著者
ベンチヴェンニ アレッサンドロ 北川 忠紀
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.14, pp.7-24, 1966-01-20

Studiando il canto 26mo dell' Inferno, non mi e mai sembrato che ci fosse un vero contrasto, fra l' Ulisse della tradizione classica, cambiato in fiamma, pre avere istigato il tranello del cavallo di Troia e la confessione che Ulisse stesso fa, raccontando la storia del suo naufragio. che secondo Dante e anche la causa della sua discesa nell' Inferno. Alcuni commentatori troppo abituati a leggere la Divina Commedia, come un racconto oggettivo di un viaggio immaginario del poeta, che una esperienza intima esistenziale di Dante, hanno sentito il contrasto, e per spiegarlo hanno dovuto ricorrere all' ormai troppo vecchio strattagemma, di dividere la personalita del poeta in due, facendolo giudicare alcune volte come poeta ed altre come teologo. Secondo me, Ulisse, che non e altro che un simbolo, per Dante, simbolo di un male da evitare, comincia con insegnare inganni e termina ingannando se stesso, attribuendosi falsamente, e qui l' inganno, la forza di poter sorpassare i limiti fissati dagli Dei.La confidenza esagerata, frutto del successo avuto ingannando gli altri, lo conduce naturalmente ad avere una tale fiducia nel potere della sua intelligenza da osare persino di sorpassare i limiti fissati da Dio.Mi sembra dunque, che il secondo Ulisse non sia che una conclusione logica del primo, perche infondo fra il primo Ulisse, quello della tradizione classica, ed il secondo quello inventato da Dante, c' e la medesima relazione di quella che esiste fra causa ed effetto, e chi oserebbe vedere un solo contrasto anche se non contradizione, fra la causa e l' effetto ?
著者
脇 功
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.52, pp.1-20, 2002-10-25

Nel saggio intitolato Piccola antologia di ottave compreso in Perche leggere i classici, Calvino, trattando l'Orlando furioso di Ariosto, scrive come segue:<<…ma indicare dove e come e quanto la mia predilezione per questo poema (l'Orlando furioso)ha lasciato traccia nelle cose che ho scritto, m'obbliga a tornare sul lavoro gia fatto, mentre lo spirito ariostesco per me ha sempre voluto dire spinta in avanti, non voltarmi indietro.E poi, penso che tali tracce di predilezione siano abbastanza vistose per lasciare che il lettore le trovi da se・・・>>In questo mio saggio, provo a rispondere al compito che ha lasciato Calvino a noi lettori, cioe trovare le trcce dell'Orlando furioso nelle opere di Calvino.Questo mino saggio si divide in tre parti : 1.La struttura dell'Orlando furioso.2.Le tracce dell'Orlando nel Cavaliere inesistente di Calvino.3.Il metodo di Calvino e le tracce di Ariosto.nella prima parte, esaminando l'Orlando furioso, ravviso alla base di questo poema la cognizione ariostesca che il mondo e composto da vari elementi, cioe la cognizione della varieta e della diversita del mondo.Esostengo che per rappresentare il mondo cosi concepito, Ariosto aveva bisogno di esprimere i vari personaggi, le varie azioni dei vari personaggi, i vari episodi, i vari frammenti del mondo, come Ariosto stesso dice,<<Di molte fila esser bisogno parme a condur la gran tela ch'io lavoro>>.Nella seconda parte, scegliendo il Cavaliere inesistente di Calvino come esempio in cui appaiono abbastanza vistose le tracce di Ariosto, indico che i protagonisti di questa opera calviniana, Agilufo e Gurdulu, non sono imitazione di Don Chisciotte e Sancio Pansa di Cervantes, ma che in Agilufo, Calvino, esagerando e mettendolo in caricatura, esprime Orlando prima di impazzire, e in Gurdulu Orlando impazzito.Nella terza parte, additto l'affinita delle cognizioni del mondo di Ariosto e di Calvino, ed esaminando quale metodo usa Calvino nelle sue opere, Le citta invisibili, Il castello dei destini incrociati e Se una notte d'inverno un viaggiatore ecc, per rappresentare la sua cognizione del mondo, e ci trovo il suo metodo che, allacciando e combinando i vari frammenti del mondo, costruisce un mondo, un'unita di finzione artistica simile a quello ariostesco, quindi concludo che anche sul piano metodologico, Ariosto ha lasciato un'impronta su Calvino, e per Calvino questa impronta metodologica era piu importante di quella superficiale e vistosa.
著者
佐藤 三夫
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.48, pp.1-61, 1998-10-20

