelta linguistica del volgare, richiamandosi al passo ciceroniano (Fin. I, [ii], 4) che difende la legittimità dell’uso del latino per la disquisizione filosofica. Esaminando la diffusione dei manoscritti ciceroniani nell’Italia medievale, L. D. Reynolds (1992) ha messo in luce come il De finibus fosse giunto a Padova a fine Duecento e da lì avesse preso a circolare nel Nord della penisola. L’esiliato Alighieri viene in contatto con quest’opera, ne legge l’inizio del primo volume e lo cita nel primo trattato del Convivio, illustrando estesamente (dal cap. v al xiii) la scelta del volgare per il commento delle sue canzoni filosofiche. Potrebbe dunque essere proprio il(View PDF for the rest of the abstract.)
著者
フォンガロ エンリーコ
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
vol.59, pp.53-70, 2009-10-17 (Released:2017-04-05)

本稿は三部から成る。第一部は、Introduzione bio-bibliograficaとし、カルロ・ミケルシュテッターの生涯と著作について、短くとも出来る限り情報量を損なわないように略述することを試みた。まず生まれ育った環境-ユダヤ系家庭、ゴリツィアの典型的な中央ヨーロッパ文化社会、ドイツ系の学校教育そして、特に後世のミケルシュテッターに非常に大きな役割を果たしたゴリツィアでの友人関係についてまとめた。次に、彼が大学時代を過ごし、著作を著し、自ら命を絶つまでの短い生涯の最後の期間を過ごしたフィレンツェでの生活について記した。最後に、死後の彼の思想の受容について、パピーニの新聞記事とジェンティーレの批判をはじめ、カピティーニのPersuasioneの解釈、カッチャーリ、マグリスなどの著作の影響で、80年代から現在まで続くミケルシュテッターの思想の再発見と再評価の概要について述べた。第二部は、Il mondo della Rettorica,la morte e la Persuasioneとし、ミケルシュテッターの思想の最も重要な概念を概説した。つまり、ショーペンハウアーとレオパルディから受けた影響がはっきりと読み取れるRettoricaの概念、そしてそれよりも難解なPersuasioneの概念である。Rettoricaの概念を用いて、ミケルシュテッターは、ブルジョワ社会とその世界観の徹底的な批判をするのみならず、「意志の形而上学」がもたらした近代ヨーロッパ文化のニヒリズムの衰退を明らかにした。さらに、ミケルシュテッターは、Persuasioneの概念を用いて、Rettoricaの世界観とは違う存在のあり方の可能性を思索したが、このPersuasioneの解釈をめぐっては現在も議論が続いている。第三部は、Tempo rettorico,tempo persuaso,tempo risvegliatoとし、ミケルシュテッターのPersuasioneの意味の問題を文化間的視点から考察した。Persuasioneの解釈の中では、カッチャーリによるルカーチの日記のイタリア語版に付した論文の中で行なったものがよく知られているが、カリオラート・フォンガロによる著書「カルロ・ミケルシュテッター:パルメニデスとヘラクレイトス.エンペドクレス(Carlo Michelstaedter:Parmenide ed Eraclito.Empedocle)」の中に収められている共著論文Figure dell'infigurabileにおいては、Persuasioneをルカーチ的なプラトニズムから脱却させ、Persuasioneの創造性と有限性という観点から説明がなされた。本稿では、カリオラート・フォンガロによるPersuasioneの解釈をさらに、非ヨーロッパ的な視点から分析し、新しい解釈を試みた。それに際して、友人のムロイレ(Enrico Mreule)がミケルシュテッターの死後、新聞記事においてミケルシュテッターを「ヨーロッパの釈尊」と評したことを手がかりとした。ミケルシュテッターのRettoricaとPersuasioneの背景にある時間性の分析を行なったうえで、ミケルシュテッターの「有の完全無欠」としてのPersuasioneの瞬間を、東洋的な無の概念と密接に結びついた西田幾多郎の瞬間と比較した。無の自己限定として現在と瞬間をとらえる西田の思考を参照することにより、ミケルシュテッターのPersuasioneは、西洋的な有、つまり、ギリシャのパルメニデス的な「現前性としての有」の概念から派生するという結論が導き出された。このように、ミケルシュテッターのPersuasioneの概念は西洋的形而上学の極限にあるものであるが、同時にそれを越え、形而上学からの出口を示しているものと思われる。ここに示されたように、ヨーロッパの思想の他の文化、特に仏教的文化との出会いは、実りある文化間的対話・思想の「場所」を示すものである。
著者
田中 英道 田中 俊子
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
vol.33, pp.148-170, 1984-03-15 (Released:2017-04-05)

L'autore fini di stendere l'opera verso il 1330. Egli era alle dipendenze dei Bardi e rapresentava i loro interessi nell' isola di Cipro e di altri luoghi. Il libro fu da lui scritto con l' intendimento che fosse usato dai mercanti al servizio dei Barbi. Esso e una guida per esercitare la mercatura in Europa ed in Asia. Nella prima parte l' autore da utili indicazioni per poter commerciare con la Cina e l' Asia Centrale, allora possibile grazie alla Pax Mongolica. Nel suo libro egli dimostra quanto desse valore al Commercio della seta. Ed e proprio della stoffa di seta cinese che si puo riconoscere nelle opere di Simone Martini. Nel libro il Pegolotti tratta nei particolari dal valore delle varie monete e dei pesi e misure usati in molti paesi d' Asia ed Europa. Abbiamo provveduto alla traduzione della parte del libro che tratta del commercio con la Cina, cioe abbiamo tradotto i primi otto capitoli allo scopo di sottolineare come il commercio tra Italia e Cina fosse assai sviluppato. In Italia esistono pochi studi recenti su tale tema. Esiste, come e noto, la traduzione inglese di H. Yule e Cordier e lo studio di A.Evans del 1936. Con questa nostra traduzione, vogliamo incoraggiare studi ad alto livello sui rapporti commerciali tra l'Italia e l' Asia nella questa epoca.