Bruno disputo pubblicamente con i dottori nell' Universita di Oxford subito dopo era arrivato a Londra da Parigi. Nella stessa universita fece anche alcune lezioni su <<de immortalitate animae>> e <<de quintuplici sphaera>>, ma fu costretto a interromperle perche accusato di plagi delle opere di Marsilio Ficino. Bruno stesso parla dell'incivilita e scortesia di quelli pedanti dottori di Oxoford nella sua opera <<La Cena de le Ceneri>>, nella quale opera si dibattono principalmente problemi relativi al copernicanismo. Il Nolano aveva rispetto per Copernico ma non ne era seguace. Scrive: "perche lui, piu studioso de la matematica che la natura, non ha possuto profondar e pensar sin tanto che potesse a fatto toglier via le radici de inconvenienti e vani principii, onde perfettamente sciogliesse tutte le contrarie difficulta e venesse a liberar a se ed altri da tante vane inquisizioni e fermar la contempalazione ne le cose costante e certe." Nelle universita medievali si considerava che la filosofia fosse superiore in dignita all'astronomia, perche la filosofia (naturale) trattava la natura come sostanza reale mentre l'astoronomia la trattava solamente come ipotesi matematica. Nella <<Cena de le Ceneri>> Bruno fa dire al dottor Nundinio e al dottor Torquato che Copernico descriveva il moto della terra solamente come ipotesi, non come una verita reale. Le opinioni di Nundinio e di Torquato sono forse le stesse che appaiono nella prefazione di Andreas Osiander ai lettori di <<De revolutionibus orbium coelestium>> di Copernico. Osiander voleva evitare che gli inquisitori avessero sul libro sospetti di eresia sottolineando l'ipotesita dell'astronomia di Copernico che sostiene il moto della terra. Bruno disse nella <<La Cena de le Ceneri>>:"Dove (nel primo libro di<<De revolutionibus orbium coelestium>>)(Copernico) non solo fa ufficio di matematico che suppone, ma anco de fisico che dimostra il moto de la terra". Bruno pensav forse cosi perche Copernico aveva scritto che aveva avuto l'influenza della concezione dell'universo dei pitagorici antichi. I pitagorici pensavano che i principi dei numeri erano i principi di tutti quelli che esistono non solamente in idea ma anche in realta. Pero Bruno non era un seguace dei pitagorici perche non poteva accettare l'opinione loro secondo la quale i numeri siano i principi dell'universo. E, per lui, la cosmologia eliocentrica di Copernico era solamente un mezzo per sviluppare la sua cosmonlogia fisica e metafisica, ma non eliocentrica. Cio significa che Bruno non poteva accettare solamente la cosmologia come ipotesi operativa di carattere matematico ma neanche l'eliocentrismo in quanto pensava che l'universo era infinito e senza alcun centro. Questo suo punto di vista si considera anzi la <<decentralizzazione della terra nell'universo>>. Per questo Bruno elimino l'esitenza di una "sfera ultima" che segnasse il limito dell'universo. E in questo potremo vederci l'influenza dell'epicureismo di Lucretius. Insomma, secondo Giordano Bruno, la terra e gli astri hanno vita. Quindi si muovono per il principio interiore e vitale e non esistono quelle sfere che si credevano di trasportare gli astri. L'idea che i corpi celesti hanno vita e si muovono in maniera autonoma non e quella dell'astoronomia matematica, bensi quella dell'animismo. Questo pensiero di Bruno sembrerebbe nato sotto l'influenza dell'ermetismo antico. Nell'<<Asclepius>> si legge: "Se enim animal mundus vivensque semper et fuit et est et erit, nihil n mundo mortale est. -Ergo vitae aeternitatisque debet esse plenissimus". Ma Bruno si sara ispirato prima di tutto forse a Marsilio Ficino. Infatti <<Pimander>> di Mercurius Trismegistus che Ficino tradusse in latino divenne il libro prediletto degli umanisti. Ficino scrive nella sua <<Theologia Platonica>> (Liber Quartus) che la terra, l'acqua, l'aria e il fuoco hanno rispettivamente un'anima loro, e che <<Sphaerae illae vitam insitam possidebunt. -Similiter octo caelorum globi animas octo>>. Inoltre, dice che ≪sphaerae mundi amplissimae in seipsis possident conversionum suarum principia≫.
著者
ブッカレルリ パルマ 野上 素一
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.16, pp.101-110, 1968-01-20

Questo e un brevissimo riassunto della conferenza della Dottoressa Palma Bucarelli, direttrice della Galleria d'arte moderna di Roma. Ha illustrato molto chiaramente la storia dell'arte italiana cominciando dal 1910. Prima di tutto ha spiegato il movimento futurista, concludendo che il futurismo ha avuto un aspetto polemico, violentemente agressivo e distruttivo, e un aspetto positivo e costruttivo. Poi essa e passata a spiegare il destino di questo movimento che si e trasmutato. Per esempio essa ha parlato di Umberto Boccioni, Antonio Sant'Elia, Giorgio De Chirico. In quanto ai metafisici italiani, essa ha detto che essi sono stati fenomeno parallelo al "rappel a l'ordre" francese. Ha parlato di Amedeo Modigliani, Alberto Magnelli, Gino Severini, Massimo Campigli. Essa ha detto giustamente che il periodo che va dal 1930 all' inizio della seconda guerra mondiale non e stato un tempo felice per l'arte italiana. Essa ha detto poi come e trascorso questo tempo infelice per i grandi artisti come Giorgio Morandi, Tosi, De pisis, Arturo Martini, Marino Marini, Giacomo Manzu ecc. Secondo essa tutti questi artisti si impegnano soprattutto ad opporre una tradizione seria, autentica, fatta di valori concreti, alla falsa tradizione classicistica dell'arte ufficiale. Con la guerra e la fine del fascismo cadono tutte le barriere tra l'arte italiana e la cultura europea. Gli elementi risolutivi dell'intricata problematica del dopoguerra sono da cercarsi special mente nelle opere di tre artisti: Lucio Fontana, Alberto Burri e Giuseppe Capogrossi. Essa ha chiuso la conferenza mostrando lo sforzo compiuto dagli italiani di questo secolo per diventare cittadini del mondo.
著者
六反田 収
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.35, pp.1-14, 1986-03-15