著者
菅野 類
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.57, pp.192-216, 2007-10-20

Alfieri concepi il Filippo il 27 marzo 1775. Nella Vita, egli racconta di aver tratto l'idea dal Don Carlos dell'abate Saint-Real, ma dalla lettura di "piu anni prima". Pare inverosimile che l'idea gli sia venuta spontaneamente, da un ricordo un po' lontano, senza alcun stimolo esterno. Tale spiegazione della genesi del Filippo non sembra sufficiente e risulta plausibile ipotizzare che ci siano stati altri fattori. Il Filippo e una tragedia ambientata nella Spagna del sedicesimo secolo; il re Filippo persegue il figlio Carlo e lo costringe a uccidersi. L'opera e stata composta nel corso di quindici anni e ha subito non poche modifiche nelle varie fasi della rielaborazione. Tradizionalmente, il personaggio centrale e considerate quello di Filippo, in virtu della rappresentazione cupa e compassionevole. Invece l'autore del presente saggio rivolge l'attenzione alle prime caratterizzazioni di Filippo, le quali, non destando compassione nel lettore, fanno pensare che l'impianto del Filippo sia stato fortemente condizionato dall'atteggiamento polemico dello scrittore contro la monarchia. Questo aspetto merita particolare attenzione nel nostro contesto, poiche all'epoca della concezione del Filippo il governo torinese si trovava in una situazione assai confusa, alla cui origine c'era un problema interno alla casa sabauda. Nel 1773 il re Carlo Emanuele III mori e gli succedette sue figlio Vittorio Amedeo III. La successione non pote non provocare problemi, poiche la relazione fra i due era stata segnata da un gesto irreparabile : il padre aveva escluso il figlio dagli affari giudicandolo ancora inaffidabile; il figlio aveva covato rancore nella sua "corte alternativa", circondato da cortigiani a loro volta emarginati dalla scena politica. Appena salito al trono, il nuovo re sciolse il governo e ne formo uno nuovo con i suoi favoriti. Ma il sistema non funziono bene e il re fu costretto a modificare subito la sua linea politica. Nonostante Alfieri abbia vissuto un periodo cosi delicato a Torino, non ne fa menzione in nessuna parte della Vita. Questo, tuttavia, non va necessariamente considerato come totale indifferenza alle vicende dello Stato : si puo cogliere infatti da una sua opera pubblicata postuma quale interesse egli rivolgesse al disordine politico di allora. L'opera si chiama l'Esquisse du jugement universel e rappresenta scene del Giudizio Universale. Alcune anime della Premiere Session sono identificabili con gli uomini di governo. Le loro descrizioni caricaturali dimostrano che Alfieri guardava al governo torinese con occhi cinici ma sicuramente interessati. Davanti a tale situazione, egli ebbe modo di saggiare la fragilita del sistema monarchico. Rimane ancora irrisolto il problema della datazione dell'Esquisse, la quale oscilla fra il dicembre del 1773 e gli inizi del 1775, ma e sicuro che il Filippo fu concepito poco dopo. Forse non fu un caso che in quel momento tornasse alla mente del poeta il dramma di Don Carlos che aveva letto "piu anni prima" : Alfieri potrebbe aver preso spunto dalla realta torinese, la quale doveva ricordare un'altra tragica relazione fra il re e il principe del romanzo francese. E se la concezione del Filippo e legata all'amara realta torinese, risulta comprensibile l'insufficiente spiegazione nella Vita. Al momento della stesura della Vita, Alfieri aveva gia superato la stagione di aspra polemica contro la monarchia : voleva tacere la storia nera del regno sabaudo per non offenderne l'onore.
著者
仲谷 満寿美
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.58, pp.131-150, 2008-10-19

Benche gli opuscoli amatori dell'Alberti siano di per se interessanti, nessuno studioso del nostro Paese sembra essersene specificamente occupato. A nostro avviso e invece opportuno prendere in considerazione due saggi fondamentali che hanno come tema la Deifira (per la quale si utilizza qui l'edizione critica del Grayson 1973), una delle opere albertiane stampate piu frequentemente nel Rinascimento. Il primo e M. Aurigemma, L'Ecatomfila, la Deifira e la tradizione rinascimentale della scienza d'amore (1972), un contributo ormai classico ma non sbiadito. Qui la Deifira e accoppiata a priori (ma non senza ragione se si considera la tradizione delle stampe) con l'Ecatonfile (secondo il titolo di Marcelli 2004) quale dittico inseparabile allo scopo di dettare norme sul comportamento amoroso. Egli afferma che nelle due opere e possibile individuare tanto l'esortazione alla medietas e all'esercizio della prudenzia, quanto l'incitamento all'industria. Nella mia analisi mostrero pero che tali concetti, ricavati dall'Ecatonfile, non sono altrettanto applicabili alla Deifira, soffermandomi in particolare sulla medietas. L'Aurigemma ne indica un indizio nella similitudine del sole abbagliante e in quella del grande sasso che rotolando fracassa tutto. Da parte mia aggiungero anzi che anche la similitudine del toro legato sembra indirizzata allo stesso scopo. Ritengo pero che tali immagini, somiglianti a quella del bambino in fasce nei secondi Asolani, I, ix (1530), non siano orientate all'espressione della medietas, poiche la similitudine bembiana vuole invece ammonire riguardo al veloce e pericoloso accrescersi del sentimento amoroso. Sembra viceversa piu facile trovare un elemento di eccesso, piuttosto che di medietas: ad es. Filarco condanna l'infedelta, la velleita, la crudelta delle donne con un tono quasi misogino. Se tutte le donne fossero cosi cattive, sarebbe inutile cercare la medietas nell'amare creature tanto abominevoli. Pallimacro si lamenta ininterrottamente per la perdita del suo amore, con un'ostinazione altrettanto eccessiva. A lui Filarco cerca di dare consigli, non importa se impraticabili, come andare a caccia di lupi e di orsi, cacciagione incredibilmente pericolosa. Anzi, gli suggerisce addirittura di <<tagliare quel membro>>, perche un dolore momentaneo del corpo puo scacciare una volta per sempre il dolore cronico delta mente. Questa stranissima cura e segnata dall'eccesso, non certo dalla medietas. E quindi difficile considerare la Deifira e l'Ecatonfile come due facce della stessa medaglia. Il secondo saggio che desideriamo considerare e R. Rinaldi, Melancholia albertiana: dalla Deifira al Naufragus (1985), uno straordinario contributo nel quale si osserva come l'amore di Pallimacro mostri indizi che rimandano all'amor hereos. L'amor hereos e un'alienatio connessa al disordine determinato dallo stato umorale della melancholia. Questa e descritta anche in opere di alcuni medici medievali, come Costantino Africano, Bernardo Gordonio, Arnaldo di Villanova, Valesco di Taranta e Michele Savonarola (Lowes 1914). Secondo il Rinaldi, il <<tagliare quel membro>> alluderebbe alla castrazione di Saturno, il dio (ovvero il pianeta) che domina la melancholia. Gli ammonimenti di Filarco in questa prospettiva avrebbero dunque l'obiettivo di recuperare un malato d'amore alla vita sociale e per questa ragione i suoi consigli clinici derivano da opere mediche. Investigando la spiegazione della cura del Gordonio, si capisce tuttavia che molte delle sue terapie sono fondate sui Remedia amoris ovidiani. Il viaggio in paesi lontani, il parlare con gli amici, l'andare a caccia sono certo raccomandati anche dai medici medievali, ma sono riscontrabili anche in Ovidio (benche ne il Gordonio ne Ovidio prescrivano l'evirazione). In altre parole, la Deifira non sembra deviare dalla tradizione letteraria in misura cosi consistente come sostiene il Rinaldi, ma le sue osservazioni talvolta azzardate rimangono sempre preziose, al punto che tutti gli studiosi successivi non possono non farvi riferimento. L'ipotesi che presentiamo in questo lavoro, tuttavia, differisce dalle interpretazioni sia dell'Aurigemma che del Rinaldi, poiche essi hanno investigato l'operetta assegnando un significato letterale a tutte le prescrizioni li presenti. Si ritiene invece che molte delle affermazioni dell'operetta possano essere ricondotte ad un intento motteggiante, il che potrebbe rappresentare un ulteriore punto di interesse e di fascino per l'opera albertiana.
著者
柴田 瑞枝
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
vol.63, pp.1-27, 2013

<p>Alberto Moravia (1907-1990), uno dei maggiori rappresentanti della letteratura italiana del Novecento, pubblico numerosi romanzi e racconti nell'arco dei suoi 82 anni. Fortemente attratto dall'esistenza "drammatica" della figura femminile, Moravia non soltanto scrisse opere riguardanti le donne, ma spesso tento di raffigurarle "dall'interno", immedesimandosi con esse e narrando in prima persona femminile. La Romana, La Ciociara, Il Paradiso, Un'altra vita, Boh, e La vita interiore sono sei delle sue opere principali, in cui la protagonista e sempre una donna che racconta la propria vita dal suo punto di vista. La scelta dello scrittore romano di narrare attraverso la voce di una donna suscito spesso grande clamore nella critica, oltretutto fu anche attaccato accanitamente da alcune femministe dell'epoca. Ai suoi detrattori peto mancavano, nella maggior parte dei casi, i legittimi fondamenti e motivi che ne giustificassero l'attacco. Dopo la pubblicazione de La Romana (1947), il suo primo romanzo in prima persona femminile, Moravia prosegui con il suo narrate dal punto di vista di una donna anche ne La Ciociara (1957), in tre raccolte di racconti pubblicati negli anni settanta (Il Paradiso, Un'altra vita, Boh, vedi sopra) e infine, ne La vita interiore (1978). In questo articolo si intende analizzare e riesaminare l'importanza del suo ultimo romanzo in prima persona femminile, La vita interiore, che sembra essere sottovalutato in alcuni aspetti politici e letterari. Lo scrittore impiego ben sette anni per la stesura de La vita interiore che, appena pubblicato, attiro una grande attenzione da parte del pubblico e dei critici per i suoi contenuti "scandalosi" come la prostituzione, la dissacrazione della religione, l'amore incestuoso e il terrorismo politico. Inizialmente narrato in terza persona, a seguito di un processo di interiorizzazione del punto di vista narrante, nacque il personaggio di "Desideria". La giovane protagonista viene intervistata dall'autore, indicato con il pronome "Io", ed essa gli racconta il suo incontro con la "Voce" (una specie di suo Super-Io) e la sua storia di rivoluzione "simbolica" nell'atmosfera del '68. La novita portata da questo romanzo fu questa particolare forma dialogale, che Moravia riusci a inventare dopo vari tentativi. Questo artificio gli consenti di risolvere alcuni problemi notati dai critici nelle opere precedenti quali La Romana e La Ciociara, cioe l'autenticita di voce della narratrice. Ne La Romana e La Ciociara, infatti, furono spesso osservate l'inadeguatezza del linguaggio eccessivamente alto e sofisticato rispetto alla classe sociale a cui appartengono le protagoniste, la contraddizione tra il loro senso politico troppo acuto (dove traspare l'ideologia politica dell'autore) e la loro presupposta ignoranza in materia, e cosi via. Desideria invece puo parlare liberamente di politica, utilizzando dei termini piuttosto complicati, visto che, anche se lei ne sa ben poco, ha con se la Voce che e onnisciente e le suggerisce di esprimersi in una certa maniera. Inoltre c'e l' "Io" ad aiutarla a chiarirsi e a parlare con la massima autonomia facendole domande opportune e spiegando indirettamente ai lettori come e perche Desideria si comporti in un certo modo e non in un altro. Emerge quindi la tesi che la forma del dialogo triangolare tra Desideria, la Voce e l' "Io", sia il frutto della ricerca di una voce narrante femminile "autentica" dell'autore. Parallelamente, si e cercato di delineare l'atteggiamento politico di Moravia verso il grande movimento studentesco del '68 evidenziando il modo in cui esso venga riflesso nell'opera. Lo scrittore fu entusiasta delle iniziative degli studenti, ma non condivise il loro metodo</p><p>(View PDF for the rest of the abstract.)</p>
著者
安藤 美紀夫
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.4, pp.95-98, 1955-12-30
著者
落合 理恵子
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.56, pp.71-95, 2006-10-21

Giraldi Cinzio rappresento il suo dramma satiresco Egle nel 1545 a Ferrara allo scopo di ricostruire quello greco antico. II suo tentative non ebbe molto successo, ma dal punto di vista storico teatrale, l'Egle e considerata importante perche ha portato alia nascita della favola pastorale. Ciononostante non e ancora stato dimostrato come l'Egle sia effettivamente legata alla nascita della favola pastorale, ne si e trattato il contenuto dell'opera. Cerchero dunque di mettere in evidenza il tema e la drammaturgia dell'Egle per capire il rapporto tra quest'opera e la nascita della favola pastorale. Prima di tutto, perche il Giraldi intese ricostruire il dramma satiresco antico? Per rispondere a questa domanda, e opportune riferirsi alia sua Lettera overo discorso sovra il comporre le satire