E significante ed assai evocativo il fatto che Geoffrey Chaucer, contemporaneo del Petrarce e del Boccaccio, fu il primo poeta inglese che conobbe e gode la letterature dantesca con sincera riverenza inevitabile e con sensibilita spontanea e creativa, benche non is puo mai precisare come e quando avvenne l'incontro fra loro. Le varie chauceriane attivita poetiche ispirate da Dante, infatti, sovente dimostrano un carattere molto complesso e sottile che indica una certa obliquita non trascurabile della loro relazione, come si potrebbe supporre, per esempio, dalla loro identita curiosissiama osservabile nell'usare il nome proprio solamente una volta in tutte le opere:'Dante' nel Purgatorio XXX 55 e 'Geoffrey'in The House of Fame II 729. E critici e studiosi hanno trovato nell'episodio del conte Ugolino un oggetto opportuno per la loro analisi, senza dubbio assai giustamente accettandolo come tipico campione, e tentato di chiarire il rapporto fra i due poeti con tecnice rigorosamente contrastive e comparativa, ma sempre con risultato negativo o addirittura dannoso dalla parte del Chaucer. E vero che "per tutti i poeti e pericoloso gareggire con Dante." Ma, nonostante le ovvie differenze letterarie e temperamentali, si deve basare un giudizio valido in questo argomento almeno su una valutazione equilibrata, fatta in prospettiva piu intera e nello stesso tempo piu particolarizzante. Questo articolo e una prova di tal rivalutazione per mezzo d'una lettura esplicativa, facendo al Monk's Tale giustizia, ma certamente non senza un ossequio precedente al 'divino' poeta fiorentino.
著者
斎藤 泰弘
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.26, pp.88-102, 1978-03-20

Leonardo ha dato il nomignolo"Salay"a un discepolo venuto alla sua bottega nel 1490, perche leggeva in quel tempo il"Morgante"di Luigi Pulci, ma anche perche si ricordava di uno scandalo intorno al Pulci: la sua miscredenza e la pratica magica di Salay(=una potenza in fernale)che aveva scandalizzato Matteo Franco nel 1474. Il settimo decennio del '400 e il periodo di transizione dalla vecchia cultura dell'epoca cosmiana a quella nuova laurenziana. La nuova cultura cortigiana dominata dalla dottrina neoplatonica di armonizzazione tra Cristo e Platone, non permette il pensiero eretico e l'atteggiamento anti-clericale, benignamente tollerati dalla cultura tradizionale, cui appartiene il Pulci. In questa atmosfera cambiata, ha luogo la feroce tenzone fra il Pulci e il Franco, e la sconfitta di Luigi vuol dire il declino definitivo della cultura tradizionale. Benedetto Dei, amico di Leonardo e di Luigi, ci ha lasciato una curiosa"Cronaca", dalla quale possiamo farci un'idea della sua cultura letteraria. Il suo gusto somiglia molto a quello di Leonardo, e tutt'e due si rivelano eredi della vecchia tradizione culturale di Firenze, mentre tutti i sonetti del Pulci ricordati dal Dei, sono destinati a motteggiare la religione e il pensiero neoplatonico. Leonardo passa la sua giovinezza nella Firenze degli anni settanta. I suoi manoscritti, pur dimostrando l'influenza della nuova cultura, rivelano la sua fedelta alla cultura tradizionale rappresentata dal Pulci, anche in relazione all'atteggiamento eretico e anti-neoplatonico.
著者
野上 素一
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.11, pp.1-5, 1962-12-30

Dante era ancora giovane quando fu cacciato dalla Firenze(aveva soltanto ventisette anni)e doveva pellegrinare tutta la vita a traverso d'Italia dal 1302 fino al 1321. Quasi tutte le opere sues ono state scritte durante questo lungo viaggio. L'A., tenendo presente tale particolare esperienza di questo poeta suppone che del ricordo dei luoghi italici deve essere disseminato nella suo opera principale Divina Commedia. Ma esaminando prudentemente, L'A., scopri che tale ricordo, piu intenso nell'Inferno va via via diminuendo d'intensita e di frequenza nel Paradiso. Perche Dante ha dessunto dal mondo animale e dalla natura, dai fenomeni fisici e dalle creazioni dell'arte si vadano via via riconducendo al due ordini piu alti della luce e della musica. Dopo tale osservazione genererale, L'A., esamino come Dante abbia criticato due citta(Firenze e Roma)nella Divina Commedia. Secondo concetto di Dante, Firenze era la terra a lui piu caramente dietta, percio non poteva nascondere il suo sentimento di nostalgia per questa citta nativa, nonostante sentiva sempre forte odio per fiorentini che avevano la corrotto. Invece secondo il concetto di questo poeta, Roma era citta ideale come si vede chiaramente nell parole che si trovano nel Canto II d'Inferno "nell'empireo ciel per padre eletto". Dante invece considera che Roma fu destinata dalla volonta divina come la Sede d'Impero e nello stesso modo come la Sede di Cristo percio bestemmia il Pastore corrotto, chiamandolo puttana sciolta nel Canto XXXII del Purgatorio.
著者
田島 容子
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.48, pp.227-251, 1998-10-20

La presente studio tratta del panorama generale dei vari aspetti che si riferiscono alla voga dell'opera nella societa veneziana del diciassettesimo secolo. I principi sulla espressione musicale della Camerata fiorentina, basati sugli studi della tragedia greca antica, avevano fatto nascere lo stile del recitar cantando, e i drammi per musica coi recitativi furono rappresentati nelle feste delle varie corti d'Italia. L'opera lirica di carattere aristocratico del primo periodo serviva come divertimento per la gente di corte, grazie alla sua letterarieta di alto livello e la bellezza stilisticamente elaborata. Ma, sin da quando l'opera venne conosciuta nella Serenissima Repubblica Veneta nell'anno 1637, situazione riguardante l'opera subi dei cambiamenti sostanziali. Il successo della "L'Andromeda" rappresentata al Teatro S. Cassiano Nuovo suscito l'interesse della classe dei borghesi della citta di Venezia che cercava una nuova forma di attivita economica. Di conseguenza furono costruiti altri nuovi teatri in un brevissimo spazio di tempo, si consolido una forma amministativa di base economica, e fino alla fine del diciasettesimo secolo furono rappresentate persino circa 360 opere in 16 teatri. A differenza dell'opera umanistica di corte, quella veneziana del secolo in questione veniva prodotta, tenendo conto sopratutto del gusto degli spettatori e dei guadagni economici, e in questa maniera si realizzarono dei cambiamenti rapidi e notevoli sotto vari aspetti, che cagionarono cosi una produzione in serie di bassa qualita e spingendola verso la decadenza stilistica. Era molto raro nell'Europa occidentale del diciassettesimo secolo, ove stave consolidandosi l'assolutismo nel campo politico, produrre opere artistiche, non quale forma di divertimento monopolizzata dalla classe privilegiata della societa, ma per soddisfare la domanda e il bisogno del popolo, e quindi mi sembra molto interessante esaminare a fondo la situazione che riguarda l'opera veneziana dell'epoca e seguire la storia della sua decadenza. I teatri pubblici a pagamento nati a Venezia, i palchi cumulativi, i nuovi tentativi in cerca di ampollosita nel meccanismo degli apparati e dei mutamenti di scene, il sipario, il proscenio, l'arco, l'orchestra, tutti questi elementi contribuirono molto alla diffusione dell'opera new vari paesi dell'Europa, quale mezzo lussuoso di divertimento D'altra parte, pero, l'incessante ricerca di una massima incivisita tramite la macchinosita scenografica e il fasto scenico, la tendenza eccessiva di frequenza di arie, spinsero oltre 50 mutamenti di scena durante una rappresentazione, spinsero la rappresentazione operistiche verso un complesso di effetti sontuosi di scena e di esibizionismo della tecnica dei cantanti, che accelerarono il cambiamento dell'opera stessa. I codici musicali contariniani della biblioteca di S. Marco sono un vasto campo aperto alla ricerca melodrammatica, campo che offre piu comuni notizie storiche dei drammi musicali rappresentati in Venezia. A quell'epoca al compositore della musica era riserbato il terzo posto, non solo il poeta, ma talvolta anche il macchinista era tenuto da piu del compositore. Pertanto i gran parte di spartiti operistici sono scartiti dopo la sua rappresentazione. Quindi la mancanza dei spartiti rende piu difficile di chiarire al processo di crescita dell'opera veneziana del diciassettesimo secolo. I codici contariniani sono costituiti da ben 120 manoscritti che sono ricche documenti per stabilire le cause dell'evoluzione operistica. Dall'analisi dei codici musicali contariniani, l'autrice della presente tesi cerca di esaminare il ruolo storico effettuato dall'opera veneziana del Seicento, alla luce di suoi contributi per lo sviluppo dell'opera europea, sia dal punto di vista funzionale che artistica, alla quale purtroppo non e stata attribuita finora una considerazione meritevole da parte della critica, probabilmente sopratutto a causa del suo carattere diverso.
著者
斎藤 泰弘
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
vol.72, pp.67-92, 2022 (Released:2022-11-09)
参考文献数
11

Nel presente articolo vengono trattate le vicende di una causa civile in cui Stefano Pirandello, figlio di Luigi, fu accusato di essere il vero autore di un soggetto del padre: Il figlio dell’uomo cattivo, che fu acquistato dall’imprenditore G. Manenti nel 1936 in qualità di “soggetto originale dell’Accademico Luigi Pirandello” poco prima della morte del premio Nobel. Tuttavia, dopo la sua scomparsa l’imprenditore denunciò il soggetto come “apocrifo” indicando Stefano come il suo vero autore. Per controbattere l’accusa, Stefano presentò un memoriale in cui venivano indicate dettagliatamente le modalità di svolgimento di questo tipo di lavoro, nonché le parti della trama modificate per interferenza censoriale del governo fascista e del Sant’Uffizio. Tale vertenza si concluse con una transazione in cui Stefano fu assolto dall’accusa a lui rivolta.Questo Memoriale di Stefano ci rivela chiaramente il funzionamento dell’officina creativa di Pirandello: lui parla liberamente agli amici intimi delle sue idee in merito a vari soggetti, accettando volentieri le loro proposte per migliorarli, mentre Stefano, il suo “negro” (inteso come “schiavo”), prende nota di tutto quello che gli detta il padre, e allo stesso tempo cerca di colmare le lacune dei racconti inventando nuovi episodi. Egli stesso nel suo Memoriale confessa quanto segue: “Accanto a Pirandello, chi sa come, ci sentiamo tutti bravi a inventare. Bravi come lui. Bravi anche più di lui. Chi sa come, poi, senza Pirandello, siamo tutti un po’ meno bravi. […] Il merito di questo fervore inventivo restava per intero alla fantasia creativa […] che era la fantasia di Pirandello”.Il “negro” Stefano collabora volentieri con il padrone posseduto dal suo demone creativo. L’editore Bompiani ci fornisce una spiegazione convincente in merito a questa strana relazione fra i due: “Il rapporto di Stefano col padre era del tutto fisiologico: Stefano aveva un cervello simile, ma critico, e Pirandello se ne serviva come di un proprio organo.” (da Il mestiere dell’editore). Una volta completata la stesura, Pirandello regolarmente considerava come proprio tutto ciò che veniva scritto da Stefano senza apportare nessuna modifica al testo.Questo atteggiamento potrebbe essere riconducibile al fenomeno del “padre-padrone” specifico del Meridione; Stefano dedica tutto sé stesso al padre, lavorando come un “negro” e perfino tramutandosi nel coautore del padre, alimenta la sua creatività anche dal di dentro.Tuttavia, quando il padre gli impose di pubblicare un intero scenario a nome suo per ripicca nei confronti di un ordine del governo fascista—è il caso dell’Acciaio—, il figlio non poté sottrarsi a un forte rimorso di coscienza, e giungendo perfino a deridere i critici incapaci di distinguere le differenze di stile, confessò in modo autolesionistico di esserne stato il vero autore.Da questo Memoriale rivelatore del funzionamento dell“officina Pirandello” si può intuire che il figlio non è mai riuscito a liberarsi dalle catene del padre, nemmeno dopo la morte di quest’ultimo, e visse come un buon figlio docile covando un sentimento ambivalente di amore-odio nei confronti del “padre-padrone”. In ultima analisi Stefano si sentiva anche lui come il figlio dell’uomo cattivo.
著者
村松 真理子
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.40, pp.70-92, 1990-10-20