atte alla scena (1554) in cui si puo trovare il motivo per cui scrisse l'Egle. Dice che "fu cominciata la satira, la commedia e la tragedia imperfettamente, e poscia ciascuna d'esse fu condotta a poco a poco alia sua perfezione". Secondo lui, ciascun genere di teatro si perfezionerebbe solo dentro di se e non potrebbe diventare un altro. Siccome la tragedia e la commedia antica hanno gia raggiunto un livello di perfezione, soltanto il dramma satiresco e suscettibile di perfezionamento. E il Giraldi, in quanto severo classicista, sentiva la missione di portarlo allo stesso livello delle altre due. Trattero adesso il tema e la drammaturgia dell'Egle, analizzando il ruolo dei personaggi principali. Gli "dei silvestri" che sono satiri inferiori rispetto agli "dei celesti", ricorrono ad artifici per avere le ninfe, e hanno un ruolo comico derivante dal loro umore rozzo e malvagio. Piu di tutti Sileno, libidinoso che fa delle scene lascive con la compagna Egle, la quale prima era una delle ninfe di Diana che poi ha lasciato. Questa coppia dissoluta sempre avida di vino rappresenta il vizio in un ruolo satiresco, lascivo e osceno. Le ninfe, invece, completamente devote a Diana, incarnazione della virtu, quasi "monache" del mondo reale, provocano il "terrore" e la "compassione" degli spettatori nel punto culminante in cui si trasformano in piante e alberi, e suscitano il pianto tragico. Tutto questo corrisponde alla definizione del dramma satiresco del Giraldi nella Lettera: "La satira e imitazione di azione perfetta di dicevole grandezza, composta al giocoso et al grave con parlare soave, le membra della quale sono insieme al suo luogo per parte e per parte divise, rappresentata a commovere gli animi a riso et a convenevole terrore e compassione". Qual e il rapporto tra l'Egle e Il Sacrificio (1554) di Agostino Beccari, considerate come la prima favola pastorale? Si potrebbe rispondere cosi: ispirandosi all'Egle in cui le ninfe parlano liberamente in scena dell'amore, anche Beccari le fa discutere con i pastori; nel Sacrificio il mondo "boschereccio" e presentato con la stessa forma della tragedia tradizionale (cinque atti con prologo e coro in endecasillabi sciolti) dell'Egle. Si possono ritrovare questi due elementi essenziali della favola pastorale anche nell'Aminta e nel Pastor fido. E anche vero che il Beccari ha eliminato gli elementi satireschi veri e propri: le scene rozze e lascive di Egle e Sileno; presenza solo dei personaggi mitologici (ninfe e semidei). Per di piu egli ha scritto una storia d'amore di pastori e ninfe a lieto fine, ignorando l'idea del Giraldi che aveva cercato di provocare "terrore" e "compassione" senza un lieto fine. Fondendo la forma dell'egloga tradizionale (che deriva da Virgilio passando per Sannazaro) con quella del dramma satiresco, il Beccari, ironicamente, ha eliminato gli elementi satireschi rozzi e lascivi per creare un nuovo teatro, la "favola pastorale". Non possiamo quindi dimenticare che la composizione e il successo del Sacrificio non sarebbero stati possibili senza il tentative di Giraldi.
著者
土肥 秀行
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.56, pp.16-41, 2006-10-21

1950年にフリウリ地方からローマに移住したピエル・パオロ・パゾリーニが、それまでの方言による活動に終止符を打つのは1952年の方言詩のアンソロジー『20世紀方言詩Poesia dialettale del Novecento』と1955年の民衆詩のアンソロジー『イタリア歌撰:民衆詩アンソロジーCanzoniere italiano: antologia della poesia popolare』の編纂を通してである。本論ではいまだ十分に探求されていない方言詩と民衆詩の「評論家」としてのパゾリーニに焦点をあてる。1940年代よりかかえる大衆主義にひきずられながら、ネオレアリズモというよりも19世紀的な自然主義を踏襲する反動的な姿勢が、パゾリーニの方言詩アンソロジーにみられる。その一方で、パスコリを20世紀方言詩の先駆者として再評価し、正統なイタリア語詩とパラレルなものとして方言詩をとらえている。そのためエルメティズモの詩人たちとの近似を指摘しながら、20世紀方言詩人の新しさを主張するのである。しかしパゾリーニも参照するコンティーニの定義をかりるならば、ここでの彼は「単一言語主義」の範疇に留まると考えねばならない。なぜなら方言詩はイタリア語詩の「翻訳」であるとの1940年代の主張をなおも繰り返すためである。「単一言語主義」と「多言語主義」のアンチノミーはパゾリーニにおいて後退し(これらの概念が入り乱れ、擬似ガッダ的な自由間接話法が、パゾリーニのローマを舞台にした短編群においてうまれる)、やはりヴェルガに代表されるヴェリズモの影響下にあることは叙事詩を重要視する姿勢からうかがえる。ディコトミーの図式をかりて論を進めるのが評論家パゾリーニの常であるが、結局モデルは溶け合い、自己言及的な言説が残る。序論をしめくくるのはフリウリ方言詩のセクションであるが、方言を使った純粋詩的な自らの試みの斬新さが語られる。こうして1940年代の「実験主義」を再び正当化する一方で、方言詩アンソロジーの後半を構成する詩篇群におさめられた自らの作品は、フリウリとローマの間で書かれた叙事詩的なものが主であった。これは1954年に発表されるパゾリーニ方言詩の集大成『最良の青春La meglio gioventu』の編集意図を予言するものである。方言詩アンソロジーの好評をうけて行った民衆詩の収集は、記録性が高く、かつ民俗学的・人類学的な性格を帯びる。しかし背景にはロマン主義を継承する、民衆にあまねく「詩」を見出そうとする理想があった。パゾリーニが追求する新たなロマン主義は、あきらかにクローチェの影響下にある。しかし集団(無名性)と個のアンチテーゼに対しては、パゾリーニは創造的な「タイプ」という概念を提起し(ここではグラムシが民衆詩にみるイデオロギーも軽くこえられてしまう)、創造的な「翻訳」によるヴァリアンテ(Donna lombardaといった有名な歌について)を次々と挙げる作業がイントロダクションにおいて主になる。そのため地方毎にセクションは分かれていても、横断的に民衆詩を語り、各地方の歌に共通する技術的な側面、定型(strambottoなど)をめぐって論は展開されるのである。そして北部では物語風の歌、南部では単連詩、とそれぞれの特色を挙げる。ここでもみられる叙事詩への高い関心は、その強い伝統のあるピエモンテの方言詩をみずからの方言(フリウリ方言)によって「翻訳」するといった作業に結実する。それはまたローマでうみだされる新たなイタリア語詩(詩集『グラムシの遺骸Le ceneri di Gramsci』)へも響いていく。こんにちでは、方言詩史家ブレヴィーニも言うように、パゾリーニの方言詩アンソロジーは歴史的価値しかもちえない。しかし一方で、自らの方言詩を語るパゾリーニのオリジナルなマニフェストともとらえられなくもない。また民衆詩アンソロジーは、数少ないこの手の研究の先駆けとなっている(各地の既存の刊行物を参考にして編纂したとはいえ)。詩や小説の創作活動とあわせて考えたとき、これら二つの評論家としての仕事は、フリウリからローマへと渡ったパゾリーニの変遷を証言してくれている。
著者
天野 恵
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.56, pp.42-70, 2006-10-21

Il colophon de Le cose volgari di Messer Francesco Petrarcha, l'edizione aldina del 1501, dice che il testo sia stato ≪tolto con sommissima diligenza dallo scritto di mano medesima del Poeta, hauuto da M. Piero Bembo≫, ma, come e risaputo, intorno a questa dichiarazione ci sono sempre stati dubbi, non solo nel '500, ma anche nell'epoca moderna, in particolare dopo il ritrovamento dell'autografb di Petrarca, il Vaticano Latino 3195, per mano di De Nolhac. I dubbi da parte dei contemporanei dipendevano dal fatto che nessuno poteva esaminare liberamente l'autografo in questione, se non lo stesso Bembo, dopo averlo acquistato nel 1544. Le perplessita dei filologi moderni, che potevano confrontare il testo aldino e l'autografo vaticano, invece, erano di tutt'altro genere. Furono trovate migliaia di differenze fra i due testi al punto che alcuni hanno negato la paternita del primo al secondo. Altri invece, hanno sostenuto che come base del testo aldino ci fosse stato effettivamente il codice vaticano, ma hanno ipotizzato che il Bembo avesse "corretto" l'autografo, seguendo la cosidetta "norma" bembesca. Recentemente Sandra Giarin, Petrarca e Bembo: l'edizione aldina del ≪Canzoniere≫, in Studi di Filologia Italiana Vol.LXII (2004), attraverso analisi meticolose della copia bembina, il Vaticano Latino 3197, che servi come testo per l'edizione aldina, e riuscita a dimostrare che lo sforzo del Bembo fosse concentrato a riprodurre fedelmente non il Vaticano Latino 3195, ma un testo riportato da un ignoto codice (z), creduto dal Bembo autografo, ponendo in certo senso la fine alia discussione durata per ben 5 secoli. Dunque dovremmo concludere che l'autografo a cui si riferiscono il colophon e il famoso fascicolo B, non fosse il codice vaticano, ma che fosse questo "z"? Secondo la testimonianza lasciata in una relazione di Lorenzo da Pavia a Isabella d'Este su "l'autografo" di cui si sarebbero serviti il Bembo e Aldo, sembra invece probabile che esso fosse proprio il codice vaticano. Allora come si potrebbe spiegare la presenza di tutte quelle differenze fra due testi? Nel presente articolo, partendo da una riflessione sull'uso estremamente ambiguo del verbo "avere" nell'espressione che si vede sia nel colophon che nel fascicolo B, ≪hauuto da M. Piero Bembo≫, ho cercato di proporre una soluzione all'enigma. L'ipotesi avanzata da me e la seguente: il Bembo ebbe opportunita di prendere in mano il codice vaticano solo nell'ultimissimo momento del suo lavoro, e pur riconoscendo immediatamente l'autenticita, dovette rinunciare ad effettuare la collazione basandosi su di esso. D'altra parte, la campagna pubblicitaria per nuova edizione di Petrarca aldina aveva gia diffuse grandi aspettative per la correttezza del suo testo preparato dal Bembo stesso. A questo punto ne Aldo ne il Bembo potevano piu tirarsi indietro senza rovinarsi la fama. L'espressione ambigua del colophon, ≪hauuto da M. Piero Bembo≫, sarebbe stata il frutto di questa situazione "difficile": insomma Aldo "ha avuto" l'autografo dal Bembo, o il codice e stato "avuto" dal Bembo? Se fosse giusta la seconda interpretazione, l'autografo sarebbe stato "posseduto" dal Bembo, oppure semplicemente "tenuto in mano" da lui? Noi sappiamo benissimo che in quel momento il Bembo non lo possedeva, ma la maggior parte dei contemporanei dall'espressione del colophon sarebbero stati indotti a credere che il Bembo possedesse l'autografo, e infatti si sa che il Dolce per esempio colse proprio quel significato. Questo tentative di far credere ai lettori che il Bembo fosse il possessore dell'autografo petrarchesco, a mio avviso, e evidente pure in un certo passo del fascicolo B. Ma perche tutto questo sforzo da parte di Aldo? Ecco, se Bembo fosse stato il possessore del codice in questione, avrebbe potuto collazionare liberamente il testo con bell'agio, e sarebbe stato assurdo mettere in discussione se l'edizione aldina dipendesse o no dall'autografo. E con questa mia ipotesi si pud dare una spiagazione plausibile anche a un'altra testimonianza enigmatica lasciata dal Vellutello nel suo Trattato de l'ordine de' Sonetti et Canzoni del Petrarca mutato (1525), che dice ≪... messer Pietro Bembo, col quale sopra di tal cosa ho alcuna volta parlato, dice non dall'originale del poeta (come Aldo vuole), ma d'alcuni antichi testi, & spetialmente i sonetti et canzoni da uno il quale noi habbiamo veduto, & anchora hoggi e in Padova appresso Messer Danielle da Santa Sophia, havere questa opera cavata,...≫ E non sarebbe strano neanche il fatto che i versi petrarcheschi citati dal Bembo nelle Prose in vari punti si differenziano dall'edizione aldina curata 24 anni prima da lui stesso.