IL Novellino, raccolta di brevi "novelle antiche", nonostante sia redatto in un semplice stile colloquiale nel volgare della seconda meta del Duecento, e una opera importante nella storia letteraria delle originei. Le cento novelle, compilate da un anonimo fiorentino e tramandate a noi per mezzo di otto codici, purtroppo imperfetti, presentano strutture stilistiche comuni : brevita delle frasi e delle novelle, sintassi paratattica, ricorrenza delle stesse parole. Tutte queste specificita testimoniano la tradizione culturale e le tendenze stilistiche del Duecento. Soprattutto il gusto dell'abbreviatio, tono dominante dell'intera opera, e da rilevare in quanto attesta la persistenza della tradizione medievale dell'exemplum : un locus retorico nell'ars praedicandi sviluppatosi nel tardo Medioevo come genere letterario. Nell'economia dell'opera l'uso della brevita, e di un ricco repertorio di figure retoriche, ottiene un effetto espressivo d'"essenzialita", che rivela grande maturita estetica nel contesto culturale dell' epoca. Nel tardo Medioevo la retorica riacquista la propria importanza nel campo dell'oratoria secolare all'interno della societa comunale, dove il potere delle parole riprende un grande valore politico e letterario. La Rettorica di Brunetto Latini e uno degli esempi piu eloquenti e importanti di questa fase culturale, caratterizzata dal volgarizzamento, nella quale si colloca il Novellino. Entrando nei dettagli, il confronto tra la novella 51 del Novellino e la novella 9 della prima giornata del Decameron serve a mettere a fuoco le caratteristiche dell'opera dugentesca e la tradizione novellistica di cui le due opere sono tappe fondamentali. Si nota anzitutto la differenza di stile : la sintassi paratattica con brevi frasi coordinate del Novellino e la sintassi latineggiante ipotattica del Decameron. Il ritmo del Novellino e vivace per l'abbreviatio e per le diverse figure retoriche : ricorrenza del termine "sofferire", ripetuto ben quattro volte in un cosi breve brano ; rima e assonanza ( "...alla quale...e onta tale..." "...a voi sono gia fatti diecimila disonori...priegovi che voi, ..""...n'e fatto pur uno...il mio uno...") ; endiadi ("Mossesi e andonne..."). In questa cadenza di immediatezza l'interesse dell'autore si concentra sulla parte del discorso diretto, in cui l'uso delle sintesi oppositive di iperboli ben esprime l'ironia ("a voi sono gia fatti dieci mila disonori, e a me n'e fatto pur uno"). Nell'opera del Trecento le tecniche silistiche dugentesche sono abbandonate e diventano importanti, invece, la descrizione della psicologia dei personaggi e la precisazione dell'ambiente e del tempo. "Una guasca"del Novellino viene meglio individualizzata come "una gentil donna di Guascogna", e non manca una dettagliata descrizione temporale ("ne'tempi del primo re di Cipri, dopo il conquisto fatto della Terra Santa da Gottifre di Buglione"). Nel testo boccaccesco questa precisazione della situazione viene seguita dalla descrizione psicologica dell'eroina laddove, nella novella dell'anonimo fiorentino, c'e solo una frase che introduce il bel motto della protagonista. In altre parole, Boccaccio elimina l'anonimato dei personaggi dugenteschi, testimonianza della tradizione dell'exemplum medievale. In quest'ultimo la concezione temporale e spaziale contrasta con la coscieza storica e con l'interesse per la psicologia umana presenti nell'"epopea dei mercatanti".Prima del contributo di S. Battaglia e di V. Russo, basato sullo studio delle figure retoriche, la critica tendeva a confrontare il Novellino con il capolavoro boccaccesco, attribuendo la differenza delle opere all'ingenuita dell'opera precedente o alla maturita del maestro della prosa italiana. Si puo invece dire che le due strutture narrative riflettono due tipi di sensibilita e cultura. Pur individuando un legame tra le due opere, quella precedente richiede una valutazione indipendente all'interno del suo contesto culturale, come per il Decameron si puo co
著者
高津 美和
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.56, pp.96-119, 2006-10-21