著者
伊藤 亜紀
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
vol.48, pp.203-226, 1998-10-20 (Released:2017-04-05)

Plinio dice che il vestito tinto con la porpora, ottenuta dalla sostanza dei molluschi (murex o purpura) che vivono lungo la costa mediterranea orientale, era molto apprezzato dagli imperatori nell'antichita romana. Pero nel Medioevo, questa tintura che richiedeva tempo e denaro, era andata gradualmente declinando eccetto che a Costantinopoli e a Palermo, per poi scomparire definitivamente nel 1453 quando l'impero cadde in mano ai Turchi. Infatti, alcuni manuali di tintoria del Quattro e Cinquecento (come il Trattato dell'arte della seta edito da Girolamo Gargiolli, il manoscritto 4.4.1. della Civica Biblioteca di Como, e il Plictho di Giovan Ventura Rosetti ecc.) e la Pratica della mercatura (ca. 1310-1340) di Francesco Balducci Pegolotti non menzionano neppure la porpora. Nonostante tutto, la passione della gente per il rosso era rimasta invariata. Molte pagine dei suddetti manuali erano dedicate alla tintura delle diverse tonalita del rosso: rosato, paonozzo, scarlatto, chermisi, sanguigno, cardinalesco, ecc. E riferiscono che per ottenere questi colori, si usavano il chermes o la grana, insetti parassiti delle quercie, la robbia e il verzino dell'Asia sud-orientale al posto della porpora. Anche queste sostanze coloranti erano generalmente molto costose. I vestiti tinti di rosso in questo modo erano piu preziosi di quelli di altri colori, percio erano indossati principalmente dai nobili ricchi. Ad esempio, nell'inventario di Puccio Pucci, che faceva parte della cerchi di Cosimo de'Medici, redatto nel 1449, c'erano molti vestiti sui toni del rosso. Ed anche i medici e gli intellettuali che anelavano al potere politico e finanziario dei nobili, preferivano questo colore. Il Boccaccio descrive in tono vivace i giudici, i medici e i notai, con <<gli scarlatti>>, che da Bologna tornano a Firenze (Decameron, VIII9). Nelle opere letterarie allegoriche, in cui spesso i colori dei vestiti dei personaggi hanno un ruolo importante, il rosso e tradizionalmente il colore dell'abito della persona simboleggiante la carita (p.e. Purgatorio, XXIX, vv. 122-23). Ma nel Trecento, alcuni autori come Francesco da Barberino danno a questo colore qualche nuovo significato- l'industria, la discrezione, la fortezza, ecc.-, senza badare troppo alla tradizione. Secondo Le Blason des couleurs di Sicille (ca. 1458), uno dei trattati sui colori del basso Medioevo, che ci mostra molti dei loro significati simbolici, it rosso (vermeil) significa Haultesse, Hardiesse, Sanguin, Feu, Este, ecc., ed e considerato come il colore primo e piu importante. Fino a quando il nero sara esaltato dagli uomini di Stato, dai moralisti o da qualche letterato nel Cinquecento, il rosso dominera come "re" dei colori.Il rosso, che era un colore "basso" dal punto di vista morale fino alla meta del Medioevo, avera poi ereditato le porprieta del color propora -la nobilta, il potere, la ricchezza, ecc.-, ed era stato nobilitato. Si puo dire, senza paura di esagerare, che la tecnica della tintura del rosso aveva fatto passi da gigante e che erano state inventate tante tonalita perche sia i produttori che i consumatori avevano nostalgia del color porpora, che era molto ricercato nell'antichita.
著者
伊藤 公雄
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
vol.30, pp.149-166, 1981-03-31 (Released:2017-04-05)

Che affinita esistono fra il senso comune, che e la coscienza del popolo, e una visione del mondo piu sistematica e coerente? In che modo una determinata visione del mondo arriva a dominare il popolo? Si tratta di problemi di sociologia della conoscenza che trovano nell'opera di Gramsci alcuni suggerimenti interessanti per una loro soluzione. Il presente articolo e un tentativo di ricostruzione del pensiero di Gramsci da questo punto di vista e si articola in tre punti. 1) In primo luogo ho inserito la teoria di Gramsci sugli intellettuali nell'ambito piu generale delle teorie sociologiche sull'argomento. In particolare ho considerato i suoi "intellettuali tradizionali" come "intellettuali reali", costituenti una classe sociale, ed i suoi "intellettuali organici" come "intellettuali funzionali", cioe osservati dal punto di vista dela loro funzione sociale, concetti che ho riutilizzati al momento di affrontare i problemi dell'egemonia e del blocco storico. 2) In secondo luogo ho distinto nelle idee di Gramsci fra teoria della dominazione e teoria della rivoluzione. L'autore ha ricavato quest'ultima teoria, in cui viene affrontato il problema di come possa nascere una nuova forma di dominio, dalle sue ricerche sulla dominazione. Il suo pensiero in questo campo presenta spiegazioni di grande interesse, come quando utilizza i concetti di egemonia, di blocco storico, di intellettuali organici e tradizionali, ma la sua strategia della rivoluzione ha alcuni limiti. Su questo punto infatti Gramsci appare piu dogmatico ed idealistico. 3) Da ultimo ho delineato un quadro dei rapporti intercorrenti fra folclore, senso comune e filosofia. Fra folclore, che e una forma di conoscenza piu incoerente e statica, e filosofia, che e piu sistematica, esiste una gerarchia. Per dominare il popolo i gruppi egemoni hanno sempre teso a mantenere questa gerarchia attraverso i loro apparati (scuola, chiesa ecc.), cioe attraverso i loro intellettuali organici. Gramsci invece pensa che sia necessario elevare il "senso comune", valorizzandone e sistematizzandone gli elementi positivi, e rendere omogenee le conoscenze del popolo alla visione degli intellettuali organici della nuova classe. Da un punto di vista teorico questa strategia sembra chiara, ma nella pratica come e possibile rendere omogenee le conoscenze del popolo e come ci si rapporta rispetto ai suoi desideri materiali ed alla sua sensibilita? A queti problemi l'autore non risponde. Gramsci e stato sicuramente un grande pensatore dell'epoca moderna ma presenta alcuni limiti. Per superare questi limiti spetta a noi risolvere i problemi lasciati aperti in modo da dare concretezza alla "filosofia della prassi".