La Riforma ha avuto una importante influenza sulla situazione religiosa nell' Italia del Cinquecento. L'idea venuta d'oltralpe passata attaraverso Venezia costrinse la Chiesa Romana a confermare la propria dottrina ed a mettere in ordine il sistema del controllo delle idee. Nel corso della Controriforma apparvero "gli eretici". Bernardino Ochino (1487-1564) e valutato "il piu importante dei riformatori italiani" da Delio Cantimori, autore di Eretici italiani del Cinquecento (1939). Ochino appartenne all'ordine dei Francescani Osservanti, poi a quello dei Cappuccini ed ebbe fama in tutta l'Italia come grande predicatore. Pero col tempo la Chiesa comincio a sospettare che Ochino diffondesse l'idea della Riforma mediante la sua predicazione. Nel 1542 quando Ochino fu convocato dall'Inquisizione Romana, lascio l'Italia e ando a Ginevra. Questo articolo sulla vita e la fede di Ochino e un tentative di mettere in luce una fase della storia della Chiesa in un periodo pieno di fermento. Prima della Riforma protestante ci fu il movimento riformatore cattollico, cosidetto Riforma cattolica. A partire dal pontificate di Paolo III(1534), questo movimento cambio e divenne di carattere generale la cui iniziativa fu presa dal papa e gradualmente divenne meno tollerante e piu esclusivo con i dissidenti religiosi. Fu l'Inquisizione Romana istituta nel 1542 con la bolla Licet ab initio che simbolizzo questa tendenza oppressiva della Chiesa. A quel tempo l'Italia era divisa in stati e ducati, ma dopo l'istituzione di questa organizzazione, si pote svolgere il proveddimento unificato contro gli eretici. Sembra che ci siano due ragioni perche Ochino fu convocato a Roma. Una dipende dal suo rapporto personale, soprattutto, con il mistico spagnolo, Juan de Valdes (1500-41). Valdes formo un circolo umanistico a Napoli e presento l'idea d'oltralpe agli intelettuali italiani. Nel 1536 quando Ochino predico a Napoli, conobbe Valdes. Tramite lui Ochino ebbe l' opportunita di avvicinare le opere di Erasmo, Lutero, Calvino, ecc. Per questo rapporto l'Inquisizione considero l'ortodossia di Ochino sospettosa. La seconda ragione era che Ochino era un predicatore popolare. La predicazione funzionava efficacemente come mezzo per trasmettere le nuove idee, percio, l'Inquisizione trovo il bisogno di consolidare il controllo dei predicatori. Inoltre l'influenza di alcuni prelati come il vescovo di Verona, Gian Matteo Giberti o il cardinale, Gasparo Contarini che appoggiarono le riforme moderate e conobbero Ochino, ando diminuendo sotto il mutamento d'indirizzo della Chiesa e Ochino non pote contare sul loro aiuto. Cosi Ochino decise di andarsene dall'Italia. Rimangono pochi documenti delle prediche di Ochino. Pero possiamo ricostruire il suo pensiero dai suoi scritti prima e dopo la fuga. Nel Dialogi sette (1540) si trova quasi completamente la tradizione dell'idea dei Francescani invece della simpatia verso quella protestante. Tuttavia, l'idea dei Francescani ebbe una storia complicata e bisogna fare attenzione al modo di accoglierla di Ochino. Per esempio, il soggetto del "Ladrone in croce" del quarto dialogo del Dialogi e uguale a quello di Arbor Vitae Crucifixae Jesu di Ubertino da Casale, membro dei Francescani Spirituali (1305). Esaminando l'opera di Ubertino possiamo trovarci implicati due temi: la giustificazione per la fede e la predestinazione. Ochino consulto l'opera di Ubertino, ma non ne fece suo il pensiero totalmente, cioe, Ochino adopero il tema della giustificazione nella propria opera, ma si riservo su quello della predestinazione. Si puo desumere che Ochino abbia capito il pericolo di esprimere l'interesse per la dottrina dei calvinisti nella sopraddetta situazione. L'opinione di Ochino sulla Chiesa possiamo trovarla nei suoi scritti dopo la fuga dall'Italia. Ochino confesso il suo malcontento verso l'ordine dei Francescani Osservanti e quello dei Cappuccini. Alia fine manifesto la sua separazione dalla Chiesa cattolica pubblicando Imagine di Antechristo (1542) in cui identified il papa come Anticristo. Cosi si puo dire che la vita e la fede di Bernardino Ochino suggeriscano il complesso clima religiose nell'Italia del Cinquecento che ha ancora qualche punto da esaminare in future.
著者
中川 さつき
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
vol.48, pp.252-274, 1998-10-20 (Released:2017-04-05)