著者
伊田 久美子
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.42, pp.173-197, 1992-10-20

A lungo e stato ritenuto che la misoginia del Corbaccio fosse autobiografica e il Corbaccio stesso un' opera "trascurabile" (Momigliano), finche Billanovich e Branca non hanno proposto un nuovo punto di vista che interpreta il Corbaccio e la sua misoginia come una "favola". Tuttavia rimane sempre il tradizionale "autobiografismo" nelle ricerche recenti di-Padoane e Marti che vogliono vedere un cambiamento fondamentale nell' atteggiamento dello scrittore tra Decameron e Corbaccio. Recentemente, pero, Barricelli, e poi Hollander hanno indicato un approccio tutto diverso che considera la misoginia del Corbaccio come una parodia. Secondo loro, il Corbaccio e un' opera che ironizza non le donne, ma gli uomini misogini, e appartiene allo stesso mondo del suo gemello Decameron. Hollander, nonostante i discorsi di Padoan e Marti, insiste sul fatto che Decameron e Corbaccio siano le piu simili fra le opere del Baccaccio. Condivido l' opinione di Hollander, e aggiungo, inoltre, che l' opposizione tra le due opere (il "femminismo" dell' una e la misoginia dell' altra) su cui basa il discorso di Marti, non testimonia altro che il loro rapporto di simmetrica opposizione. D' altra parte, non si puo neppure ignorare che esistono, nel Corbaccio, elementi comuni alle opere latine successive che, invece, non si trovano nelle opere precedenti al Corbaccio, come dimostrano Padoan e Marti. Oltre i loro discorsi, vorrei mettere in rilievo alcuni elementi di misoginia comuni al Corbaccio e alle opere scritte in seguito. Il Trattatello e le Esposizioni hanno lunghi discorsi misogini che risalgono a Teofrasto, stessa fonte del Corbaccio ; i discorsi misogini delle prime due opere hanno la forma tipica di digressione, e anche quelli del Corbaccio possono essere considerati tali ; tutte le tre opere hanno stretti rapporti con Dante (evidenti per le prime due, e ben individuabili per struttura ed espressioni nel Corbaccio). Questa misoginia, inoltre, ben coesiste con il "femminismo" del De mulieribus, e con il fatto che lo scrittore continuasse. fino ai suoi ultimi anni di vita, a trascrivere e ritoccare il Decameron, opera che avrebbe dovuto essere odiosa per un misogino rigorista pentito del suo passato "filogino". Per quanto riguarda la "palinodia" di Boccaccio, essa non deve essere presa alla lettera come fa Marti. Secondo me, l' atteggiamento dello scrittore e coerente e coesiste con la tradizionale misoginia. Prima di tutto, la "palinodia" deve essere considerata un topos della letteratura classica e medievale (Ovidio e Cappellano). Poi, si puo pensare che questo topos fosse adottato per sottolineare il contrasto con il mondo dell' opera precedente cosi da aumentarne il fascino. Ma, oltre a questa, si puo aggiungere un' altra possibile interpretazione : la conversione alla misoginia avviene per difendere la poesia e la letteratura d' amore che il cristianesimo condannava rigorosamente, ma e una convensione camuffata. Non a caso il Trattatello ha una digressione in cui Boccaccio insiste sul suo concetto che la poesia e la teologia sono la stessa cosa, il che e ripetuto anche nella Genealogia. Questo concetto era necessario per far coesistere la poesia con la religione ed onorare Dante, poeta ammirato da Boccaccio.
著者
Talamanti Rosa
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.2, pp.22-24, 1953-11-30
著者
東 哲史
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.49, pp.243-268, 1999-10-20

Il sistema temporale italiano dispone di categorie verbali che, per quanto chiaramente distinguibili sul piano morfologico, presentano usi e sensi molto simili tra loro. Questo studio si concentra sul contrasto tra la perifrasi progressiva stare + gerundio, e i tempi imperfettivi (presente e imperfetto), mettendo in risalto, per quanto possibile, vari fattori che rendono spesso molto sottili le loro differenze. La piu evidente differenza tra l'imperfettivo e la perifrasi progressiva emerge dal fatto che il primo risulta essere compatibile con certi avverbiali che designano una durata nel tempo (aspetto continuo), laddove il secondo non lo e, poiche in molti dei casi questo attira l'attenzione su un singolo istante di focalizzazione dell'azione in corso (aspetto progressivo). Una frase come la seguente, tuttavia, sembra mostrare che la perifrasi progressiva tende ad indicare una durata piuttosto che un solo momento: (1) "Mentre sua sorella (dava / stava dando) l'esame, Gigi fumava nervosamente". Per tentare un'interpretazione ragionevole di questo fenomeno si prendono in esame alcuni tipici esempi di perifrasi progressiva che sembrano implicare la durata nel tempo. Cosi facendo, si nota che il significato fondamentale della perifrasi progressiva e sempre progressivo. Si tratta di elementi soggettivi o modali che permettono di conferire alla perifrasi progressiva un'estensione temporale utilizzandone la profonda espressivita: (2) "La Fiorentina sta vincendo tutte le partite" (disposizione virtuale piuttosto che descrizione di un fatto reale). (3) "Sta cercando di complicare le cose" (Calvino) (connotazione di biasimo). Nel caso di (1) il valore temporale della proposizione subordinata "Mentre …" viene analizzato come integrazione di una serie di istanti di focalizzazione. Si esaminano inoltre alcuni tipi di frasi complesse contenenti una congiunzione temporale e si analizzano i rapporti esistenti tra la principale e la subordinata, tra i tempi imperfettivi e la perifrasi progressiva. A certe condizioni, la perifrasi progressiva, oltre ai tempi imperfettivi, puo assumere un valore iterativo e percio pare designare una durata nel tempo. Ma il suo significato non cessa di essere progressivo: in questo caso serve infatti ad indicare un singolo istante di riferimento che si situa entro un quadro, il quale si ripete a sua volta e acquista nel suo complesso un valore iterativo o abituale. Infine, si accenna ai valori assunti dai tempi imperfettivi e perfettivi in un contesto piu ampio.
著者
米川 良夫
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.39, pp.14-28, 1989-10-20

Il saggio che Franco Fortini pubblico sul <<Menabo>>n. 2, nel 1960, con il titolo "Le poesie italiane di questi anni", conteneva una critica lucida e penetrante e nello stesso tempo molto appassionata sulla poesia di Pier Paolo Pasolini. Nonostante il limite di natura cronologica e la impostazione ideologico-morale che ci sembra troppo rigoristica, il saggio rimane ancora molto stimolante. La nostra indagine sul testo fortiniano tende a stabilire alcuni punti di contatti, sia di consenso sia di dissenso, con altri contributi alla critica pasoliniana, come quelli di Barberi Squarotti o di Citati e quelli piu recenti di Santato o di Rinaldi.
著者
渋江 陽子
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.61, pp.173-193, 2011-10-15

Gabriele D'Annunzio si trasferisce a Roma nell'autunno del 1881, nel periodo in cui la citta, fino a dieci anni prima circondata da un paesaggio bucolico, va trasformandosi in metropoli ed e pervasa dalla cosiddetta "febbre edilizia". Vari scritti dannunziani testimoniano alcuni aspetti del fervore di rinnovamento della capitale, ed e molto interessante esaminarli, sia per conoscere l'atmosfera della citta alla fine dell'Ottocento, che per indagare il modo in cui le descrizioni subiscono un mutamento nell'ottica dell'autore. In questo lavoro si prendono in esame gli scritti riguardanti la modernizzazione della citta e le osservazioni in essi contenute. Nelle cronache mondane del giornale romano <<La Tribuna>>, D'Annunzio fa riferimento alla nuova Roma, per esempio in occasione dell'apertura del Teatro Drammatico Nazionale. I giudizi del cronista sulle costruzioni moderne sono generalmente severi, a causa della volgarita di esse, se messe a confronto con la bellezza dell'architettura del passato. Egli fa riferimento anche ai lavori in corso qua e la per la capitale, scrivendo che Roma sta diventando "la citta delle demolizioni". A quel tempo, infatti, palazzi, chiese e ville vanno scomparendo per essere sostituiti da nuove costruzioni o nuovi quartieri. Simbolica in tale contesto e la villa Boncompagni-Ludovisi, che si estendeva tra la Porta Pinciana e la Porta Salaria e che viene in gran parte venduta e lottizzata nel 1885 per costruire un nuovo quartiere, includendo via Veneto. Poco prima dell'inizio dei lavori, il poeta dedica alla villa il sonetto intitolato Horti Ludovisii e la menziona anche nelle cronache, deplorando la scomparsa della Bellezza. Questo atteggiamento si accentua ne Il piacere, il primo romanzo scritto da D'Annunzio dopo aver lasciato la redazione de <<La Tribuna>>. Nel romanzo, ambientato a Roma tra 1884 e 1887, anche se le vicende non si svolgono cronologicamente, viene descritto "il grigio diluvio democratico odierno, che molte belle cose e rare sommerge miseramente" e vi viene espresso il grande amore per la Roma barocca, che ha il suo centro in Piazza di Spagna. E proprio vicino alla Piazza, nel Palazzo Zuccari, lo scrittore sceglie, forse simbolicamente, di collocare la residenza del protagonista, il conte Andrea Sperelli. La Roma moderna in fase di costruzione non entra in scena se non per alcuni riferimenti, tanto da far supporre che l'autore voglia deliberatamente ignorarla non ammettendovi la presenza di alcuna bellezza. Parla, invece, delle ville patrizie che nel nuovo sistema postunitario subiscono danni: ad esempio una villa dove Andrea aveva passeggiato con Elena riporta alla mente del protagonista Villa Ludovisi, destinata a scomparire. E la villa Sciarra sul Gianicolo, dove ha luogo il duello tra Andrea e un amico, e "gia per meta disonorata dai fabbricatori di case nuove". La villa apparteneva al principe Maffeo Sciarra II, proprietario de <<La Tribuna>> e mecenate del poeta. Questa presa di posizione e certo da ricercare nel fatto che l'estetismo e l'asse del romanzo e la bellezza e vista come minacciata dalla modernita. Tuttavia, mentre nel romanzo l'ottica si identifica piuttosto con quella dell'aristocrazia, in un momento successivo D'Annunzio guarda la situazione sociale romana in modo piu distaccato. In un articolo su <<La Tribuna>> del giugno 1893, evoca l'atmosfera della "febbre edilizia" dicendo che "sembrava che soffiasse su Roma un vento di barbarie" e torna a menzionare gli argomenti trattati in passato. In questo momento, tuttavia, rappresenta in modo piu comprensivo il cambiamento della condizione della Bellezza, riflettendo che la lottizzazione delle ville e in rapporto con la decadenza della classe aristocratica e facendo riferimento alla volgarita della nuova Roma. Inoltre, a proposito della propria attivita giornalistica passata, esprime la sua posizione affermando di aver combattuto contro la volgarita della modernita per sostenere "i diritti della Bellezza inutile e pura". Si potrebbe dire che egli abbia acquisito questa nozione in se stessa attraverso le esperienze romane, infatti l'ambiente del giornalismo assai attivo della Roma capitale gli ha offerto nuove possibilita e la sua esperienza come giornalista lo ha condotto a scrivere il romanzo Il piacere. Con il successo del romanzo e la comprensione piena della potenza dei mezzi di comunicazione, egli entra in una nuova fase, dichiarando di essere un artista che combatte per la Bellezza. Anche in un articolo del 1892 pubblicato sul giornale napoletano <<Il Mattino>>, D'Annunzio parla dei "nuovi nobili", riferendosi agli artisti e agli intellettuali. Riteniamo che sia possibile concludere che la modernizzazione della capitale abbia reso ancor piu distinto l'estetismo dannunziano, in quanto l'autore, nel percepire la decadenza della classe a cui apparteneva la Bellezza, trova in queste circostanze la possibilita di divenire, in quanto artista, un nuovo difensore della Bellezza.