"La clemenza di Tito" di Mozart (k. 621) fu rappresentata per la prima volta nel 1791 per l'incoronazione dell'imperatore Leopoldo II a re di Boemia. Il compositore non musico l'opera basandosi sul famoso libretto di Metastasio, rappresentato nel 1734 con la musica di Caldara, ma su un testo ridotto da Caterino Mazzola. Pur elogiando la musica di Mozart, fino a qualche anno fa, la maggior parte degli studiosi mozartiani giudicava il libretto di Metastasio convenzionale e fuori moda. A nostro avviso, questo giudizio e troppo parziale e influenzato dall'evoluzionismo, e in questo saggio, esaminando i due libretti di "La clemenza di Tito", cercheremo di chiarire la diversa concezione dell'opera lirica in Metastasio e in Mozart-Mazzola. Mozart-Mazzola apportarono due modifiche: una di forma e una di contenuto. Dal punto di vista formale, al fine di conformarsi alla tendenza di quegli anni, trasformarono il dramma metastasiano di tre atti in un'opera in due atti; accorciando poi i recitativi e inserendo i concertati, ovvero i duetti, i terzetti e i finali, diedero maggiore spazio alla musica. Per quanto riguarda il contenuto, Mozart-Mazzola trasformarono Vitellia e Tito, i personaggi idealizzati di Metastasio, in persone realistiche e umane. Vitellia e una principessa orgogliosa che sfruttando la fedelta di Sesto, vuole uccidere l'imperatore per salire al trono; tuttavia alla fine, per salvare la vita di Sesto, confessa la propria colpa. Nel testo originale, Vitellia agisce sempre con coerenza e consapevolezza, e sacrifica la propria vita per Sesto. Con grande padronanza di se, affronta la morte e nell'ultima aria canta "Getta il nocchier talora". Nella versione mozartiana, invece, e una donna debole che nel famoso rondo "Non piu di fiori vaghe catene" si lamenta per non essere in grado di sposare l'imperatore Tito. Mozart-Mazzola ridussero anche lo spessore dell'immagine di Tito, togliendo la sua dichiarazione di celibato a vita. I protagonisti idealizzati che nell'opera di Metastasio si sacrificano volontariamente per il bene degli altri diventarono cosi persone normali. In conclusione, mentre Metastasio privilegio la poesia sulla musica e realizzo immagini idealizzate, Mozart-Mazzola diedero maggiore importanza alla musica e crearono dei personaggi realistici.
著者
伊藤 亜紀
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
vol.50, pp.1-23, 2000-10-20 (Released:2017-04-05)

Il Trattato dell'arte della seta scritto da un anonimo fiorentino tra la fine del XIV e l'inizio del XV secolo, ci offre molti dai preziosi sulla tintura nella fine del Medioevo, e el capitolo che trartta della tintura dell'azzurro, comincia come segue: ≪…gli azzurri, questi sono colori di piccola portanza e piuttosto da tacergli, che dirgli≫. Questa frase rappresenta francamente l'idea di "azzurro" degli italiani in quel periodo; nei manuali tintori le ricette per la tintura in azzurro sono poche rispetto a quelle del rosso e del verde, ed anche in alcune liste di vestiti in dati personali - come inventari, diari, lettere, ecc. -, i vestiti di questo colore sono molto rari, Inoltre nella letteratura di quel periodo non compaiono quasi mai personaggi con vestiti azzurri. \L'assenza dell'azzurro" e un fenomeno generale in tutta l'Europa di quell'epoca, perche il guado, tipica pianta che produce la materia tintoria dell'azzurro, era disponibile a prezzo relativamente basso senza difficolta. Percio anche i vestiti azzurri sono portati principalmente dalla classe media e bassa. Per questa popolarita, nella sistema del simbolismo cromatico, agli azzurri erano attribuiti di solito dei significati negativi come la volgarita e la beffa. Ma nei Cinquecento, questa idea tradizionale dei colori subisce un leggero cambiamento. Alcuni trattati del simbolismo cromatico come Del significato de colori e de mazzolli di Fulvio Pellegrino Mrato (1535), Il mostruosissimo mostro…Nel primo de' quali si ragiona del significato de' colori di Giovanni de' Rinaldi (1559) e Il Dialogo nel quale si ragiona delle qualita, diversita, e proprieta de i colori di Lodovico Dolce (1565), valutano molto il turchino come il colore del 'pensiero elevato'. Infine nella Iconologia di Cesare Ripa (terza edizione: 1603), viene presentato come il colore dell'abito della donna allegorica Sapienza. Si possono enumerare alcune ragioni per questa valutazione del turchino-una tonalita dell'azzurro; quando la rotta per l'India fu scoperta alla fine del XV secolo, grandi quantita di indaco, che puo tingere in azzurro a un prezzo inferiore, e meglio del guado, giunsero in Europa e si diffusero in Italia, percio i bei panni azzurri o turchini erano abbondanti sul mercato. Inoltre mi pare che anche la diffusione in tutta l'Europa della moda del colore scuro - soprattutto del nero-dalla fine del XV secolo, e il erollo della gerarchia dei colori, alla cui cima era posto il rosso, richiamino l'attenzione della gente verso altri colori-anche verso gli azzurri. Oltre a cio in Francia il bleu era gia molto valutato dopo la meta del XIII secolo come colore del mantello della Madonna, e nel Blason des Coulerus, trattato del simbolismo cromatico scritto in francese da Sicille (1435-58), il bleu e definito il colore della 'science'. Puo darsi che questa idea francese dei colori esercitasse un'influenza su quella italiana. Pero cenche la domanda dei panni azzurri fosse qumentata, e nei trattati del simbolismo cromatico, al turchino fosse attribuita una buona immagine, questi colori non sono stati valutati come gli altri. In effetti, anche dopo il XVI secolo, gli azzurri non sono stati mai consigliati per l'abbigliamento, e gli abiti di questo colore non erano portati volontariamente dalla gente. Possiamo quindi dire che nella vita quotidiana l'interesse della gente per l'azzurro fu basso, e non ci fu una grande promozione dell'azzurro nel costume italiano.
著者
信森 広光
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.4, pp.43-53, 1955-12-30

L'idea principale del Tasso, riguardo la poesia epica e, che essa rappresenta il colmo dell'ambizione del poeta. Questo e chiaro, dopo uno studio attento delle opere del Tasso. Il grandioso, il magnifico, si adatta dunque solo alla poesia epica. Il Tasso suggerisce quindi, come questo GRANDIOSO possa essere espresso adequatamente, per mezzo, di pensieri, parole ed ordine di parole. Il fascino, lo splendore, la solennita nelle opere del Tasso, puoessere teatrale e superficiale, ma la intensita personale del sentimento del Tasso anima e redime questo mondo artificiale.
著者
霜田 洋祐
出版者
イタリア学会
雑誌
イタリア学会誌 (ISSN:03872947)
巻号頁・発行日
no.59, pp.137-161, 2009-10-17

Nella sua prima raccolta, Dialogo dei massimi sistemi, Tommaso Landolfi tratta frequentemente-spesso allusivamente-le poetiche a lui contemporanee. Da questo punto di vista, riteniamo importante condurre un'analisi sul racconto da cui prende il titolo la raccolta, in cui si discute "un problema estetico", ossia il valore estetico delle poesie scritte in una lingua inventata. In questo articolo si cerca innanzitutto di seguire attentamente lo svolgimento del racconto nel suo processo dinamico e, analizzando la struttura del dialogo, far emergere la ragione della scelta del titolo stesso: vi verranno infatti messi in luce i legami con il Dialogo dei massimi sistemi di Galilei. Il dialogo si svolge fra tre personaggi: l'io narrante, che si puo considerare portavoce delle opinioni di Landolfi, un poeta chiamato Y, autore di alcune poesie, e un "grande critico" la cui teoria estetica e assimilabile a quella dell'epoca, l'ermetismo, poetica tendente a dichiarare l'assolutezza della poesia. Nella discussione, l'io narrante si oppone al "grande critico" con un ragionamento rigoroso basato su un concetto linguistico simile a quello sausurriano: un'opera d'arte, corrispondente alla parole saussuriana, e realizzabile e giudicabile soltanto attraverso un complesso di norme, la langue. Il poeta Y, d'altra parte, mette in difficolta la tesi del critico spingendola alle estreme conseguenze e costringendolo ad ammettere che perfino le sue poesie rientrano nella definizione di opera d'arte. Il fatto che le opinioni dei due amici si contrappongano a quelle del "grande critico" ci induce a pensare che il personaggio del poeta Y rappresenti l'alter ego dell' "io"-Landolfi. A questo punto possiamo individuare la corrispondenza tra il dialogo landolfiano e quello galileiano: anche in quest'ultimo infatti compaiono tre personaggi, dei quali i due rappresentanti della posizione dello scienziato, Salviati e Sagredo, difendono il sistema copernicano contro il terzo, Simplicio, sostenitore del sistema aristotelico-tolemaico. In questo lavoro si presenta l'ipotesi che il titolo del racconto landolfiano abbia un doppio senso. In primo luogo lo riteniamo un titolo ironico dal momento che l'argomento del dialogo e minuscolo rispetto alla grandiosita del titolo. In questo senso l'interpretazione puo essere avvalorata anche dalla citazione che il "grande critico" trae dai Promessi Sposi per definire la disputa in corso, "una guerra d'ingegni cosi graziosa", frase che, all'interno del romanzo, si riferisce ironicamente al dibattito insignificante sulla cavalleria. In secondo luogo, il titolo intenderebbe alludere a una concezione "copernicana", ossia relativistica, dell'arte, secondo la quale un'opera d'arte non puo essere assolutamente autonoma, ma dev'essere sempre relativa a un complesso di norme. La teoria letteraria del "grande critico" e le poesie dell'amico Y sono ascrivibili alle correnti poetiche in voga intorno al 1930-1940. Attribuendo un ruolo importante a concetti salienti come l'indipendenza assoluta dell'opera d'arte e la predilezione per le parole suggestive e oscure, la teoria del "grande critico" puo essere assimilata all'ermetismo-versione italiana della poesie pure-, fiorita soprattutto a Firenze, dove Landolfi si formo come scrittore. Per provare questa ipotesi, prendiamo in considerazione da una parte Letteratura come vita di Carlo Bo, il cosiddetto manifesto dell'ermetismo, estraendone il concerto principale, e dall'altra una poesia di Quasimodo, come esempio di poesia ermetica. Identificando il "grande critico" con un esponente dell'ermetismo, pensiamo alla possibilita di sovrapporre alla sua figura quella di Croce, al quale si riferiscono gli ultimi passi del dialogo in cui e citata l'apertura del primo capitolo di Breviario di estetica. Benche non sia possibile considerare il critico come ermetico e nello stesso tempo come crociano, non si puo negare che il crocianesimo rappresenti una delle componenti fondamentali dell'ambiente in cui nasce il dibattito del racconto. Per concludere, Landolfi assume come tema del racconto una problematica reale e concreta, non meramente fantastica come puo apparire a prima vista. La composizione del Dialogo dei massimi sistemi deve essere considerata all'interno dell'ambiente e del dibattito letterario fiorentino degli anni Trenta: solo storicizzando il racconto la lettura risulta concorde con la poetica "copernicana" dell'io narrante e quindi con l'intenzione dell'autore, secondo la quale l'espressione individuale e possibile solo perche alla sua base esiste una lingua, considerata come complesso di convenzioni. Parallelamente, la creazione letteraria ha come retroterra la tradizione letteraria stessa e si fonda sul concetto di intertestualita, lo stesso Dialogo e cosi progettato in modo tale che se ne puo dimostrare il vero valore solo quando se ne consideri la dialogicita con le altre opere letterarie.